Van Gogh al cinema. Tra cultura e nuove tecnologie
“Van Gogh. Tra il grano e il cielo”, nelle sale cinematografiche per soli tre giorni, testimonia il successo di operazioni filmiche nelle quali convergono arte, immagini in movimento e tecnologie all’avanguardia.
Van Gogh. Tra il grano e il cielo è il film evento scritto da Matteo Moneta con l’assistenza scientifica di Marco Goldin, diretto da Giovanni Piscaglia, con musiche originali di Remo Anzovino e la partecipazione straordinaria di Valeria Bruni Tedeschi, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, in proiezione per soli tre giorni ‒ 9, 10 e 11 aprile – nelle sale cinematografiche delle principali città italiane.
Tutto sommato una sorta di dejà vu ‒ almeno nel format culturale ‒ di Loving Vincent, film d’animazione di grande successo del 2017 con nomination/candidatura Premio Oscar e Golden Globe nel 2018, scritto e diretto da Dorota Kobiela & Hugh Welchman, distribuito tra gli altri da Nexo Digital, anch’esso proiettato nelle sale per soli tre giorni (a parte la replica a grande richiesta del 20 novembre 2017) e imperniato sulle opere e sulla vita di Vincent van Gogh, i cui dipinti sono elaborati da un team di 125 artisti in migliaia di immagini dello stile dell’artista (94 quadri sono riprodotti similarmente agli originali e più di 31 sono rappresentati parzialmente).
DUE FILM, DUE MOSTRE
Entrambi i film fanno parte di operazioni artistiche e culturali di più ampie dimensioni, con un interessante bridging tra cinema, arte pittorica e nuove tecnologie in chiave sostenibile.
Loving Vincent nasce sulla scia del grande successo della mostra multimediale intitolata Van Gogh Alive – The Experience, con più di 3mila immagini proiettate su ogni superficie, pareti e pavimenti, creando una suggestiva illusione al visitatore che ha quasi la sensazione di entrare fisicamente nei quadri del pittore. Van Gogh. Tra il grano e il cielo è al contempo un film e una mostra, quest’ultima nella Basilica Palladiana di Vicenza, curata da Marco Goldin (che partecipa anche al film), con più di 40 dipinti e 85 disegni provenienti dal Kröller-Müller Museum di Otterlo in Olanda, cassaforte della magnifica collezione lasciata dalla ricchissima Helene Kröller-Müller, la quale, intorno agli Anni Dieci del secolo scorso, acquista il primo quadro del pittore olandese, diventando negli anni a seguire fino quasi alla morte la più importante collezionista dopo gli eredi di van Gogh, fondando appunto il museo che porta il suo nome. L’ultimo giorno della mostra è stato domenica 8 aprile, cui seguono i tre giorni di proiezione del film, configurandosi quasi come un’unica operazione artistico-culturale-mediatica, laddove il momento cinematografico prosegue quello espositivo, con personalità (ad esempio Goldin) che hanno una parte attiva nell’uno e nell’altro, quasi un’osmosi di linguaggi creativi per valorizzare e promuovere l’opera di uno dei più grandi pittori della storia dell’arte planetaria.
COLLEZIONISMO E MUSEI
Il film diventa cassa di risonanza anche della storia di Helene, di come si diventa grandi collezionisti di un grande artista, del link spirituale tra art creator e collector/mecenate, foriero dell’elevazione spirituale di entrambi in un rapporto quasi sinallagmatico dove l’infinito impresso su tela dall’uno diventa crescita interiore nella bellezza dell’altra, che a sua volta restituisce l’amore ricevuto con nuova linfa vitale di promozione e valorizzazione, non solo di carattere finanziario, dell’artista, fondando il Museo Kröller-Müller, inaugurato nel 1938, meravigliosa deriva quasi naturale delle circa 300 opere di van Gogh acquistate dalla miliardaria olandese in quasi trent’anni, la cui esposizione contribuisce notevolmente alla fama dell’artista.
Ma Helene fa di più. Anche se non incontra mai van Gogh de visu per evidenti motivazioni temporali (lei nasce nel 1869, lui muore nel 1890), riesce a instaurare con l’artista una sorta di contatto karmico al punto di condividere con lui la medesima religiosità e attenzione naturale per gli indigenti e gli umili, recandosi personalmente al fronte durante la Prima Guerra Mondiale per curare i feriti, riecheggiando l’afflato amoroso del grande pittore quando va a vivere a Wasmes, nel Borinage, una regione carbonifera belga caratterizzata in quegli anni (circa il 1880) da condizioni lavorative di estremo disagio, dove si prende cura dei malati e predica la Bibbia ai minatori.
VAN GOGH A CONFRONTO
Van Gogh. Tra il grano e il cielo e Loving Vincent, benché film similari per quanto concerne il target divulgativo dell’arte del grande pittore olandese e la contestualizzazione mediatica, nel primo meglio congegnata strategicamente, hanno allure e tessuti creativi ben differenti.
L’uno uno splendido documentario con interventi critici e scientifici eccellenti, dalla storica dell’arte direttrice del Kröller–Müller Museum Lisette Pelsers al critico Leo Jansen, dallo storico dell’arte Sjraar van Heugten alla scrittrice Eva Rovers, dal professore onorario di Storia dell’arte all’Accademia Reale di Belle Arti di Bruxelles Georges Mayer allo scrittore e docente di Storia dell’arte all’Università Paris 8 Pascal Bonafoux.
L’altro un affascinante film di animazione, laddove i quadri di van Gogh, grazie all’uso sapiente delle nuove tecnologie, diventano fotogrammi viventi elaborati in migliaia di immagini che producono contesti fantastici in puro stile vangoghiano, dove immergersi in una sorta di viaggio immaginifico surreale.
Ciò che accomuna le due opere cinematografiche è essenzialmente l’operazione culturale di riferimento, vale a dire il link con iniziative mediatiche (le mostre) e l’evento di proiezione nelle sale (tre giorni per entrambi).
Volendo quotare la “sostenibilità” di tali operazioni culturali, ovvero gli aspetti valoriali in termini di efficace divulgazione dell’arte di Vincent van Gogh, nonché le ricadute su tutti gli stakeholder coinvolti (non da ultimo la collettività intera stessa che beneficia di tali iniziative e quindi è più propensa a ridurre i conflitti sociali), i bridging realizzati tra i vari linguaggi creativi (pittura, cinema, fotografia, letteratura, ecc.), l’uso delle nuove tecnologie, ci troviamo di fronte a delle case history interessanti e pionieristiche, che probabilmente configurano una nuova era della comunicazione/divulgazione artistica e culturale.
‒ Marco Eugenio Di Giandomenico
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