Morto Getulio Alviani. Un ricordo di Arianna Rosica
Si è spento dopo una lunga malattia a Milano Getulio Alviani, tra i grandi protagonisti dell’arte italiana del Novecento. Il ricordo di Arianna Rosica.
Caro Get,
quando mi hanno chiesto di scrivere di te, sono rimasta molto sorpresa. Questo per me è un momento di profonda tristezza, ma il dover scavare nei tanti, bei ricordi a te legati mi restituisce almeno una sottile e leggera felicità. Ci siamo conosciuti solo vent’anni fa, un lasso di tempo forse breve ma durante il quale mi hai dato tantissimo. Quando ci siamo incontrati per la prima volta, presentati da Giancarlo Politi, io non sapevo nulla di te, anzi ho candidamente ammesso di non sapere praticamente nulla del mondo dell’arte “contemporanea” in generale. Tu mi hai guardata e mi hai detto che era meglio non conoscere nulla cosi da non essere contaminati da quella che chiamavi “la corruzione del bello“. Sei sempre stato una persona corretta, rigorosa, nell’arte e nella vita. Quando mi sono trasferita a Milano da Roma mi hai dato la possibilità di vivere nel tuo appartamento, da te progettato e arredato: una vera e propria opera d’arte totale. A casa non ero mai sola. Mi facevano infatti compagnia opere di Morellet, Bill, Castellani, Albers, Fontana, Ceroli, Accardi e di tanti altri, tutti tuoi amici, che hai infinitamente amato. Con te non ci si annoiava mai. Mitico l’aneddoto di quando, giovanissimo, sei andato negli Stati Uniti. Tu, ai tempi artista semisconosciuto (così ti definivi, ma mentivi…), vai a trovare Mario Ceroli che in quel periodo viveva a New York. Appena entrato nel suo vasto studio, ti senti così perso nella grandezza dello spazio da esclamare: “Mario, in questo luogo ci sta un campo da tennis!”. Mario ti congeda con un sorriso e ti dà appuntamento al mattino seguente. Il giorno dopo, quando torni trovi un vero e proprio campo da tennis che Mario, lavorando tutta la notte, ha realizzato prendendo scherzosamente alla lettera il tuo invito. Ci siamo frequentati molto. Venivi spessissimo alla redazione di Flash Art. Arrivavi e ti fermavi al tavolo dove smistavamo la posta. Raccoglievi le buste delle lettere che noi cestinavamo (ai tempi si usava poco l’email e molto la carta). Per tanti mesi mi sono chiesta cosa ci facessi con tutte quelle buste. Tempo dopo ho scoperto che a partire dai francobolli che “salvavi” dalle buste ne ricreavi dei nuovi che, a volte, sei riuscito addirittura ad utilizzare! Era un modo per recuperare le cose, perché non amavi buttare via nulla. Ti commuovevi quando mi parlavi di Albers, del suo rigore, della bellezza delle sue opere “senza il minimo errore“. Se si parlava di mercato ti scandalizzavi. Eri molto severo sul tema. Hai sempre cercato di starne fuori, difendendo a spada tratta le tue idee. Le tue discussioni con Politi sono ricordi ancora molto vivi. Non eravate mai d’accordo su nulla, ma, in fondo, vi siete voluti molto bene. Grazie al tuo contributo Flash Art ha realizzato le Biennali di Tirana e Praga. Avevi il senso dello spazio, della luce, sapevi perfettamente come valorizzare un’opera in un allestimento. Io ho sempre cercato di seguire pedissequamente i tuoi preziosissimi consigli (qualcuno mi prende un po’ in giro dal momento che ti cito sempre quando si monta una mostra). In questi vent’anni ho letto e trascritto tanti tuoi testi. Non avevi un computer. Odiavi la tecnologia… Scrivevi a mano, io a volte trascrivevo e Politi correggeva. Dopo le sue correzioni poteva succedere di tutto. Ti arrabbiavi tantissimo. Volevi che i testi venissero sempre pubblicati integralmente, testi che tu dedicavi ai tuoi compagni di avventura, artisti/amici con i quali hai condiviso vita e pensiero. Ci siamo sentiti l’ultima volta al telefono. Eri a Cortina, luogo che hai tanto amato, non per quello che nell’immaginario collettivo rappresenta – un certo tipo di lusso, magari anche ostentato -, ma per le sue montagne, per i suoi silenzi, soprattutto. Per te il vero lusso era stare a casa a lavorare, a leggere, ad ascoltare la radio. La radio, ne avevi sempre una con te. Insieme a un modello vecchissimo di telefonino che ora sarebbe quasi da collezione, vintage. Il mio lusso era poterti chiamare e passare da te, anche solo per mezz’ora, per salutarci, discutere e magari mettere in pista qualche nuovo progetto. Tu eri sempre indaffarato, leggevi tanto, non usavi gli occhiali ma una lente di ingrandimento. Non ho mai capito se lo facevi per vezzo o per effettiva comodità. In questi ultimi anni siamo anche stati vicini di casa. Da oggi via Fauché mi sembrerà più vuota.
– Arianna Rosica
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati