Resistenza civile in pellicola. Józef Robakowski a Prato
Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato ‒ fino al 28 gennaio 2018. La prima retrospettiva italiana dedicata al poliedrico artista e attivista polacco, innovatore del cinema sperimentale.
“L’unico modo di essere politici era quello di essere totalmente apolitici”. Con questa lapidaria e paradossale affermazione, Józef Robakowski (Poznań, 1939) sintetizza i lunghi decenni di resistenza passiva nella difficile Polonia di Gomulka, Gierek e Jaruzelski. La cinepresa prima e la videocamera poi, sono stati, a partire dai primi Anni Settanta, i suoi strumenti di lotta e ne hanno fatto un pioniere del cinema indipendente polacco, oltre che della video arte europea. Arte d’avanguardia, per l’epoca, che si allontana dal realismo socialista, è densa di materialismo storico e sovverte le abitudini percettive dello spettatore. Dalle parate militari agli scorci urbani, da visioni di puro colore a performance dimostrative, il cinema di Robakowski ha sempre cercato di essere strumento civile prima ancora che artistico. Una mostra non di lettura immediata, da cogliere nei suoi aspetti metaforici e da contestualizzare nei difficili anni della dittatura socialista.
IL CINEMA STRUTTURALE
Un po’come accaduto con la pittura analitica, il cinema strutturale lavora con i fondamentali del linguaggio espressivo: dalla “tela pura” al “film puro”, costruito rifiutando la rappresentatività classica, e preferendo un assemblaggio di suono e immagini ben distinti fra loro. Con Robakowski, il cinema polacco ha allargato i suoi confini e approfondito il suo rapporto con l’arte, diventando performance, componimento poetico, opera concettuale. E, soprattutto, una critica al cinema di regime, funzionale all’indottrinamento politico del popolo. Il suo approccio strutturalista è ovvia conseguenza della situazione politica del Paese; infatti, lo strutturalismo teorizzato da Claude Lévi-Strauss rifiuta il concetto di libertà e scelta, spiegando i comportamenti umani come conseguenza delle imposizioni di varie strutture, sia naturali sia socio-politiche. Teoria che purtroppo ben si adattava a tutta l’Europa dell’Est. Per questa ragione si prova un angoscioso e ossessionante senso di saturazione davanti alle opere di Robakowski, un artista certamente non facile, le cui pellicole costruiscono una relazione intima con lo spettatore, lo avvicinano a immagini che scorrono inframmezzate da lampi di luce, silenzi, rumori della strada. Un modo per decostruire la realtà e riappropriarsene in maniera autonoma.
L’EPOPEA DEL QUOTIDIANO
Questa prima retrospettiva italiana propone anche il capolavoro Dalla mia finestra (Z mojego okna, 1978-1999), realizzato riprendendo per due decenni la vita quotidiana che si svolgeva al di fuori della finestra del suo studio a Łodż, situato in un quartiere oppresso dalla cementificazione, con squallidi palazzi simili a grattacieli, e ironicamente chiamato Manhattan. La riflessione sulla tecnica cinematografica come costruzione della “finzione” e lo spirito anti-romantico che caratterizzano il cinema strutturale vengono applicati al racconto della transizione e del nuovo corso politico che hanno interessato la Polonia, attraverso i cambiamenti vissuti dal quartiere. Dal comunismo al consumismo.
UN MESSAGGIO ANCORA ATTUALE
Le considerazioni di Robakowski non hanno perso la loro attualità, anzi la riflessione sul bombardamento mediatico della propaganda politica è direttamente applicabile, oggi, alle martellanti campagne pubblicitarie orchestrate dalla società dei consumi, a ben guardare non meno aggressive delle campagne socialiste, e in fondo condotte con la medesima logica dell’asservimento dell’individuo.
– Niccolò Lucarelli
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