Edipo e l’enigma dell’arte. Intervista a Chiara Guidi
In occasione dell'ultima edizione dell’Osservatorio Màntica, Chiara Guidi e Scott Gibbons hanno condotto un laboratorio di ricerca sulla voce, sul suono e sulla figura di Edipo, dal titolo “La condanna dell'origine”.
La nona edizione di Màntica, conclusasi lo scorso 5 dicembre, è un osservatorio che coinvolge il pubblico con spettacoli, incontri, mostre e laboratori. Durante il festival Chiara Guidi, cofondatrice della Socìetas Raffaello Sanzio e direttrice artistica di Màntica, e Scott Gibbons, compositore di musica elettroacustica di origini statunitensi, hanno coinvolto cinquanta partecipanti in un percorso di sei giorni. Dopo aver assistito al laboratorio, ci siamo confrontati con la direttrice artistica per approfondire la sua ricerca.
Perché Màntica viene identificato come “osservatorio”?
Uso questo termine perché durante le varie giornate chi guarda si avvicina all’oggetto con un tempo di distensione diverso rispetto a quello di un festival tradizionale. Gli ospiti creano una relazione più diretta con coloro che hanno deciso di trascorrere un periodo dentro Màntica, ma c’è anche un pubblico esterno che respira l’aria creata da questo lavorio. Si tratta, dunque, di un osservatorio perché il teatro è il luogo dello sguardo per eccellenza: ribadirlo vuol dire sottolineare il principio costitutivo di Màntica e la condizione fondante del teatro.
Perché la tua ricerca è così legata alla figura di Edipo?
Ci sono delle cose che ci toccano, ci interrogano e ci invitano a guardare all’origine e questo guardare è per antonomasia una storia del folclore. La questione di Edipo parte dallo scherzo di un “ragazzino” che apre una ricerca, una domanda, un interrogativo che credo riguardi anche l’arte, un’arte che trova e cerca l’essenza perché non vuole “fare finta di”.
Inoltre, nel programma abbiamo riscontrato incredibili coincidenze non volute: il bastone dei txalaparta [antichi strumenti a percussione dei Paesi Baschi usati durante il laboratorio e il concerto di Beñat Ralla Yusta, N.d.R.] potrebbe essere quello che ha ucciso Laio; il dialogo con Rubina Giorgi su Jakob Böhme e sul legame tra buono e cattivo fa pensare a Edipo che è nel giusto ma è l’ingiusto per eccellenza; mentre l’immagine dell’uomo-albero di Michelangelo Frammartino rievoca l’unione tra uomo e natura, il ritorno alla terra.
Come è stato strutturato il laboratorio?
Abbiamo suddiviso il testo di Sofocle in quattro questioni: domande, comandi, improperi e risposte. Tutto verte intorno a una frase che i partecipanti ripetono a loro modo, da punti di vista diversi: “Ucciderai tuo padre e sposerai tua madre”. È una frase che apre un eterno ritorno, è inestinguibile, circolare, continua, lascia uno scarto che va sempre nuovamente indagato. Siamo di fronte a un tormento. Cosa vuol dire? Perché l’ho fatto? Non è il significato delle parole che permette di capire, forse sono le lettere che, avendo avuto un potere cosmogonico originale, vanno prese, tirate, spezzate. È la metrica che fa conoscere la questione, che taglia le parole, che le fa scoprire. Lavoriamo perciò sulle vocali, sulle consonanti e sui suoni, per giungere a una sorta di riscrittura grammaticale della questione di Edipo, che non si risolve mai. Si tratta di una condizione umana profonda che si può collegare anche al rinnovamento delle colture agricole. La terra vecchia, invernale, ha bisogno del seme giovane, quindi per i contadini la questione di Edipo può essere una pratica: è qui che nasce il folclore.
I partecipanti non sono dei musicisti professionisti, come vi siete approcciati agli strumenti e agli oggetti?
Tutti possiamo suonare, tutti possiamo raccontare, tutti possiamo recitare. Io non so suonare il flauto, ma ho potere su quel flauto. Non è un problema musicale, è un problema di materia sonora. Sto parlando di un’intimità del gesto, di una riconciliazione tra te e la materia, tra te e il corpo, perché viviamo in un tempo in cui siamo staccati dal nostro stesso corpo. Ci sono tante giustizie, tanti suoni giusti. A volte si possono sentire delle storie, dipende dalla propria sensibilità: mi riferisco a quei momenti in cui ti accorgi di cadere emotivamente. Creando un coro di 40 voci ho avvertito degli elementi che hanno delle prospettive future e che mi permetteranno di continuare la mia ricerca. In una fase laboratoriale è tutto molto aperto, si raccoglie e si scarta in base a un’idea sospesa, in divenire. Da Màntica abbiamo avuto solo delle attese, niente si conclude con una riga e delle somme, non può essere così perché non c’è un esito, anche se solitamente tendiamo a cercarlo.
Durante il laboratorio hai introdotto anche il concetto di “enigma”…
L’enigma è la caratteristica dell’arte, separa la domanda dalla risposta. Quest’ultima non è mai in relazione alla domanda ma a un atto di resistenza incessante, a una ricerca ininterrotta che si rinnova continuamente. Mi sembra molto chiaro in Edipo che continua a interrogarsi e, impossibilitato a capire, si toglie la vista andando a Colono a morire, ritornando alla terra, alla madre. È incredibile: Edipo è figlio, marito e con le sue figlie è fratello. Un cortocircuito insolubile…
In definitiva, credo che davanti a delle domande non possano esserci delle risposte poiché, nel caso contrario, l’arte morirebbe.
Alessandra Corsini
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