Camposud: vecchie e nuove egemonie. Il simposio a 80 anni dalla scomparsa di Antonio Gramsci
A ottant’anni dalla scomparsa di Antonio Gramsci, Cagliari ha ospitato un simposio intorno all’influenza che i suoi scritti hanno avuto, e continuano ad avere, sulla cultura, sulla politica e sulla società contemporanea. Lo abbiamo seguito per voi
Per quattro giorni la città di Cagliari ha ospitato un simposio pratico e teorico di arte, filosofia e politica, organizzato in occasione dell’anno gramsciano e curato da Giulia Palomba e Maria Paola Zedda. A ottant’anni dalla scomparsa di Antonio Gramsci, tra i più influenti, illuminati e illuminanti pensatori del secolo scorso, a Camposud — questo il titolo del convegno — si è parlato di egemonia culturale, neoliberismo, strategie di ricerca, confini, questione mediterranea, i Sud del mondo, decolonizzazione, nuove pratiche di conoscenza e nuove pedagogie e cittadinanze, strategie di condivisione, agire politico e pratica (praxis) estetica.
Incontri densi che il più delle volte hanno posto interrogativi, spunti di discussione, più che fornire risposte o indirizzi. Il simposio è stato affiancato da una serie di workshop tenuti da artisti e curatori: Juan Sandoval, Alessandra Marchi, Lisa Parola e Micaela Deiana.
FORMAZIONE DELLA CONOSCENZA
Quando si trattano temi complessi, impegnativi e “impegnati” e soprattutto si vuole aprire il dibatto ai non addetti ai lavori, nel caso specifico a un pubblico non avvezzo all’opera di Gramsci, alla sua eredità nel pensiero contemporaneo, alla sua influenza sulla cultura, sulla società, sulla pedagogia e su tanti altri ambiti, la comprensibilità e la chiarezza degli interventi, seppur nella loro disparità e diversità, diventa un elemento chiave. Non tutti però, soprattutto tra gli accademici, hanno questo dono. Ha aperto il simposio Irit Rogoff, Direttrice del Dipartimento di Arti Visive del Goldsmiths College di Londra, leggendo un paper articolato, senza dubbio brillante e ricco di spunti, ma difficile da assorbire. Ruotando intorno al tema della “singolarità” nel processo di costruzione della conoscenza, ha parlato del fatto che stiamo attraversando una trasformazione rivoluzionaria nell’ambito dell’educazione e che le nostre opportunità di successo sono aumentate solo apparentemente. L’istruzione, ha affermato, “è sott’attacco dal neoliberismo, ma dobbiamo trovare una pratica che non sia una palese forma di resistenza e non cadere nell’errore di sembrare antagonisti”. La ricerca, per la studiosa inglese, non è una semplice indagine della realtà. La sfida è costruire nuove realtà. Particolarmente interessante un suo progetto sull’archivio dell’inarchiviabile.
POLITICHE DI GENERE
Federico Zappino, dottore di ricerca in filosofia politica, studioso di teorie queer, autore di diverse pubblicazioni e traduttore, tra gli altri, di Undoing Gender di Judith Butler, ha sottolineato come non esista un pensiero egemonico ma più pensieri egemonici. Il queer non tanto come contenuto, bensì come metodo epistemologico e politico. Sempre sulle politiche di genere è intervenuto Gianfranco Rebucini (EHESS) per il quale siamo nell’epoca contro-rivoluzionaria. Si chiede come si possa resistere al neoliberismo imperante, fornendo delle possibili soluzioni, condivisibili: adottare una politica anticipatrice, distruggere l’apparenza dell’ordine dato e sconfiggere la depressione come impossibilità dell’immaginazione.
