Ogni stagione ha i suoi uomini. L’editoriale di Antonio Natali
Dopo le reazioni opposte suscitate dall’intervento di Urs Fischer a Firenze, urge una riflessione. Se la collocazione del David ha impegnato menti geniali come Leonardo, Botticelli e Ghirlandaio, oggi a chi tocca scegliere i luoghi più adatti per l’arte contemporanea?
Agli esordi del Cinquecento Pier Soderini, Gonfaloniere a vita della Repubblica fiorentina, deve stabilire la collocazione del David di Michelangelo in piazza della Signoria. Consapevole dell’importanza del luogo, del significato civile di quel marmo e delle sue dimensioni monumentali, prende la decisione più saggia cui possa attenersi un governante che abbia coscienza della specificità delle sue competenze (non già estetiche, bensì politiche). Per assumere la sua risoluzione, il Gonfaloniere chiede pertanto di conoscere quale sia il pensiero di chi invece dell’arte fosse perito. E non si contenta del parere di qualche critico a lui vicino (potenzialmente servile), ma nomina una commissione d’artisti fra i maggiori del tempo, senza badare se le relazioni con Michelangelo (loro contemporaneo) fossero buone oppure no. Solo si preoccupa che le virtù di quegli artefici siano le più alte allora a Firenze.
Soderini, cosciente degli effetti conseguenti all’ubicazione della statua nella piazza della Signoria, ebbe l’accortezza d’affiancare agl’intendenti d’arte almeno due rappresentanti del governo, col compito di coordinare, se non indirizzare, il dibattito e di vagliare le differenti proposte al cospetto dell’esigenze della città e dell’immagine che alla fine ne sarebbe sortita.
“In questi nostri tempi, chi viene chiamato a esprimersi sulle opere (sovente monumentali) d’artisti odierni, cui si concede il privilegio (temporaneo, ma pur sempre grande) di un’esposizione in piazza della Signoria e sulle scale di Palazzo Vecchio?”.
Onere pesante, quello toccato alla commissione; giacché si trattava d’esibire nel posto più eminente di Firenze – in cui fin allora soltanto la piccola Giuditta di Donatello s’ergeva – un nudo colossale, di solare bellezza. E c’è da figurarsi lo sbalordimento dei fiorentini d’inizio Cinquecento a veder quel gigante bianco andare a stagliarsi, solitario, contro il fondo di macigno della maestosa architettura arnolfiana. All’inizio del 1504, per decidere sulla collocazione del David, vengono fra gli altri invitati a confrontarsi Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Leonardo da Vinci, Lorenzo di Credi, Pietro Perugino, Cosimo Rosselli, Antonio e Giuliano da Sangallo, Andrea della Robbia, Simone del Pollaiolo, Davide Ghirlandaio, Andrea Sansovino, Francesco Granacci, Piero di Cosimo.
La riflessione su questa cronaca sarà stringata. Si limiterà, anzi, a un’unica domanda: in questi nostri tempi, chi viene chiamato a esprimersi sulle opere (sovente monumentali) d’artisti odierni, cui si concede il privilegio (temporaneo, ma pur sempre grande) di un’esposizione in piazza della Signoria e sulle scale di Palazzo Vecchio? Rammento – giacché immagino che il mio quesito venga ascritto a una mentalità avversa al contemporaneo – d’essere io fra i pochissimi a tener duro – dall’inizio a oggi – sulla necessità (o, meglio, sull’obbligo) di realizzare l’uscita degli Uffizi progettata da Isozaki, che dai più è invece reputata incompatibile coll’antichità e la nobiltà delle architetture vicine. Eppure quel progetto – poi sepolto nel solito polverone delle paure italiane – è risultato vincitore in un concorso internazionale appositamente bandito.
‒ Antonio Natali
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #7
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