“Un signore così europeo e dandy”. Vittorio Sgarbi ricorda Philippe Daverio
Il popolare critico d’arte ripercorre la vita di Philippe Daverio, divulgatore e saggista recentemente scomparso. Contattato da Artribune, Sgarbi ripercorre la carriera di Daverio, dall’apertura della galleria a Milano alla nascita della trasmissione Passepartout
Il fenomeno Daverio è abbastanza complesso, si sviluppa in quattro tempi. Il primo tempo vede un Daverio 26-27enne, siamo nel 1975. Io sono appena laureato e vado a Milano a visitare le gallerie d’arte: erano Il Milione, la Galleria del Cavallino, Farsetti, Studio Marconi, Lorenzelli, certamente belle e importanti ma come un po’ “ingessate”, anche se al loro interno esponevano le avanguardie che sono tutto tranne che ingessate. C’era invece una galleria dall’aria allega, anticonformista e anticonvenzionale, dalla freschezza giovanile – nonostante esponesse Severini e de Chirico – ed era la galleria di Daverio, aperta in Via Montenapoleone numero 6, un indirizzo generalmente connesso alla moda, dove aveva creato una dimensione molto attrattiva e che era propensa anche a muoversi verso artisti minori o sconosciuti. Ricordo che era un appuntamento che aveva una felicità e un’eccitazione superiori rispetto a quelle delle gallerie tradizionali.
VITTORIO SGARBI RICORDA PHILIPPE DAVERIO. DALLA GALLERIA D’ARTE A MILANO ALLA POLITICA
La galleria dura fino al 1989, contemporaneamente l’Italia attraversa tangentopoli e cambia il suo assetto politico. Guarda caso, nel 1993 questo signore così europeo, così dandy e così politicamente corretto almeno all’apparenza accetta di diventare Assessore alla Cultura di Milano per la Lega, che all’epoca era molto diversa, era la Lega di Bossi. Il sindaco di Milano era Formentini, e non c’era un solo intellettuale che si sarebbe messo con la Lega (diversamente da oggi, essendo gli intellettuali servi sono pronti a stare dalla parte di chi vince). Il quel caso la vittoria amministrativa non fece comunque della Lega un partito che potesse essere interessante per gli uomini di cultura; ma Daverio fece l’assessore per un periodo lungo, portando avanti diverse iniziative tra cui l’acquisto – da parte della Regione per il Comune – di un capolavoro di Antonello da Messina e di due capolavori di Canaletto. Basta questo per dimostrare che una persona competente fa anche acquisti importanti e duraturi.
PHILIPPE DAVERIO. DALL’INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO ALLA TV
Finista questa esperienza, Daverio pare uscire dalle logiche politiche. Lo ritroviamo però a Palermo a insegnare all’Università, pur non essendo laureato. Si innamora di Palermo, cosa per niente strana perché Palermo è molto fascinosa, ma la Sicilia alla fine è ingannevole, e Daverio dopo molte cose fatte ha una formidabile litigata durante il Festino di Santa Rosalia. Capisce che la Sicilia è un luogo infrequentabile, ma nel 2008, quando sono stato sindaco di Salemi, ha accettato la carica onorifica di bibliotecario insieme a Oliviero Toscani e tanti altri personaggi che avevo portato in questa piccola città che si era molto animata. A questo punto, Daverio decide di raccontare l’arte in tv, seguendo il mio esempio. Io l’avevo fatto in maniera non “sistematizzata”, lui invece decide di potenziare questo racconto con il programma Passepartout. Diciamo che abbiamo fatto vite parallele: io ho fatto l’assessore dopo di lui a Milano, lui ha fatto televisione dopo di me, abbiamo scritto entrambi libri di grande tiratura e ci siamo mossi lui sull’arte contemporanea e l’arte antica, e io sull’arte antica e quella contemporanea, avendo molte posizioni in comune rispetto ai ghetti e ai gruppi di altri critici come Bonito Oliva, Bonami o Celant, che nessuno ha mai rimpianto. La scomparsa di Celant è stata molto lamentata dagli ambienti alti, ma il popolo non sapeva nemmeno chi fosse. Questi critici non hanno mai raggiunto una dimensione democratica come me e Daverio, parlando d’arte a tutti perché l’arte è di tutti. Questa è stata la sua caratteristica principale e la sua principale somiglianza con me.
– Vittorio Sgarbi
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