GRAMSCI À LA CARTE
Peter Mayo, docente di pedagogia all’Università di Malta e conoscitore dell’opera di Gramsci ha fatto una “lezione” condensata sui temi più cari a Gramsci, tra cui l’egemonia, il ruolo degli intellettuali, i consigli di fabbrica e lo Stato, nord e sud. Ha concluso il suo brevissimo intervento con una domanda a cui avremmo tanto voluto, da parte sua, delle risposte o proposte: “Che cosa può fare l’educazione?” In dialogo con Peter Mayo, Lisa Parola, curatrice indipendente e tra le fondatrici del collettivo a.titolo, ha sottolineato l’importanza della mediazione perché il ruolo del mediatore è stare nel conflitto, nella complessità. Una risposta al quesito di Mayo potrebbe essere, secondo le parole della curatrice torinese, “portare qualcosa che non c’è”.
NUOVI RADICALISMI POLITICI
Particolarmente controverso e lievemente anacronistico è stato l’intervento di Houria Bouteldja, tra le fondatrici, in Francia, del Partito degli Indigeni della Repubblica, organizzazione “decoloniale e rivoluzionaria”. In rottura con quella che lei chiama la sinistra bianca, che accusa di essere islamofobica e di non essere più all’altezza dei nostri tempi, ha proposto alleanze transnazionali. “La sinistra bianca”, ci dice, “ha trasformato la lotta anti razzista politica in lotta anti razzista morale”. L’organizzazione ha intrapreso una lotta di rivendicazione dell’identità ed è spesso accusata di razzismo e antisemitismo verso i bianchi. Il suo è un approccio radicale che difficilmente riuscirà ad armonizzarsi o “integrarsi” nel contesto politico odierno, francese o internazionale.
PAROLA ALL’ARTE
L’intervento di Marina Fokidis, Founding director della Kunsthalle Athena, fondatrice della rivista South as a State of Mind e curatrice di Documenta14 Atene, è stato particolarmente brillante ed esplicativo. Ha ruotato intorno al concetto di Sud, non interpretato come luogo geografico ma come stato mentale. Bisogna partire dall’insegnamento di Gramsci, ci spiega, per lottare per una nuova cultura. Stando però attenti a non dar forma a nuove egemonie. Chi siamo noi per imporre nuove linee di pensiero? Chi è titolato per farlo? Dal suo intervento sono emersi spunti interessanti che ci hanno fornito più interpretazioni dei Sud del mondo.
L’ARTE (NON) IMPEGNATA
Alfredo Jaar, artista cileno che vive a New York, è stato chiamato a partecipare al simposio avendo realizzato nel 2004-2005 un progetto/omaggio dedicato ad Antonio Gramsci dal titolo Gramsci Trilogy, esposto in diversi musei internazionali. Jaar ha mostrato alcuni suoi recenti progetti d’arte pubblica. Come un attore navigato con un copione e una sceneggiatura di ferro, nel raccontare i suoi progetti, ha puntato tutto su una pratica diffusa tra gli artisti “impegnati” nel sociale: toccare le corde dell’emozione, della pietas. Nel sottolineare il suo impegno sociale e la valenza politica dei suoi progetti, ha mostrato come “intervallo” visivo tra un progetto e l’altro l’immagine straziante di Aylan, profugo siriano morto sulla spiaggia di Bodrum. Immagine che ha fatto il giro del mondo. Purtroppo, non ci ha convinti. Il suo lavoro è colto, sofisticato ma allo stesso tempo è infarcito di luoghi comuni e cliché. Jaar sembra più interessato alla forma, al discorso e all’effetto che i suoi interventi possono fare sull’opinione pubblica, rispetto al contenuto. Alla fine dell’intervento è stato l’unico relatore a non concedere domande al pubblico. Ha perso l’occasione per difendere le sue scelte, per aprire un dialogo, per approfondire e per convincerci di quanto, al di là delle sue influenze colte e intellettuali (Gramsci, Pasolini), non speculi su temi importanti, di quanto creda realmente in ciò che fa e di quanto i suoi progetti di arte pubblica siano autentici e sincerii.
–Daniele Perra
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