Nerone come un divo del rock. Le polemiche sul mega show del Palatino
Sarà inaugurato il prossimo 2 giugno ed è già lo spettacolo clou dell’estate capitolina 2017. Se ne parla tanto e con tante polemiche. Il mega musical su Nerone raduna premi Oscar e professionisti per un momento di grande intrattenimento. Ma all’interno di un’area archeologica “sacra”. E dov’è il problema? Ne abbiamo parlato col produttore dello show
L’ultima querelle romana – e poi anche nazionale – riguarda un palco. Un semplice palco. Ed è una querelle aspra, appassionata. Ché tutto, in Italia, diventa conflitto, psicodramma, motivo per imbastire battaglie: qualche volta sensate, qualche altra oziose, molto spesso ideologiche e basta.
Il palco è quello che sarà allestito sul Colle Palatino, in un’arena da tremila posti costruita all’interno della Vigna Barberini, con affaccio direttamente sul Colosseo e sull’Arco di Costantino. Il cuore della Roma storica, trionfale, monumentale: tra le location più desiderabili del mondo. La struttura è onestamente mastodontica e non passa inosservata: lunga 36 metri, profonda 27, alta 14. Ed è già in allestimento. Servirà ad ospitare, dal 1 giugno al 10 settembre, le repliche di “Divo Nerone – Opera Rock”, un musical in forma di kolossal, che narrerà le vicende dell’Imperatore con un esercito scenico pazzesco, tra 26 ballerini, 12 cantanti e attori, cento macchinisti e un impianto audio-luci poderoso.
UN TRIPUDIO DI PREMI OSCAR
Sulla qualità del progetto, al momento, c’è poco da dire: non lo ha visto nessuno. E ostentare la solita aria di sufficienza, per via dell’evidente taglio popolare, spettacolare, assai poco di nicchia, è già noia. Snobismo nella sua accezione peggiore. Il caso pare essere da manuale: quelle classiche mega produzioni in cui il pop più solenne e codificato regala un’esperienza coinvolgente, curata alla perfezione. O magari no. Magari siamo nel campo di una narrazione retorica, con pochi spunti interessanti e molti effetti speciali. Il giudizio è rimandato al prossimo 2 giugno. Ma una cosa è certa: il dispiegamento di talenti è eccezionale.
“Bisogna valutare quale tipologia di eventi ospitare in aree di questo prestigio”, ci dice il produttore dello show, Cristian Casella. “L’evento che noi abbiamo proposto e che è stato accolto, ha la somma di tutti i più grandi interpreti dello spettacolo italiano, riconosciuti nel mondo. E non poteva essere altrimenti”. Per il redivivo Nerone in chiave rock sono infatti al lavoro: il vincitore di 2 Grammy Award Franco Migliacci, per il libretto e le liriche; il regista e coreografo Gino Landi, star della tv e dei maggiori musical italiani; il 3 volte Premio Oscar Dante Ferretti, celebre scenografo hollywoodiano; Francesca Lo Schiavo, per gli allestimenti, con 3 Oscar in curriculum pure lei; la costumista Gabriella Pescucci, altro Premio Oscar; e il grande Luis Bacalov (Oscar nel 1996 per la colonna sonora de Il postino) come special guest per le musiche. Una congrega stellare.
GIÙ LE MANI DAL PALATINO!
Ed ecco la polemica. Allestire un palco così imponente, nel cuore di un sito archeologico di tale unicità, per molti è un oltraggio. L’invadente catafalco sporcherebbe un tempio assoluto della bellezza e della tradizione. Per di più ospitando un volgare “spettacolo blockbuster”: così si è espresso ad esempio lo storico dell’arte Tomaso Montanari, notoriamente allergico all’utilizzo di spazi monumentali per eventi d’intrattenimento (peccato siano nati, spesso, esattamente per quello scopo), nemico giurato di tutto ciò che implichi un business – sia pure connesso all’arte e alla creatività – generato dall’utilizzo del patrimonio. Per Montanari si tratta di una “pessima idea”, senza se e senza ma. “In una società dello spettacolo”, spiega dalla colonne di Repubblica, “in cui tutto – a partire dalla politica – è fiction, è intrattenimento, in cui tutto parla alla pancia, è vitale salvare quei pochi luoghi in cui si può sviluppare una coscienza critica e razionale del reale”. E in tal senso “il contatto con il passato” sarebbe salvifico.
