2018 Anno Europeo del Patrimonio. Un’occasione sprecata?
L’Anno Europeo del Patrimonio Culturale può diventare un’occasione di cambiamento: trasformare il patrimonio stesso in welfare e spinta a nuovi investimenti.
Nel 2018 ci può attendere l’ennesimo anniversario, materia prima dei nostalgici degli appuntamenti pluriennali e dei tavoli autoreferenziali – quelli a cui partecipano non solo sempre gli stessi, ma sempre gli aderenti al medesimo pensierounico, tutto attaccato.
Oppure possiamo mettere in agenda un sentiment comune, cominciando dal concetto profondo di identità e da una nuova visione del patrimonio culturale.
Intanto abbiamo un emergente bisogno di riflettere su quello che, in questa sede, ho definito “mobile identità”, provando a ragionare sull’improcrastinabile esigenza di superare lo iato fra un’identità concepita come binomio appartenenza/esclusione, o piuttosto come inclusione a tutti costi. Al contempo c’è la necessità di coltivare uno sguardo inedito sul concetto di patrimonio: asset da valorizzare, certo, ma non solo come bene immobile, quanto anche come segno identitario, strumento di partecipazione, economia di senso, generatore di simboli. E mentre registriamo la museification cinese con un ritmo che sta creando oltre cento musei l’anno (alcuni però già in chiusura, a quanto pare), oltre oceano abbiamo assistito al fallimento a New York di uno dei musei più famosi al mondo, il Metropolitan, per anni esempio di buona gestione, fundraising e accountability. Quasi come se la storia non riuscisse a sottrarci a corsi e ricorsi, e al divario Oriente/Occidente.
“C’è la necessità di coltivare uno sguardo inedito sul concetto di patrimonio: asset da valorizzare, certo, ma non solo come bene immobile, quanto anche come segno identitario, strumento di partecipazione, economia di senso, generatore di simboli”.
La sfida diventa dunque quella di un “oltre” che possa superare e integrare l’assunto del patrimonio culturale-macchina efficiente (la visione sostanzialista), per guardare ai valori, ai processi, alle relazioni (la visione progettuale). “Chi lavora nei musei ha messo a fuoco soprattutto ciò che è ‘peculiare’ (le collezioni per esempio) piuttosto che ciò che è ‘importante’ (le finalità sociali). Ma essere ‘devoted-to-objects’ anziché ‘driven-by-purpose’ non renderà un museo eccellente più di quanto un’ordinata contabilità possa rendere florida un’impresa”. Esserne consapevoli è il primo passo per divenire attori di un cambiamento nel cui solco il patrimonio culturale da rendita diventa strumento di welfare e leva per nuovi investimenti.
‒ Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #39
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