La vertigine dell’ordine. Albert Oehlen a Venezia
La pittura dell’artista tedesco sbarca a Palazzo Grassi, una delle due sedi lagunari della Pinault Collection. Rinnovando l’appuntamento con le mostre monografiche intitolate agli autori contemporanei.
Sarà arduo bissare il clamore suscitato dal poderoso “naufragio” messo in scena un anno fa da Hirst in entrambe le sedi veneziane della Pinault Collection, ma la nuova offerta espositiva di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, pur tornando nel tradizionale solco della doppia mostra, non delude le aspettative.
Se a Punta della Dogana lo sguardo si posa sulle opere della collezione targata Pinault in dialogo con una serie di lavori in prestito dal Museum Folkwang di Essen, a Palazzo Grassi l’attenzione è interamente rivolta alla parabola pittorica di Albert Oehlen (Krefeld, 1954).
Più di ottanta dipinti compongono l’itinerario disegnato con precisione dalla curatrice Caroline Bourgeois a scandire le tappe dell’epopea creativa dell’artista tedesco, fra gli Anni Ottanta e i giorni nostri. Un viaggio in equilibrio su piani sovrapposti, al pari degli strati che puntellano le opere di Oehlen, appigli visivi effimeri, pronti a inabissarsi nei meandri del colore e a riemergere, più in là, tra le pieghe, nette, della linea. Figurazione, geometria e astrazione convivono nell’immaginario di un artista allergico alle etichette e alle “scuole”, ma debitore nei confronti di modelli che spaziano dal Surrealismo a Sigmar Polke, masticati e reinterpretati con coraggio, trasformando il carico figurativo in un elemento funzionale, non sempre necessario.
DISORDINE E CONSAPEVOLEZZA
Nella pittura di Oehlen l’ordine è un terreno di battaglia dai confini liquidi: lo sfondo, la base dei suoi lavori è lo spazio assegnato al figurativo, posto in discussione con metodo e, a tratti, ferocia. Lettere, volti, teste di animali, un piccolo tralcio di rose violacee sono investiti da cascate di colore, pennellate, macchie e vortici cromatici, che non offuscano del tutto la riconoscibilità della figura, ma ne mutano le sembianze, e soprattutto il ruolo, in maniera definitiva.
A volte l’elemento figurativo scompare del tutto, lasciando campo libero a giochi di linee in sospensione, quasi disancorati dalla materia pittorica ‒ come nel caso di H.A.T. I-VI, che ricorda l’estetica fotografica di Tillmans ‒ oppure prende il sopravvento, come nella serie intrisa di retaggi Pop, ma, ancora una volta, evocando una dissonanza che scompagina un ordine dato per certo.
Il linguaggio elaborato da Oehlen si serve dello shift compositivo, del disordine ‒ pur sempre consapevole ‒ e della sorpresa come strumenti per veicolare il desiderio di una certa libertà pittorica. Una libertà che non mira a indossare il cappello della rivoluzione, ma che vuole affermare se stessa entro i limiti della Storia.
‒ Arianna Testino
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