La lunga estate di Manifesta Palermo. La recensione
A una settimana dall’opening di Manifesta 12 a Palermo, una carrellata delle sedi e delle mostre da non perdere nell’ambito della biennale nomade per eccellenza.
Grazie a Manifesta, Palermo si è trasformata in una città vivace e sorprendente, dove la proverbiale ospitalità dei siciliani ha dato un’eccellente prova di accoglienza del “popolo dell’arte”, che rende questa dodicesima edizione della Biennale Nomade Europea indimenticabile. E non solo per la quantità di proposte, spesso abbinata alla forza dei progetti, ma soprattutto per la relazione con il complesso e stratificato genius loci della città, che è apparso vivificato e in qualche modo fecondato dall’energia della manifestazione, firmata da quattro mediatori creativi: l’olandese Bregtje van deer Haak, lo spagnolo Andrés Jacques, la svizzera Mirjam Varadinis e l’italiano Ippolito Pestellini Laparelli, partner dello studio di architettura OMA. Sono loro ad aver avviato Manifesta 12 grazie a una ricerca urbanistica sul campo che ha dato vita al Palermo Atlas: una sorta di mappatura “per migliorare le potenzialità della città di Palermo attraverso modalità più sostenibili”, spiega Hedwig Fijen, direttrice di Manifesta. “Palermo città globale, la cui globalità tuttavia è di natura problematica, punto di convergenza di fenomeni transnazionali, quali il cambiamento climatico, il traffico illegale di persone e l’impatto simultaneo di fenomeni come il turismo e la migrazione”: questo è il frame che i curatori hanno costruito per Il Giardino Planetario. Coltivare la Coesistenza. Un titolo ripreso dal pensiero di Gilles Clément, che nel 1997 ha descritto il mondo come “un giardino planetario”.
LE SEDI DI MANIFESTA 12 ‒ GARDEN OF FLOWS
Non è un caso che il nostro tour di Manifesta cominci proprio all’Orto Botanico, fondato nel 1789, visto che l’immagine guida della kermesse è stata identificata nel dipinto Veduta di Palermo (1875) di Francesco Lo Jacono, dove le piante raffigurate non sono autoctone ma provenienti da Medio Oriente, Australia, Giappone e Messico. E Garden of flows si intitola anche una delle tre sezioni della mostra, insieme a Out of Control Room e City on Stage.
Qui, tra i giganteschi ficus, i boschetti di bambù e le palme di ogni specie, espongono otto artisti: in una delle serre sono appesi ai rami delle piante gli erbari dell’installazione News Herbs from Palermo and Surroundings del colombiano Alberto Baraya(1968), che costruisce un sorprendente parallelo tra la flora della città e le sue tradizioni religiose e popolari. Interessante anche l’intervento di Leone Contini (1976) Foreign Farmers, che ha analizzato per dieci anni le attività rurali condotte da comunità di migranti su tutto il territorio italiano per soddisfare le proprie necessità alimentari.
La seconda sede di Garden of flows è il gigantesco Palazzo Butera, la residenza settecentesca dei principi di Branciforte acquistata nel 2016 dai collezionisti Massimo e Francesca Valsecchi per trasformarlo in un centro per la promozione dell’arte contemporanea. Qui, nelle sale del secondo piano appena restaurate (che ospiteranno dal 2019 le opere della collezione Valsecchi) espongono sei artisti, a comporre una delle sezioni più riuscite di Manifesta. È quasi ipnotico Night Soil, il documentario sperimentale dell’olandese Melanie Bonajo (1978) che riflette in maniera sottile e visivamente assai suggestiva sulla mancanza di relazioni tra esseri umani e natura nell’era globale e tecnologica , mentre Wishing Trees dello svizzero Uriel Orlow (1973) racconta tre diverse storie di relazioni tra alberi siciliani ed eventi storici, in un efficace storytelling sviluppato in quattro sale, che lo rende una delle opere più riuscite di Manifesta 12, sia a livello formale che concettuale.
