Dall’orchestra all’ensemble. Carl Craig al Romaeuropa Festival
Il 10 ottobre scorso, al Romaeuropa Festival è andata in scena la prima data italiana del progetto “sinfonico” della leggenda vivente della musica techno: una versione orchestrale delle sue celebri tracce elettroniche. Manca però l’orchestra. Al suo posto solo un pianoforte e quattro sintetizzatori. Ecco il report.
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Spesso, dietro all’espressione “elettronica da ascolto”, non si cela nulla di buono: le esibizioni che vedono i dj ‘frugare’ a capo chino sulla consolle e gli spettatori incollati alle sedie si rivelano il più delle volte come qualcosa di molto noioso e dal sapore autopunitivo. Non è questo il caso del concerto tenuto da Carl Craig all’Auditorium Parco della Musica di Roma: l’artista di Detroit non rinnega l’elemento che lo ha reso famoso nel mondo, il ritmo, e decisi ma sempre ben dosati impulsi ritmici sorreggono l’evoluzione della musica, salutati dall’ondeggiamento delle teste di chi resta seduto e dai balletti dei pochi temerari che decidono di stare in piedi. Craig non è solo: ad accompagnarlo ci sono quattro sintetizzatori e un pianoforte, affidato alle cure del giovane Francesco Tristano, eclettico musicista che spazia da Bach a Cage alla techno, e che nel corso della serata produce accordi e arpeggi che, impastandosi con l’elettronica, danno vita a un sound Anni Novanta al quale il dj americano è ancora molto affezionato.
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Romaeuropa Festival. Carl Craig, Tristano. Photo © Piero Tauro
QUALCHE DUBBIO
Non è solo il pianoforte a costituire un collegamento con la musica classica: tra i suoni emessi da Craig e soci abbondano i campionamenti di archi e fiati, e lo spettacolo dell’Auditorium è una versione ‘da camera’ di un evento che, fin dal suo esordio nel 2008 alla Cité de la Musique, a Parigi, ha previsto la presenza di un’intera orchestra sinfonica ad accompagnare e a integrare le alchimie craighiane. Nella versione con i soli sintetizzatori, che ha l’indubbio vantaggio di presentare costi di produzione assai più contenuti, si perde sicuramente qualcosa rispetto all’originale: non tanto in materia di ricchezza sonora, quanto piuttosto sotto l’aspetto visivo. Con l’orchestra all’opera lo spettatore sa chi sta eseguendo cosa, e l’occhio spazia da una sezione all’altra; in questo caso è difficile individuare il contributo dei singoli sintetizzatori. Al punto che la domanda sorge spontanea: pianoforte a parte, non poteva fare tutto Craig, dall’alto della sua consolle?
‒ Fabrizio Federici
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