Colosseo: questo Parco archeologico s’ha da fare. Franceschini la spunta contro il Tar e la Raggi
Prima un tweet. poi una conferenza stampa. Il Ministro Franceschini esulta per questo nuovo parere del Consiglio di Stato, che annulla l’odiosa sentenza del Tar. Quella che dava ragione a Virginia Raggi e che bloccava il nuovo Parco del Colosseo. Proprio come era accaduto con la sospensione di 5 direttori museali scelti tramite bando internazionale. Adesso, il percorso riparte…
Per Virginia Raggi, Luca Bergamo, la compagine grillina e il Tar del Lazio si trattava di un provvedimento iniquo, che sottraeva risorse alla Capitale a beneficio dello Stato e di una sola parte del patrimonio capitolino. Nei fatti però, stando al parere insindacabile del Consiglio di Stato, l’unica cosa sottratta al dibattito pubblico, alle Istituzioni, alla vita culturale del Paese, è stato il tempo. Tempo prezioso, perduto fra accuse, ricorsi, contro ricorsi, scontri arroventati a mezzo stampa e sui social. Il tutto con un sapore smaccatamente politico, nel senso meno interessante del termine: lotte fra partiti e forme del potere, in prospettiva elettorale. M5S contro PD, ma anche – mestamente – Comune di Roma contro Ministero dei Beni Culturali. Era davvero necessario?
LE STENTENZE DEL CONSIGLIO DI STATO. DOPPIA VITTORIA PER IL MINISTRO
L’istituzione del Parco Archeologico del Colosseo era l’ultimo tassello di quella Riforma voluta dal Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, grazie a cui una trentina di musei e siti archeologici nazionali hanno ottenuto autonomia amministrativa e direttori indipendenti, individuati tramite bandi internazionali. Un percorso innovativo, che il Tar del Lazio per ben due volte aveva interrotto: illegittima la nomina di cinque direttori (sentenza dello scorso maggio, a seguito del ricorso di alcuni candidati) e illegittima la creazione del suddetto Parco (sentenza di giugno, a seguito del ricorso del Campidoglio).
Alla doppia sconfitta, però, è seguita una doppia rivincita. Il 15 giugno 2017 il Consiglio di Stato reintegrava i cinque super direttori, sospesi per vizi di forma del concorso o – nel caso di Peter Assman, assegnato al Palazzo Ducale di Mantova – in quanto stranieri (la sentenza definitiva è comunque attesa per il 26 ottobre); e ieri, 24 luglio, è arrivato l’epilogo sulla vicenda Colosseo, a tre mesi dal ricorso della Raggi. Tre mesi di malumori e di paralisi. E adesso, rewind. La riforma ha facoltà di procedere. La tesi del Tar cade, la battaglia della Sindaca si arena e le ragioni del Ministero vengono interamente accolte.
A ripartire subito è l’iter del concorso per l’individuazione di un direttore-manager che presiederà al Parco – nomina attesa per gennaio 2018 – ovvero quei 78 ettari comprendenti l’iconico Anfiteatro Flavio, i Fori, il Palatino e la Domus Aurea. E riprende il processo di riorganizzazione di quest’area centrale, compattata in un unico corpo amministrativo: tutti i beni che ricadono oltre il perimetro saranno invece gestiti dalla Soprintendenza Archeologica Speciale.
Ma cosa ha convinto il Consiglio di Stato? Come mai la teoria della Raggi, suffragata dal Tar, è crollata come un castello di carte? Tre le questioni intorno a cui ruotano le sentenze depositate il 24 luglio:
1) Il necessario coinvolgimento di Roma Capitale nel processo decisionale: per i giudici è una tema che non concerne la fase dell’istituzione del Parco (di legittima competenza dello Stato e del relativo Dicastero), ma che andrà ad articolarsi nella fase successiva di gestione dei beni;
2) la natura della fonte istitutiva del Parco, che per il Campidoglio era anomala: il collegio ha ritenuto che, in virtù della legge speciale, il Ministero era autorizzato ad adottare un decreto non regolamentare;
3) la nomina di un direttore tramite selezione pubblica internazionale: tutto lecito. Se è vero che è ammessa la possibilità di riservare dei posti a soli cittadini italiani, con deroga al principio generale di libera circolazione dei cittadini europei, questa riserva riguarda soltanto alcuni funzioni, quali quelle relative a “forze armate, polizia e altre forze dell’ordine pubblico, magistratura, amministrazione fiscale e diplomazia”. Tre goal su tre.
LA SUDDIVISIONE DEGLI INCASSI
E mentre Franceschini gongola, annunciando il prestigioso ingresso di Irina Bokova, Direttore Generale Unesco, nel consiglio d’amministrazione del costituendo Parco, e organizzando una conferenza stampa il 25 luglio, Virginia Raggi sceglie il silenzio. Nessun post trionfale stavolta, come quando, all’indomani della sentenza del Tar aveva esultato: “Hanno vinto i cittadini. Sconfitto tentativo Governo, Roma resta di tutti”. Ma chi voleva rubarne un pezzo? Lo Stato? A danno dei romani? “Non posso sorvolare”,aveva detto la Sindaca nel suo J’accuse, “sul fatto che lo Stato centrale voglia gestire, in totale autonomia senza consultare nessuno, il territorio della città che, invece, è patrimonio dei suoi cittadini”: ma non è forse da sempre che il Colosseo ricade sotto la giurisdizione statale? E quando mai l’ammontare della bigliettazione è andato all’amministrazione comunale?
