Arriva nelle sale italiane Final Portrait, il film su Alberto Giacometti firmato da Stanley Tucci
Caotica quotidianità, dubbi e affinità. Stanley Tucci porta sul grande schermo un ritratto insolito dello scultore, incisore e pittore svizzero Alberto Giacometti, interpretato da Geoffrey Rush.
Il film, dal titolo Final Portrait, sarà nelle sale italiane dall’8 febbraio distribuito da Bim, già presentato lo scorso anno alla Berlinale. Stanley Tucci, il regista, compie un’operazione delicata e precisa nel raccontare l’artista Alberto Giacometti, nella professione come nel privato, concentrando la storia in 18 giorni di vita. Tucci, conosciuto come attore e regista, vive di arte. È un collezionista raffinato; suo padre insegnava arte, parlava d’arte e dipingeva e gli ha insegnato ad essere raffinato e curioso, sempre a caccia di interessanti opere e situazioni d’arte. Appena adolescente, proprio per seguire la passione e il lavoro del padre, Tucci ha vissuto per un anno a Firenze. E se dal padre ha preso quel gusto per l’arte e l’amore per il disegno, dalla madre ha ricavato la passione per il cibo. “Dai miei genitori ho preso la mia italianità”, dice Tucci in una intervista.
IL TALENTO DI GIACOMETTI
Alberto Giacometti (Borgonovo di Stampa, 1901 – Coira, 1966) è morto all’età di 64 anni, nel 1966. A renderlo famoso nel mondo le sue sculture che rappresentano figure umane dalle forme esili e sottili. La formazione artistica dell’artista avviene in due posti precisi: Ginevra prima e Roma successivamente. In quest’ultima città studia i grandi maestri del passato e la meravigliosa tradizione italiana. Prende esempio dalla sfacciata dimestichezza di Tintoretto e Giotto, che lo avvicinano a un gusto quasi primitivo oltre che intellettuale. Il padre era un pittore neo-impressionista e visto il grande talento del figlio non ostacola il suo percorso di conoscenza e studio. Nel 1922 si trasferisce a Parigi per seguire i corsi dello scultore Antoine Bourdelle, sperimentando in parte il metodo cubista. Sono quelli gli anni del Surrealismo e, insieme agli artisti della sua generazione, non può che essere attratto da questo nuovo movimento. Espone le prime sculture surrealiste al Salon des Tuileries ed ecco che il successo e la notorietà non tardano ad arrivare. Entra in un giro prestigioso di artisti come Mirò, Ernst e Picasso, e di scrittori come Prévert e Aragon. Alberto Giacometti è un artista a tutto tondo, ma al tempo stesso intuitivo e brillante, per questo Breton (fondatore del movimento surrealista) lo prende con sé per scrivere e disegnare sulla rivista “Il surrealismo al servizio della rivoluzione“.
PARIGI E L’INCONTRO CON JAMES LORD
Parigi è la città del cuore e il luogo in cui si svolge la sua amicizia con James Lord, scrittore americano e appassionato d’arte. È del loro legame che parla Tucci in Final Portrait, ispirandosi al libro dello stesso Lord. Lo scrittore è di passaggio a Parigi quando Giacometti gli propone di posare per lui. Le sedute continuano per diciotto pomeriggi e tornando a casa Lord annota ogni conversazione. Durante ogni posa il ritratto prende forma per perderla l’indomani, ma Lord quotidianamente lo fotografa. Il libro contiene così 18 conversazioni e 18 ritratti, immortalati dalla fotografia, che spariscono dalla tela, così come dalle parole di Giacometti (fermati poi da Lord con carta e penna). Questo libro è un documento unico che restituisce la vita quotidiana di un grandissimo artista, accanto al suo controverso e sentito processo intimo di pittura.
IL CONCETTO DI SOMIGLIANZA ASSOLUTA
Per Giacometti nell’arte c’è un aspetto essenziale, la somiglianza. Il surrealismo lo allontana momentaneamente da questo aspetto di ricerca a lui caro, ma dopo la morte del padre decide di riprendere dove aveva lasciato, concentrandosi così sullo studio della testa. E sullo sguardo, quella parte del volto che riflette inevitabilmente – e quasi involontariamente – il pensiero dell’uomo. La conoscenza e lo studio di Picasso, Beckett, Jean-Paul Sartre sono fondamentali in questo periodo di creazione. Durante la Seconda Guerra Mondiale si sposta su Ginevra per poi fare ritorno a Parigi nel 1946, dove ritrova il fratello Diego con cui tempo prima aveva aperto un negozietto, da quel momento era divenuto suo assistente. È il 1962 quando riceve il Gran Premio della scultura alla Biennale di Venezia.
GLI ULTIMI ANNI E IL SUCCESSO
Artista sincero e spassionato e ormai anche “maturo”, negli anni sessanta Giacometti è all’apice del successo. Sono anni frenetici e molto più creativi di quelli precedenti. In tutto il mondo vengono ospitate le sue opere, e soprattutto in Europa la sua diventa una firma predominante. Nel 1965 si reca a New York anche se gravemente malato: non avrebbe mai perso la mostra a lui dedicata al Museum of Modern Art. L’anno successivo si spegne a Coira, ma prima prepara il testo per il libro “Parigi senza fine“, una sequenza di 150 litografie in cui scorrono le memorie di tutti i luoghi vissuti.
–Margherita Bordino
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