Una collezione viva. Intervista agli eredi di Giuseppe Panza di Biumo
Parola a Rosa Giovanna Magnifico, vedova di Giuseppe Panza di Biumo, e alla figlia Giuseppina in occasione della mostra allestita al Mart di Rovereto. Un inedito approfondimento su alcune opere presenti nella raccolta e sulle sue peculiarità.
Incontriamo Rosa Giovanna Magnifico, vedova di Giuseppe Panza di Biumo, e la figlia Giuseppina all’ultimo piano di Villa Panza a Varese, dove ogni centimetro parla della grande storia di collezionismo che l’ottantacinquenne signora ha condiviso con il marito. La loro è una delle collezioni private più note al mondo. Ora della collezione si occupano in particolare i figli Giuseppina e Alessandro.
Parliamo della bella mostra ospitata nelle sale del Mart, a Rovereto, intitolata Focus | La materia della forma, curata da Denis Isaia e Gianfranco Maraniello. La mostra presenta aspetti inediti della collezione. Nel 2006 il collezionista scriveva nel suo prezioso volume di ricordi: “Una collezione è anche la storia personale di chi la crea poco per volta, nel mio caso durante un lungo periodo, quasi cinquant’anni. È anche la proiezione della propria personalità negli artisti e nelle opere scelte”.
Chiediamo loro di parlarci della storia di queste opere, acquistate da Giuseppe Panza prima della sua morte, avvenuta nel 2010, in particolare delle tre mai esposte, quelle di Richard Nonas, Roni Horn e Bernard Joubert.
“Quell’ opera di Nonas, ‘Jaw Bone’, del 1973, è difficile da realizzare. Noi avevamo acquistato il progetto, ma ci vogliono dei legni particolari. Una delle travi che la compone doveva essere lunga 5 metri. Non era facilissimo trovarla, doveva essere legno vecchio, usato. Nonas stesso li ha trovati e ci ha spedito i pezzi dagli Stati Uniti. In realtà l’ha tagliata in due ma ha trovato un escamotage espositivo, in modo che sembri un’unica trave. Inizialmente l’opera doveva essere composta da tre travi, ora, invece, sono quattro”.
L’installazione di Roni Horn, Post Work III, del 1987, che occupa un’intera stanza, è costituita da alcune lunghe “pale” di piombo, che sembrano semplicemente appoggiate al muro. È un’opera incombente, di grande forza.
Giuseppina Panza di Biumo: In realtà tutti i pezzi sono saldamente fissati. Abbiamo parecchie altre opere dell’artista americana, realizzate con il piombo. Questa il papà l’ha comprata, alcuni anni fa, a New York, da Lelong e non l’ha più vista allestita. Quell’opera presenta una notevole difficoltà di montaggio, bisogna seguire lo schema fornito dall’artista.
E per quanto riguarda Travail No.500 di Bernard Jubert del 1974?
Rosa Giovanna Magnifico: Ne sappiamo poco, Beppe lo ha acquistato nel 1975. Lo ha visto a Bologna in fiera, ma poi lo ha acquistato a Milano, probabilmente da Françoise Lambert. Abbiamo altre tre opere di questo artista francese, oggi settantenne. A quel tempo delimitava lo spazio con delle righe colorate o bianche o grigie o nere. È un lavoro molto poetico.
Interessante anche il lavoro di Larry Bell, Two Glass Walls, del 1972.
R. G. M.: È un artista che seguiamo da molti anni, abbiamo iniziato acquistando delle piccole scatole di vetro, ma anche il lavoro grande qui esposto è assai affascinante.
Con queste opere si ha una particolare percezione dello spazio e di se stessi. Non si capisce se si è riflessi, se ci si vede attraverso le due lastre, che sembrano allargarsi. È un gioco spiazzante.
Di grande poesia sono anche i lavori della tedesca Christiane Löhr, costituiti da elementi naturali.
G. P. D. P. e R. G. M.: Infatti, noi la amiamo molto con quel suo senso di precarietà, di fragilità. Del resto la vita di ogni essere vivente ha un inizio e ha una fine. Ma amiamo anche la forza di sopravvivenza.
In fondo in tutta la vostra collezione c’è questo taglio esistenziale, di caducità dell’esistenza.
G. P. D. B.: Certo. Papà parlava sempre della morte. Per lui la morte era una condizione obbligata che affrontava con grande serenità.
Ricordo bene, questo suo aspetto, questa sua lettura dell’arte.
R. G. M.: Il suo padre spirituale è stato per molti anni David Maria Turoldo, che poi è diventato il nostro padre spirituale. Abbiamo fatto discussioni interminabili, sono stati anni molto belli.
Qual è stato il rapporto vostro, tuo e di Beppe, con i musei? Adesso queste opere rimarranno al Mart?
R. G. M.: Quelle no, ma altre quattro opere della collezione resteranno al Mart in comodato. Sono di Sol LeWitt, Hamish Fulton, Hanne Darboven e Joseph Kosuth. Mio marito diceva sempre: “I musei sono poveri, vanno trattati bene”. Non abbiamo mai fatto pagare un prestito, ci pareva e ci pare moralmente disonesto. La divulgazione della conoscenza dell’arte è stata per Giuseppe e per noi una necessità e un piacere.
Peccato che la sua città, Milano, non abbia nulla di Panza.
R. G. M. e G. P. D. B.: Milano non ci ha voluti. Molti artisti milanesi erano infastiditi di non essere in collezione. Del resto lui non ha mai voluti farli contenti acquistando loro un’opera. Beppe diceva sempre: “Io faccio quello che voglio, mi voglio dedicare agli artisti stranieri che in Italia non vengono e voglio portarli qui. Là ci sono una vitalità, un’energia contagiose”.
Ma forse un giorno le cose cambieranno, però i tempi sono ancora immaturi.
– Angela Madesani
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