Versus. Il dibattito tra sottrazione e accumulo
Vale la massima dell’architetto Ludwig Mies van der Rohe “Less is more” o il detto latino “Melius abundare quam deficere”? Emilio Isgrò e Marcello Maloberti consegnano ai lettori della rubrica “Versus” un denso scambio di vedute.
Il desiderio di accumulare, collezionare, conservare materiali e informazioni in un archivio (personale o condiviso) e il tentativo di ridurre la complessità ai minimi termini, per mettere a fuoco l’essenziale, sono due modalità conoscitive che sembrerebbero appartenere a caratteri e profili psicologici opposti. Eppure sono probabilmente le due direttrici principali lungo le quali si è evoluto il pensiero umano e si è sviluppata la storia della nostra cultura. Non è difficile, tra l’altro, riscontrare la compresenza di queste inclinazioni nel percorso di ricerca di tanti intellettuali e artisti, in momenti diversi o addirittura all’interno di una stessa opera. Filosofia del meno ed estetica dell’abbondanza sono i temi centrali di questa conversazione tra Emilio Isgrò, il Maestro della “cancellatura”, e Marcello Maloberti, ideatore (tra le altre cose) dei progetti Marmellate e Martellate. Ancora una volta: Versus.
Che differenza c’è tra il lavorare per rimozione, come fa lo scultore, o per aggiunta, come quando si compone un collage? Togliere o mettere: il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno?
Emilio Isgrò: Dipende dall’obiettivo. Proprio per sottrazione, immaginando la “pagina bianca”, Mallarmé offrì un’ultima possibilità di resistenza alla parola poetica stressata dai mass-media che alla sua epoca erano principalmente i giornali. Per accumulazione, invece, D’Annunzio rese insopportabile la stessa comunicazione verbale, rendendola troppo simile a una cassata siciliana gonfia di zuccheri e frutta candita. La domanda che si ponevano i due poeti era tuttavia la stessa: la possibilità di sopravvivenza della parola umana in un’epoca in cui, con il cinema e con i fumetti, si profilava il rischio di una società dell’immagine destinata a distruggere con la parola la stessa facoltà di riflettere e di pensare. Questo per dire che il medesimo risultato si può raggiungere con strumenti diversi, e il buon artefice (uso volutamente un termine dannunziano) è proprio colui che raggiunge il risultato nell’ambiguità più totale e assoluta, spacciando per pieno il bicchiere mezzo vuoto e per vuoto il bicchiere mezzo pieno. In questo gli europei sono maestri, e proprio in questo consiste la loro grandezza.
Marcello Maloberti: Nei miei blog porto avanti l’idea di accumulo di parole e immagini. Le Marmellate sono conserve di idee, rovine, tic visivi, respiri dove trovare la temperatura per i progetti futuri. Io stesso sono una marmellata ingestibile. A volte però ho bisogno di vuoto: della città, del mare, ma anche del deserto. Si deve prendere confidenza con l’invisibile. Non a caso uno dei miei lavori preferiti, Germania di Hans Haacke, parla di assenza. Ripeto sempre ai miei studenti della NABA, come diceva Bruce Lee ai suoi allievi, che dovremmo essere bicchieri mezzi vuoti, solo così si può restare aperti a stimoli nuovi.
“Distruggere e moltiplicare sono i due modi per rendere invisibile un’immagine: con il niente e con il troppo”, scrive Georges Didi-Huberman. Così gli specialisti del marketing, tra censura e dissimulazione, giocano con l’iconografia legata all’identità personale e collettiva, piegando alle esigenze del consumo gli interessi individuali e di categoria. Non è raro osservare dinamiche simili nella comunicazione politica e nel mondo dell’informazione. La diffusione di stereotipi inclusivi fa parte di un positivo processo di democratizzazione del sapere, oppure occorrerebbe “illustrare” i temi culturali fondanti in maniera differente, accettandone la complessità?
Emilio Isgrò: A una domanda così complessa e variegata non si può rispondere che con un lungo saggio altrettanto complesso e articolato. Cosa manifestamente impossibile. Dirò allora, per brevità, che l’accumulo delle informazioni (e tra queste informazioni ci metto anche i prodotti dell’arte) ha provocato un incredibile intasamento di merci che si escludono e si cancellano a vicenda, così come le opere di Koons cancellano quelle di Hirst e quelle di Hirst annullano quelle di Haring o Basquiat, risalendo fino a Andy Warhol, il glaciale capostipite dello sconquasso. Senza contare i casi drammatici in cui è lo stesso artista a divorare se stesso con proposte non sempre necessarie alla crescita complessiva del genere umano. Insomma c’è troppa arte. Un’arte dalla quale la vita è disperatamente fuori, svelando che tra il pieno e il vuoto non c’è più differenza.
