Via Emilia on the road
La mostra allestita anche nei Musei Civici di Reggio Emilia prende le mosse dalla storica strada che, fin dal 187 a.C., unisce Rimini e Piacenza. Ampliando lo sguardo all’idea stessa di “strada” e alle sue declinazioni in ambito cinematografico, letterario e architettonico.
Talvolta segni apparentemente marginali mostrano un’intrinseca aderenza allo spirito del tempo e dei luoghi. Chi andasse in questi giorni a Reggio Emilia vedrebbe uscire dalla nebbia non solo i campanili ma Orson Welles, Kirk Douglas, Charlton Easton, Russel Crow, Marlon Brando, Peter O’Toole – quelli che nel ricordo sono Giulio Cesare, il Gladiatore, Ben Hur. Fondo giallo, iconografia raffinata tra citazione dello spettacolo popolare e manifesto pubblicitario: su tutto un codice da mal di testa (On The Road – Via Emilia – 187 a.C. ‒ 2017) una sfida per chi ha studiato le incisioni latine sulla morbidezza ocra della pietra e oggi deve riconoscerle nel fluo dell’highlight, con i pixel come unità di misura tra l’infinitamente piccolo di una strada consolare e l’infinitamente grande del mondo. “Mattitudine” emiliana? Mica tanto, piuttosto una lucida scelta di comunicazione culturale che passa dal colore pop per eccellenza, i volti del cinema, riconnette la grande e la piccola storia, e ci ricorda la dimensione diacronica del tempo, il suo presente infinito. Fatto sta che su questa strada ora messa in mostra ‒ segno tra i segni imperituri, simbolo e visione della potenza caduca dell’impero ‒poggia una civiltà. Fu infrastruttura utile ante-litteram, pensiero e progetto politico, main street dei piaceri e della conoscenza, della spiritualità e del rispetto per i vivi e per i morti.
TRANSITI MILLENARI
Luogo di inclusione dei popoli, di sviluppo dei transiti e dei traffici, sepolcreto per la rimembranza, riparo condiviso, comunità di comunità. Dal 187 a.C., costruita per volere di Marco Emilio Lepido, la Via Emilia ‒ che va da Rimini a Piacenza ‒ è una linea di cittadinanza trasversale per la manifattura, l’ingegno, le arti, la cultura, lo stile di vita, la politica nel senso alto della polis. Potere delle coincidenze, la millenaria Via Emilia, una realtà aumentata in ogni tempo, avanguardia e landmark, si incrocia con il più carismatico e leggendario dei libri dedicati al viaggio nel secolo breve ‒ On the Road di Jack Kerouac. Nel titolo c’è il fuori sincrono ipertestuale di un viaggio umano, sociale e culturale; la libertà di mescolare idee viaggi e paesaggi; ci sono i salti geologici – con la balena fossile Valentina ritrovata alle pendici dell’Appennino ‒, una preview accanto alla coppa d’oro che ricorda quanta maestria questi popoli ebbero nella lavorazione dei metalli; gli spostamenti dei significati, come nei racconti di Cavazzoni, nei film di Fellini, nelle canzoni che hanno narrato poetiche, sensibilità, storie, sguardi. È dunque perfettamente filologico che la mostra si apra con il frame di Amarcord sul molo e la spiaggia di Rimini per rimandare poi al grande cippo dedicato a Marco Emilio Lepido, il console costruttore di strade – e infine alle citazioni di Omero e Francesco Guccini sulla strada.
UNA MOSTRA A PIÙ VOCI
Il progetto ‒ a cura di Luigi Malnati, Roberto Macellari e Italo Rota – mantiene e dispiega la promessa museografica e lo fa con un contenuto sensibile, insidioso e complesso, con l’identitaria iconica e mitica Via Emilia. Quello che nel passato recente era stato l’esercizio dell’infinito contemporaneo come piattaforma di associazioni, dialoghi, inspiration trova oggi pieno compimento. L’innovazione linguistica del processo espositivo ha nella mostra sulla Via Emilia, forte anche di un dialogo professionale e scientifico con gli archeologi e di una solida concezione grafica, la sua più alta rappresentazione – dentro e oltre il museo. Con gli archivi come stock dinamico degli immaginari e il reperto che agisce come matrice, opera e dispositivo della relazione, forte del suo potere estetico evocativo e simbolico. Accade nelle sale dedicate ai sepolcrari e alla mobilità, senza dimenticare le microarchitetture che introducono agli ambienti di vita contrappuntate da citazioni dei cantautori più celebrati: sopra un cielo di immagini cinematografiche e fotografiche che ha costruito la narrazione di questa terra e anche il suo culto laico.
RIMANDI E CITAZIONI
Immersiva, multimediale, mai didascalica, la mostra ha anche un corredo di rimandi intelligenti e puntuali: gli strumenti di lavoro di Gaetano Chierici e degli archeologi contemporanei, una chiosa alle sale del piano terra; la citazione di Caio Giulio Valente rispetto alla visionaria idea di modernizzazione di una comunità, e il pensiero va all’Alta Velocità e ai ponti di Calatrava; le riflessioni dell’Agrimensore sulla solidità dell’accampamento; l’immenso contenitore per le vivande definito gran bollito. Perpendicolare alla Manica Lunga una monumentale timeline che va dall’avanti Cristo al Freccia Rossa: di fronte uomini i cui pensieri e progetti hanno accompagnato main street di carta o d’asfalto – Jack Kerouac, Ludovico Ariosto, Christo, Robert Venturi, Ed Ruscha, Gustave Eiffel. Sullo sfondo una foto dallo spazio: vista da là la potenza di ogni impero si accompagna all’infinita vanità del tutto. Chiude idealmente la mostra un dialogo silenzioso che non potrebbe essere più poetico e commovente: il cucciolo di capodoglio imbalsamato spiaggiato a Marzocca di Senigallia nel 1938, per generazioni di reggiani oggetto delle meraviglie e dello stupore, davanti all’immagine di Luigi Ghirri Marina di Ravenna (1986), più che un’immagine un archetipo. Lì c’è tutta la storia e la geografia di una strada, la capacità di rigenerazione degli immaginari, il sentire di popoli e civiltà, tutta la terra e tutto il cielo su cui appoggiare il proprio passo. Tutto il presente infinito che va da Piacenza a Rimini passando per il mondo.
‒ Cristiana Colli
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