I Premi della Biennale di Venezia. La Germania vince tutti i Leoni d’Oro
Assegnati i Leoni della a57. Biennale di Venezia. La Germania esce trionfante da questa edizione, mentre artisti del Kosovo, del Cairo e del Brasile portano a casa dei bei risultati. Niente per l’Italia, che pure si era distinta con un’ottima performance.
Si chiude col rituale dei Leoni, al termine dei quattro giorni convulsi di vernice, anche questa 57. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Annunciati, nella sede istituzionale della Sala delle Colonne di Cà Giustinian, a pochi passi da Piazza San Marco, i vincitori di questa edizione, curata dopo decenni da una personalità francese: Cristine Macel.
Dopo i saluti e i ringraziamenti di rito a Carolee Schneemann, insignita lo scorso aprile del Leone d’Oro alla Carriera, il Presidente Paolo Baratta, insieme ai giurati – Francesca Alfano Miglietti, Manuel J. Borja-Villel, Amy Cheng, Ntone Edjabe, Mark Godfrey – e ad alcuni rappresentanti del Governo e del Parlamento italiano, ha dato il via alla cerimonia delle assegnazioni.
TUTTI I PREMI
Menzione speciale agli artisti Charles Atlas (Saint Louis, USA, 1949) e Petrit Halilaj (Skenderaj, Kosovo, 1986); menzione speciale per le partecipazioni nazionali al Brasile, rappresentato da Cinthia Marcelle (Belo Horizonte, 1974); Leone d’Argento miglior artista emergente ad Hassan Khan (Cairo, 1975), raffinato ricercatore nel campo della sound art, che con la sua Composition for a Public Park allestita nel Giardino delle Vergini, ha creato per la giuria “un’esperienza coinvolgente che intreccia in modo splendido politica e poetica“. Voce, suono e orizzonte, uniti in un dispositivo percettivo a cielo aperto.
E ancora, Leone d’Oro miglior artista a Franz Erhard Walther (Fulda, Germania, 1939); Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale alla Germania, rappresentata da Anne Imhof (Geissen, Germania, 1978).
IL COLPO GROSSO DELLA GERMANIA
Premiato dunque il progetto radicale della Imhof – come previsto anche da Artribune, nella sua top 5 dei padiglioni ai Giardini – che ha scommesso sulla relazione tra corpo e spazio, mediata da sentimenti d’inquietudine e alienazione, dando vita a “un’installazione potente e inquietante che pone domande urgenti sul nostro tempo”. Così la giuria ha motivato la sua preferenza, puntando l’attenzione sul valore di un “scelta rigorosa di oggetti, corpi, immagini e suoni”, capace di generare “uno stato di ansia consapevole”.
Premiati rigore e radicalità anche nel caso del veterano Erhard Walther, con le sue strutture cromatiche accese, pensate per ridefinire, scandire e articolare lo spazio, attivando relazioni dinamiche tra persone, ambienti e geometrie: un lavoro “che mette insieme forme, colore, tessuti, scultura, performance e che stimola e attiva lo spettatore in un modo coinvolgente”.
ITALIA A BOCCA ASCIUTTA
Una premiazione monocolore, dunque, quantomeno per i due titoli più ambiti, senza badare ad equilibri politici e geografici: trionfo pieno della Germania, per altro meritato. Resta un po’ il dispiacere per l’assenza dell’Italia. Anche solo una menzione al padiglione curato da Cecilia Alemani, che con le opere di Roberto Cuoghi, Giorgio Andreotta Calò e Adelita Husni-Bei ha regalato momenti di altissima qualità e di profonda emozione, poteva starci davvero. Il primo padiglione, in tanti anni, a emergere con forza tra le presenze nazionali. Per molti il vincitore morale, di cui resterà traccia nella memoria, dopo una lunga serie di prove mediocri, irrisolte, se non fallimentari.
– Helga Marsala
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