Carnet d’architecture. Azzurra Muzzonigro
Nel 14esimo Carnet è l’architetto Azzurra Muzzonigro ad avere carta bianca. E si interroga sulla possibilità di concepire le città di domani in un’ottica “non-antropocentrica”. Come possiamo costruire città che includano, proteggano e rigenerino la biodiversità umana, animale e vegetale, fonte della varietà e molteplicità delle forme di vita?
PUNTI DI VISTA ANIMALI
Mettersi nel punto di vista dell’Altro significa non tanto immaginare cosa accadrebbe allo spazio antropico se l’uomo scomparisse dalla faccia della Terra, abbandonando qualsiasi forma di controllo, e le forze della natura prendessero il sopravvento – pensiamo ad esempio a tanti film di fantascienza, da Il mondo senza di noi a Io sono leggenda. Mettersi nei panni dell’Altro non significa nemmeno, all’estremo opposto, immaginare un mondo che esasperi le forme di controllo in forme di dominio sui corpi e sulle menti – da 1984 a Gattaca.
Mettersi nel punto di vista dell’Altro significa viceversa concepire la specie umana come una delle specie che popolano il pianeta e, se ci mettiamo nella prospettiva che il futuro sia urbano – secondo il report delle Nazioni Unite sull’urbanizzazione mondiale, nel 2012 la popolazione urbana mondiale ha superato la popolazione rurale e il divario è destinato a crescere nei prossimi decenni – allora le altre forme di vita vegetali e animali dovrebbero avere le stesse opportunità della specie umana di abitare lo spazio urbano. Mettersi nel punto di vista dell’Altro significa progettare una città migliore anche per l’uomo.
Questo sottile ma sostanziale slittamento del punto di vista è alla base della ricerca Milano Animal City, che ha il suo fulcro nel corso di Urbanism di Stefano Boeri e Michele Brunello al Politecnico di Milano, e tende a immaginare spazi di convivenza fra diverse specie animali, compresa quella umana, nella città di Milano.
Ma perché guardare lo spazio urbano dalla prospettiva dell’Altro animale? Cosa aggiunge lo sguardo animale alla progettazione urbana? Guardare la città dell’uomo dal punto di vista animale significa innanzitutto ammettere che il nostro sguardo è uno fra gli sguardi possibili, ma non l’unico. Immaginare una città non-antropocentrica non significa quindi abbandonare l’uomo al proprio destino, viceversa vuol dire agevolare la rinaturalizzazione di parti del territorio antropizzato, immaginando dispositivi che favoriscano la rigenerazione e proliferazione della biodiversità urbana.
La città non-antropocentrica è un’idea di urbanità che mette al centro la biodiversità del vivente come valore fondamentale per preservare la fertilità del pianeta.
CORPI POSTUMANI
Da dove cominciare? Innanzitutto è necessario, per dirla con Leonardo Caffo, che l’uomo rompa il confine del pensarsi come opera chiusa dell’umanesimo di matrice rinascimentale. Aprire il confine dell’umano significa pensarsi come ‘opera aperta’, in divenire e senza una posizione speciale nel mondo. Se l’uomo non è più, da solo, misura dello spazio, una città non-antropocentrica, postumana, dovrà creare varchi per il proliferare della biodiversità che diano forma a paesaggi entro cui sperimentare la vita.
Va da sé che i luoghi da cui iniziare a mettere in atto il cambiamento sono gli spazi indecisi, residuali, senza una funzione, il Terzo Paesaggio di Gilles Clement, rifugio della biodiversità del pianeta.
E sperimentare la vita non-antropocentrica significa innanzitutto abitarne la soglia, abitare cioè quei luoghi in cui mondi diversi si incontrano, dove è possibile dar vita a identità ibride e in divenire. Abitare significa anticipare il cambiamento attraverso il corpo. È il corpo infatti il luogo in cui negoziare le contraddizioni fra il sé e l’Altro e il luogo in cui convivono le diverse istanze del sé. È l’elemento che accomuna e allo stesso tempo distingue il vivente, il denominatore comune dell’esistenza. Attraverso il corpo, il vivente fa esperienza di sé e del mondo. È il corpo dunque il luogo in cui abbattere la falsa cesura fra natura e cultura, il luogo in cui contestare il presupposto discriminante che esista un unico corpo misura di tutte le cose.
Sono questi i presupposti della piattaforma di ricerca Waiting Posthuman, un gruppo interdisciplinare che lavora nelle intersezioni fra filosofia, urbanistica, architettura e arte per dare corpo e fare spazio a un’idea di umano aperta e in divenire.
Guardare a esperimenti come Milano Animal City e Waiting Posthuman significa iniziare a forzare i confini dell’umano come opera chiusa e compiuta, significa risignificare il corpo urbano come corpo essenzialmente animale liberandolo dalla gabbia d’asfalto che lo tiene prigioniero e aprire varchi verso la costruzione di città accoglienti, condivise, plurali.
Azzurra Muzzonigro
“Carnet d’architecture” è una rubrica a cura di Emilia Giorgi
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