Marcello Maloberti: Cito alcune Martellate – Scritti Fighi 1990-2018: IL MIO LAVORO NASCE DA UNO SPAVENTO, MI PIACE L’ARTE CHE BLOCCA IL CERVELLO, LA PITTURA RALLENTA IL MURO, QUALSIASI COSA TOCCO DISTRUGGO, L’ARTE MI FA SCHIFO DOPO MEZZANOTTE, TUTTO SI SCHIACCIA NEI MIEI OCCHI, I MIEI LAVORI SONO TUTTI DEI BALCONI, SONO POLVERE DA SPARO. A differenza della pubblicità penso che nell’arte si parta più dall’effetto per arrivare alla causa e non viceversa. L’arte è sempre fuori luogo, la pubblicità no. Distruggere crea un’altra forma. Moltiplicare crea un’altra forma ancora. L’arte, come dice Giulio Paolini, non è comunicazione, è altro. L’informazione visuale è fluida, io invece amo il balbettio, a volte bisogna inceppare la comunicazione perché si crei dialogo, L’ARTE È UNA SALA D’ATTESA. Non si tratta di uniformare i gusti, io amo anche la stupidità, che però è una stupidità profonda, complessa. Non voglio obbligare nessuno a pensare ciò che penso io, NON FAR FARE ALLA ROSA CIÒ CHE LA ROSA NON VUOLE FARE, seguo più la naturalezza del processo creativo, chi mi porta in luoghi selvatici, QUANDO HO PENSATO AL BELLO HO SEMPRE SBAGLIATO. L’arte è una sbandata, SIA LODATO L’IMPREVISTO, SEMPRE SIA LODATO. Con il suo libro Arte torna arte, Luciano Fabro, che è stato mio maestro per quattro anni all’Accademia di Brera, risponde a questa domanda in un modo geniale.
Allora, se c’è troppa arte (e oltretutto fa schifo dopo mezzanotte), meglio l’astinenza espressiva?
Marcello Maloberti: IO SONO UN METAFISICO POMERIDIANO. Le ossessioni alla sera si calmano, si è presi dai sogni e da altre fisse, la metafisica notturna non mi appartiene. Alle 9 vado a dormire e dopo penso ad altro. In questo senso l’arte sta diventando una strada sempre più sottile da percorrere e da riconoscere. LE MOSTRE SONO DEI PROFUMI. Amo gli artisti in quanto identità condivisibili, bisogna essere in grado di scegliere le identità che uno riesce ad abitare. I libri di Emilio Isgrò sono libri per Marziani, è per questo che mi piacciono. Io che sono dislessico, che inizio a leggere libri e poi mi ritrovo a guardarli, vedo nella cancellazione un altro alfabeto. AMEN.
Emilio Isgrò: Quando dico che c’è troppa arte parlo di quell’arte platonica oggi dominante che ci allontana dalla realtà invece di avvicinarci a essa. In genere è un’arte per i ricconi del pianeta che hanno bisogno di essere ingannati per accettare serenamente la loro ricchezza. Ed è anche, paradossalmente, un’arte “populista” che acceca i ceti subalterni che la fruiscono. In questo momento è forse più utile un’arte aristotelica che non dia risposte ma ponga domande.
Tra nababbi in crisi esistenziale (che annegano nell’eccesso) e moltitudini sorde (rese insensibili dalle privazioni), forse davvero sono rimasti solo i marziani a interrogarsi sui quesiti posti dagli artisti. Bisogna essere ottimisti, però: capita spesso di avvistare qualche extraterrestre! Succede anche a voi?
Marcello Maloberti: In una società in cui il virtuale è reale e la politica è spettacolo, la vera caccia all’UFO consiste nel capire quale realtà indagare. Essere un provinciale vero in una provincia globalizzata è un’impresa. SCIAMANO DI CASALPUSTERLENGO. Ho sempre cercato nell’arte il “che cos’è?”. L’ARTE HA SEMPRE ROTTO LE BALLE E DOVREBBE CONTINUARE A ROMPERLE. Bisogna creare dei concetti visibili. SPORCARSI CON LA REALTÀ.
Emilio Isgrò: Se non fossi ottimista non farei il mestiere che faccio. Sono sicuro che Maloberti non mi smentirà. È la solidarietà tra artisti che ci rende tutti più forti: noi e chi ha bisogno di noi.
‒ Vincenzo Merola
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