Arte precolombiana. La Collezione Ligabue a Venezia
Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia ‒ fino al 30 giugno 2018. Sbarca in Laguna la mostra dedicata a una delle più esaustive raccolte sulle antiche culture della Mesoamerica, la Collezione Ligabue.
È appena cominciata a Palazzo Loredan, sede dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti di Venezia, e rimarrà aperta fino al 30 giugno, la mostra Il mondo che non c’era. L’arte precolombiana nella Collezione Ligabue, un’esposizione dedicata alle antiche culture della cosiddetta Mesoamerica (gran parte del Messico, Guatemala, Belize, una parte dell’Honduras e del Salvador), il territorio di Panama, le Ande (Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia, fino a Cile e Argentina): dalla cultura Chavin a Tiahuanaco e Moche, fino agli Inca. Si tratta di un corpus di capolavori straordinari appartenenti una delle collezioni più complete e importanti in quest’ambito in Italia ‒ la Collezione Ligabue ‒, esposti al pubblico per la prima volta grazie a questo progetto. La mostra fu ideata poco dopo la scomparsa di Giancarlo Ligabue ‒ imprenditore ma anche paleontologo, studioso di archeologia e antropologia, esploratore e appassionato collezionista ‒ dal figlio Inti, che con la Fondazione Giancarlo Ligabue continua l’impegno nell’attività culturale, nella ricerca scientifica e nella divulgazione dopo l’esperienza del Centro Studi e Ricerche fondato oltre quarant’anni fa dal padre Giancarlo.
LA MOSTRA
Una parte di questa collezione, il cuore della mostra, è curata da Jacques Blazy, specialista delle arti pre-ispaniche della Mesoamerica e dell’America del Sud. Tra i membri del comitato scientifico anche André Delpuech, direttore del Musée de l’Homme di Parigi e già responsabile delle Collezioni delle Americhe al Musée du quai Branly, e l’archeologo peruviano Federico Kauffmann Doig, entrambi anche componenti del comitato scientifico della Fondazione Giancarlo Ligabue.
Si tratta in realtà di culture che in molta parte devono ancora essere e studiate e comprese: annientate, annichilite e ignorate per lunghi anni dopo la scoperta di quelle terre da parte dei Conquistadores, ammaliati solo dalle ricchezze materiali, autori di stragi e razzie. Dovranno passare almeno quattro secoli prima che l’Europa prenda nuovamente coscienza della grandezza dell’arte dell’America antica, verso cui convergerà l’interesse, fra gli altri, di Diego Rivera, Frida Kahlo e dei surrealisti André Breton, Paul Éluard e Henry Moore.
IL CONTESTO
E ci è parso proprio questo l’aspetto più straordinario di questa edizione della mostra, che ha già fatto tappa a Firenze, Rovereto e Napoli: la location scelta per l’edizione veneziana. Gli stampatori veneziani furono tra i principali protagonisti della rapida e massiccia diffusione europea delle notizie che giungevano dal Nuovo Mondo (Venezia venne superata solo da Parigi per numero di testi sulle Americhe pubblicati nel Cinquecento) e in alcuni casi i testi veneziani rappresentano le fonti più antiche, essendo andati perduti i relativi manoscritti.
La cornice spettacolare della biblioteca di Palazzo Loredan rende l’esposizione un vero gioiello estetico e concettuale. Collocando le statuette e gli ori precolombiani accanto ai lampadari, gli intarsi e i libri veneziani si ricreano in un certo senso quel cortocircuito e quello stupore nel vedere i due mondi avvicinati. L’impatto con questi esseri enigmatici e misteriosi si sente già nell’androne del palazzo, nel dialogo tra la riproduzione della grande maschera da Agamennone peruviano e i busti dei notabili in marmo: il mondo che non c’era si trova accanto a quello “che c’era”, componendo il nostro.
‒ Francesca Magnani
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