Pompei è viva. E arriva al Madre di Napoli

Una mostra immaginifica che trasforma il museo in elastica macchina spazio-temporale. Una sfida curatoriale impegnativa, con riflessi metalinguistici sullo statuto dell’arte, ma soprattutto un palinsesto espositivo capace di fondare un metodo che non c’era: la materia archeologica di “Pompei@Madre”.

Mostra coraggiosa, Pompei@Madre: si incammina infatti sullo scivoloso rapporto fra arte e uso.
Far dialogare non solo manufatti creativi ma anche oggetti funzionali archeologici con opere d’arte contemporanea, e così trasformare il segno semantico di Pompei in una fluida materia mostrante transiti e osmosi tra i due ambiti e fecondante presente e futuro, è infatti una prospettiva curatoriale ben più profonda rispetto ai molti esperimenti finora reiterati di meccanici citazionismo, ambientazione o ispirazione site specific. Tuttavia, si rischiava il bozzettistico, dato che molti dei reperti pompeiani sono peculiarità raramente o mai esposte. Invece la sensazione di giustapposizione o attrito non c’è mai, quella di pindarico talora, ma ciò significa che l’obiettivo nel complesso è raggiunto, seppur a volte per via immaginifica.

Mimmo Jodice, Gorgoneion, Opera I, 1982. Courtesy l’artista © Mimmo Jodice

Mimmo Jodice, Gorgoneion, Opera I, 1982. Courtesy l’artista © Mimmo Jodice

DA REBECCA HORN A MIMMO PALADINO

Illuminante l’intento di trasformare atrio e primo piano di Palazzo Donnaregina, sede del Museo Madre di Napoli, in una domus, capace di rimettere in prospettiva con nuovi sensi non solo le opere permanenti, ma soprattutto l’intero organismo e ruolo museale, rendendolo casa intima e vissuta per la fruizione e produzione dell’arte. Riuscito il rapporto tra la connessione vita/morte di Rebecca Horn e columelle funerarie, o tra Anish Kapoor e arule bruciaprofumi, gettante nuova luce sulla duplice spiritualità ctonia e celeste dell’anglo-indiano, così come intrigante è l’assonanza rintracciata tra l’ironia di Jeff Koons sulla mercificazione artistica e proiettili di epoca sillana. Più spinta ed esteriore, ma di immensa fascinazione, la collocazione di copie di calchi tra i sintetici archetipi umanoidi della sala di Mimmo Paladino, novello cubiculum.

Contenitore con uova conservate nell’argilla, I secolo d.C. Pompei, Casa di Giulio Polibio (IX 13,1 3). Parco Archeologico di Pompei. Photo © Amedeo Benestante

Contenitore con uova conservate nell’argilla, I secolo d.C. Pompei, Casa di Giulio Polibio (IX 13,1 3). Parco Archeologico di Pompei. Photo © Amedeo Benestante

UN INCONTRO DI EPOCHE

Al secondo piano, il registro muta nella continuità, librandosi ancor più apertamente nel trasformare il museo in un dispositivo temporale fluido in cui effettivamente avviene la malìa di percepire reperti come segni linguistici coerenti col presente e viceversa. Non solo, infatti, più accademicamente si tracciano le fonti di estetiche postmoderne come quelle di Iman Issa o Maria Loboda o si testimoniano le fascinazioni dall’antico, fondative in Mimmo Jodice o più episodiche in Roman Ondák, Laure Prouvost e Nan Goldin, ma, andando molto più a fondo, si enfatizza la straniante sospensione acronica di Robert Rauschenberg, Haris Epaminonda, Jimmie Durham e Goshka Macuga, o mortifera di Roberto Cuoghi, in un impasto libero ma di certo fecondo di suggestioni, in cui non si sa più a che epoca attribuire cosa, e persino oggetti d’uso rivelano inconsce potenzialità creative.
In un’ottica dialettica, come ricorda il direttore e curatore Andrea Viliani, benjaminiana non solo tra epoche, ma anche tra statuto dell’arte o della funzione. Eva Cantarella docet, oggi Pompei è viva più di ieri.

Diana Gianquitto

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #8

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Diana Gianquitto

Diana Gianquitto

Sono un critico, curatore e docente d’arte contemporanea, ma prima di tutto sono un “addetto ai lavori” desideroso di trasmettere, a chi dentro questi “lavori” non è, la mia grande passione e gioia per tutto ciò che è creatività contemporanea.…

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