Roberto Daolio e l’etica del dono. A Bologna
MAMbo, Bologna ‒ fino al 6 maggio 2018. Dedicata al curatore e critico d’arte, docente dell’Accademia di Bologna, scomparso nel 2013, la mostra presenta una serie di opere provenienti dalla collezione donata dagli eredi al MAMbo di Bologna. E testimonia una vita dedicata ad accendere piccoli fuochi.
“Ricordare è sapere ciò che vediamo”, dice Orhan Pamuk nel suo migliore romanzo, Il mio nome è rosso. E non è un caso che l’ostinato contemplatore che è nella penna del premio Nobel turco sia anche un collezionista di vita altrui, un attento osservatore del mondo che passa. Così in parte è il piccolo museo dell’innocenza che emerge dalla Project Room del MAMbo dedicata al critico e curatore prematuramente scomparso Roberto Daolio (Correggio, 1948 ‒ Bologna, 2013). Una collezione non intenzionale, dice la curatrice della mostra, così come non intenzionale è una vita: solo che quella di Roberto è stata costellata dal continuo incontro con il nuovo, con l’innocenza degli inizi. Era come se fosse continuamente illuminato dal comparire di un giovane artista, ne volesse cogliere quella prima luce, farla vedere anche ad altri. E sono piccoli fuochi, intensi di affetti, quelli esposti al MAMbo all’interno della collezione permanente.
L’IMPORTANZA DEL DONO
Sono tutti, fatta eccezione per quelli che raccontano della prima gioventù di Daolio e che lo vedono protagonista dell’azione artistica, frutti di un dono. E che cos’è un dono? Diceva Marcel Mauss che è un fatto sociale totale, ed è frutto della triplice obbligazione, dare ‒ ricevere ‒ ricambiare. Cercava l’antropologo francese la “roccia della morale eterna”, quella primaria, che lega gli umani. Difficile dire in che modo nella società post capitalistica, della finanza globale, il gesto del dono costituisca ancora questo pilastro: eppure nella stanza in cui si raccolgono le opere di Maurizio Cattelan, Igort, Jori, Alessandra Andrini e Annalisa Cattani, Chiara Pergola e Cuoghi e Corsello, Pessoli e moltissimi altri, sembra tornare quell’aspetto primitivo, quella “roccia eterna”, data dalla condivisione di un pezzo di strada, uno scambio non economico, ma comunque scambio, che necessita di diventare oggetto. In questo movimento è difficile stabilire in quale punto della triade si possa con certezza porre un curatore generoso e vigile come Daolio. Chi è il donatore, chi il ricevente, chi veramente ricambia. Non è forse un caso che abbia insegnato Antropologia Culturale dal 1977 al 2012.
CRITICA MILITANTE
Intensa è stata la sua presenza, quindi, proprio nel livello più rischioso e arrischiato, quello del primo sguardo: quel rischio che si era assunto e che lo nutriva era sicuramente diventato negli ultimi anni complesso e più tormentato. La donazione della sua collezione al MAMbo costituisce in fondo un altro movimento del dono antropologico, che in questo caso risulta particolarmente gratuito, in quanto la città negli ultimi anni si era fatta meno accogliente per chi come Roberto non aveva mai abbandonato la critica militante e l’arte pubblica. Che ora torna alla città, in questa Project Room che ci interroga su cosa significhi accendere un fuoco.
‒ Elettra Stamboulis
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