Che è anche vero, ci mancherebbe. Ma il contatto col passato, per gli italiani, è una faccenda quotidiana, di dna e di sguardo, di corpo e di orizzonte, di abitudine e di educazione. Se ogni tanto accade che il passato si apra al presente, che la contemplazione si vesta di una leggerezza nuova, che il passo contemporaneo s’incroci con quello della memoria, dove sta il problema? Episodi, occasioni. Teatri temporanei. In luoghi che, per altro, sono stati vivi, chiassosi, aperti al passaggio, alle passioni, alle relazioni, al teatro stesso. Quest’idea della mummificazione e della sacralizzazione ad ogni costo, di cosa è figlia, se non del pregiudizio e dell’ideologia? Se la sicurezza dei beni storici è garantita – e il via libero dato dall’ottimo Francesco Prosperetti, a capo della Soprintendenza Archeologica di Roma, non dà spazio a dubbi – cosa muove tale indignazione?
“Le indicazioni sull’area di Vigna Barberini ci furono date circa due anni fa”, spiega nel dettaglio Casella. “Ci fu indicato ai tempi dalla Soprintendenza, in quanto il meno delicato. Dopodiché ci è stato chiesto di fare tutte le indagini geologiche possibili, per verificare se la tenuta di quell’area era sufficiente per garantire uno spettacolo di questa portata. Cosa che è stata accertata nel corso delle varie rilevazioni, tutte con esito positivo. A quel punto abbiamo sottoposto il progetto esecutivo e abbiamo avuto la possibilità di andare avanti”.
INCASSI E FUNDRAISING PER IL RESTAURO
Il grande palco, gli allestimenti e le 3000 persone che l’area può accogliere, non costituiscono dunque un problema reale. Se, quantomeno, scegliamo di fidarci delle istituzioni e dei tecnici (che è sempre meglio di fidarsi del vox populi o del terrorismo dei benpensanti). L’unico vulnus – che però non emerge mai dalle critiche un tanto al chilo degli intellettuali nostrani – è l’accessibilità. Ovvero: dove parcheggeranno le loro autovetture le migliaia di persone che arriveranno ogni sera? Chi presidierà al rischio di veder trasformata in parking abusivo la valle tra il Palatino e il Celio?
In ogni caso, la polemica rimane. Mettendoci in mezzo anche il denaro: tipo la quantità di soldi che uno spettacolo simile tirerà su. E allora, gli indignati che temono mercificazione e sfruttamento, dovrebbero spiegarci perché generare risorse economiche dalla cultura debba essere considerata una vergogna: forse dare opportunità di lavoro (solitamente chi s’indigna di lavorare non ha molto bisogno…), dare servizi di qualità ai turisti, trovare denari utili alla tutela ed al restauro, è un peccato?
Di quei soldi, tra l’altro, una parte andrà a sostegno del patrimonio stesso. È ancora il produttore ha spiegarcelo: “La produzione della Nero Divine Ventures SPA ha previsto una serie di iniziative di fundrising, al fine di destinare le risorse finanziarie a favore di alcuni interventi di restauro della Domus Aurea, in particolare per la Coenatio Rotunda. Tra queste: l’attribuzione del 3 per cento degli incassi derivanti dalla vendita dei biglietti; eventi speciali programmati nel corso della sessione estiva per la raccolta fondi, che, attraverso il sistema dell’art bonus, consentirà la devoluzione direttamente a favore della Soprintendenza Speciale del Colosseo; un progetto di crowdfunding sulle piattaforme internazionali con una devoluzione da parte della Nero Divine Ventures SPA”.
Un modo per restituire al luogo – in termini di tutela – quanto ricevuto sul piano della bellezza e del prestigio. E anche questo è fare investimento intelligente, unendo produzione culturale, valorizzazione e strategie per la conservazione. “Ritengo che la valorizzazione – e in questo siamo stati davvero educati dagli archeologi e dagli architetti che lavorano costantemente nelle aree dei Beni Culturali – debba significare anche fruizione”, conclude Cesella. “Debba cioè potersi aprire anche al contesto dei visitatori che l’apprezzano per tanti motivi. Noi raccontiamo la storia di quell’area, nell’area in cui quella storia ha avuto la possibilità di vivere”. Una macchina scenica che è anche macchina del tempo e del racconto. Immaginando nuovi meccanismi di gestione politico-culturale, tra cura e sviluppo. Magari, in futuro, con eventi anche più frequenti – ben vengano – ma con un palco un po’ meno mastodontico. Questo sì, ma solo questo.
– Helga Marsala
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