Giosetta Fioroni a Milano. Un’antologica completa
Museo del Novecento, Milano ‒ fino al 26 agosto 2018. Centosessanta opere per ripercorrere la carriera dell'artista romana, protagonista dagli Anni Sessanta. Dagli esordi alle tele più recenti, passando per i celebri “Argenti”. Un percorso di cambi di rotta ma anche di coerenza.
Finalmente una mostra che rende conto dell’intero percorso di Giosetta Fioroni (Roma, 1932), chiarificando le successive trasformazioni della sua poetica, che, analizzate singolarmente, potrebbero sembrare improvvise e incongrue. Sembra incredibile, ma l’esposizione Viaggio sentimentale al Museo del Novecento viene annunciata come la prima antologica completa dell’artista romana.
Centosessanta opere in nove sezioni descrivono un percorso in molti momenti entusiasmante per freschezza e attualità. Si parte dalla formazione dell’artista, con la presenza di due sculture del padre Mario Fioroni. È poi il momento di un breve passaggio tra le prime opere informali dell’artista, messe a confronto con un lavoro di Capogrossi. Con lo scoccare degli Anni Sessanta, una rivoluzione: dipinti come Interno famigliare, Interno con freccia rossa e L’amour sono vivacissimi e intelligenti lavori che segnano il momento di passaggio tra Informale e Pop (qui, il confronto diretto in mostra è con Festa, Angeli e Schifano).
GRAZIA E RADICALITÀ
Ecco poi i primi Argenti. Agli oggetti comuni si affiancano citazioni della storia dell’arte, ritratti di incerte figure infantili, moltissime figure maschili e soprattutto femminili, capolavori di grazia e assieme di radicalità. Il colore rispunta solo a tratti.
L’immaginario è, oltre che pittorico, letterario e soprattutto cinematografico. Non si tratta di un Pop del tutto conclamato, ma sui generis: variazioni che cercano in frammenti della società di massa spunti di trasfigurazione (“Le immagini di Warhol erano stemmi, immagini totalitarie, descrivevano un simbolo. Le mie erano immagini legate a un sentimento narrativo”, spiegava l’artista nell’intervista che ci ha rilasciato nel 2015).
Ma la sala più inaspettata di questa fase, una delle migliori in assoluto, è quella che raduna le opere del ciclo su Venezia: Argenti più essenziali che mai, in cui l’orizzonte lagunare diventa spunto quasi astratto e minimal, ma evocativo al massimo grado.
UN PERCORSO CICLICO
La sala “Piccoli cimiteri del meraviglioso” presenta il primo cambio di rotta per certi versi clamoroso, ma non incoerente. Le opere qui raccolte segnano la prevalenza dell’immaginario letterario e derivano dal lungo soggiorno dell’artista nella campagna veneta. L’ispirazione al mondo del meraviglioso e del fantastico non sopprime la radicalità espressiva, e infatti il ciclo seguente è il semiconcettuale Atlante di medicina legale.
Seguono i dipinti “materici” degli Anni Ottanta e Novanta; gli Anni Duemila con opere di disegno puro e altre in cui fanno irruzione la parola e il collage; e poi tre grandi tele recenti, tra cui il felicemente incongruo ritratto di Marylin Manson.
La manica lunga dell’Arengario riattraversa infine la carriera dell’artista tramite il tema dello sguardo. L’inaspettata scultura in resina del 2002, in cui l’artista si ritrae assieme a se stessa a nove anni, è un perfetto epilogo. Un cerchio che non si chiude, ma che rimanda all’inizio della mostra e fa capire la continuità e la coerenza di un percorso creativo ormai sessantennale.
‒ Stefano Castelli
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