Una tesi tutta smontata, dunque, quella dell’appropriazione indebita, come quell’altra che pretendeva – con inverosimile provincialismo – la garanzia d’italianità per i direttori vincitori di concorso.
Il Parco del Colosseo dunque era, è e sarà di tutti, com’è ovvio. E da oggi opererà, a vantaggio di efficienza e snellezza, con statuto e bilancio autonomi. Gli introiti dei biglietti saranno così distribuiti: il 30% andrà alla Soprintendenza che opera sul resto del territorio romano (non certo al Comune di Roma!), e il tutto avverrà in modo automatico e diretto, senza più passare dal Mibact. La cifra è stata calcolata per eccesso, sulla base di quanto – già in precedenza – veniva destinato al patrimonio capitolino: “Andando a controllare nello storico del bilancio della Soprintendenza”, ha spiegato Franceschini in conferenza stampa, “abbiamo visto quante erano le risorse utilizzate per le attività nel resto di Roma: non si erano mai avvicinate al 30% degli incassi”. Il 50% rimarrà invece al Parco per sviluppo e tutela, e il rimanente 20% finirà, come sempre, al fondo di solidarietà nazionale per il patrimonio “minore”.
SI RIPARTE, NEL SEGNO DELLA COLLABORAZIONE
Rassicurazioni arrivano anche sul tema della dialogo inter-istituzionale: totale la disponibilità del Ministero a confrontarsi con il Sindaco e la Giunta – un incontro è stato già fissato per il 2 agosto – come del resto era stato dimostrato dal confronto avvenuto placidamente in vista della firma dell’Istituzione ufficiale del Parco (subito dopo arrivò, come una doccia fredda, l’annuncio a sorpresa del famoso ricorso: in quell’occasione Franceschini parlò di “scorrettezza istituzionale“).
“Sono assolutamente aperto a forme di collaborazione sull’area archeologica centrale, nella misura e nella formalità che concordemente troveremo”, ha commentato oggi il Ministro. “Così come non ho nessuna difficoltà a trovare forme di collaborazione che riguardino non solo il Parco, ma anche il resto del patrimonio di Roma. L’importante è che ci sia un minimo di bilateralità, perché in tutte le scelte che il Comune ha fatto in questo anno nessuno mi ha mai informato di nulla”.
Del resto, basterebbe ricordare il protocollo che il Mibact siglò il 21 aprile del 2015 con Roma Capitale, quando a guidare la città c’era Ignazio Marino. L’accordo metteva nero su bianco la volontà di operare in sinergia per la valorizzazione dell’area archeologica centrale, tramite la regia unica di un apposito “Consorzio per i Fori”: venne definito un “atto storico”. Altri tempi, evidentemente. Altri animi e altre visioni politiche, ma soprattutto la volontà di costruire intese, non fratture. Da lì, in teoria, si riparte. “Come ribadito dal Consiglio di Stato”, ha aggiunto il Ministro, “quell’accordo resta valido: cambia solo uno dei due interlocutori, che non sarà più il Soprintendente Speciale ma il Direttore del Parco Archeologico”.
Dal fronte degli “sconfitti” arriva oggi solo un commento. Quello del Vicesindaco e Assessore alla Cultura di Roma, Luca Bergamo: “Il Consiglio di Stato ha ribaltato il pronunciamento del Tar partendo da una valutazione che noi non condividiamo, ma rispettiamo”.
BUONI NUMERI E MOLTO DA FARE
Ora, il rischio che la Rriforma si accasciasse su sé stessa, lasciando dietro di sé solo l’ombra di un tentativo abortito, è scampato. Quanto e come funzionerà il nuovo assetto sarà questione dei prossimi mesi, anni. Intanto, dalla sua, Franceschini sciorina dati tutti positivi: “Nel primo semestre di quest’anno il numero dei visitatori del Colosseo è aumentato del 12,5% e gli incassi del 10,98%”, mentre i visitatori complessivi di tutti i musei statali sono cresciuti del 7,3% rispetto allo stesso periodo del 2016. Il che significa oltre 23 milioni di ingressi, quasi 2 milioni in più rispetto al 2016 e 4 milioni in più rispetto al 2014, periodo pre riforma.
Basta? Certo che no. Se i numeri sono indicatori preziosi, indispensabili e concreti, è sul piano dei contenuti, delle idee, delle strategie, del reale impatto sociale e culturale sul pubblico che occorre spingere e attuare verifiche. Perché all’aritmetica si affianchi anche l’arditezza di una visione e il sapore di una reale conquista. In tal senso molto avranno da dimostrare i nuovi direttori, professionisti accreditati, scelti – finalmente – per mezzo di bandi pubblici internazionali, non più tra le fila delle amministrazioni. Ed è già qualcosa.
– Helga Marsala
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