Piacevolmente leggera Theatre of the Sun l’installazione ambientale del collettivo americano Fallen Fruit, fondato nel 2004 , che ha censito in una mappa tutti gli alberi da frutto presenti nella città di Palermo, spesso in aree dimenticate o ignorate. Giardino è l’installazione dell’unico artista siciliano invitato a Manifesta, Renato Leotta (1982), che si compone di due opere diverse. Il video Luce è dedicato al paesaggio agricolo, mentre Notte di San Lorenzo consiste in un pavimento in maioliche di argilla cruda, che reca le tracce delle cadute di limoni dagli alberi, in una sorta di poetica mappatura del ciclo di maturazione delle piante.
OUT OF CONTROL ROOM
La sezione più politica e impegnata di Manifesta si sviluppa sostanzialmente in due sedi principali, entrambe nel quartiere della Kalsa, l’antico cuore arabo della Palermo medievale. La prima è il Palazzo Forcella De Seta, costruito sopra la Porta dei Greci e ristrutturato in stile neomedievale nell’Ottocento, dopo essere stato acquistato dal marchese Enrico Forcella. Tra i sette interventi che occupano i saloni moreschi spiccano le opere del franco-algerino Kader Attia (1970), dell’olandese Patricia Kaersenhout (1966) e del collettivo Forensic Oceanography, fondato nel 2011 con sede a Londra. Il film di Attia, intitolato The Body’s Legacies. The Post-Colonial Bod , riunisce quattro interviste a persone che hanno avuto progenitori che facevano parte di popoli colonizzati, alternando esperienze personali e collettive, mentre Liquid Violence di Forensic Oceanography è dedicato a esperienze di soccorso nel Mediterraneo, con accenti critici e a tratti drammatici. Più elaborata The Soul of Salt, l’installazione della Kaersenhout che pone l’accento sulla leggenda degli “Africani volanti”: schiavi africani che evitavano di mangiare il sale per essere più leggeri e poter volare fino alla loro terra natale, l’Africa.
L’impegno politico e la denuncia ritornano con una forza ancora maggiore a Palazzo Ajutamicristo, dove in alcuni suggestivi ambienti al terzo piano sono esposte opere ispirate a temi di grande attualità. Tra i più significativi: Citizen ex , l’installazione dell’inglese James Bridle (1980) composta da una serie di bandiere immaginarie realizzate con tecnologie informatiche, Article 11 della cubana Tania Bruguera (1968), che denuncia il posizionamento da parte della Marina americana di tre antenne di comunicazione globale in una collina di alberi da sughero in Sicilia, fortemente osteggiate dalla popolazione per i loro effetti nocivi, e infine The Third Choir dell’algerina Lydia Ourahname (1992), composta da venti barili di petrolio Naftal esportati dall’Algeria nel 2014, che contengono ognuno un telefonino sintonizzato sulla stessa frequenza radio.
CITY ON STAGE
Palermo come palcoscenico per nuove esperienze di storytelling; sulla carta poteva sembrare molto interessante, ma in realtà è risultata la sezione più debole, con alcune eccezioni.
La sede principale è Palazzo Costantino, abbandonato per decenni, che ospita alcune opere nel suo gigantesco cortile settecentesco, dove è parcheggiata la Videomobile del duo italiano Masbedo: un vecchio furgone trasformato in un videocarro che ha attraversato i luoghi del cinema di Palermo per ri-raccontare la città di oggi. Il capolavoro di questa sezione sono senza dubbio i due video di Yuri Ancarani (1972) proiettati nell’Oratorio della Madonna del Rifugio dei Peccatori Pentiti. Il primo, Whipping Zombie, documenta un rituale vodoo in uno sperduto villaggio di Haiti, mentre il secondo, Lapidi, mostra il rapporto tra il turismo e le testimonianze urbane dei massacri di mafia, con un linguaggio crudo e di grande impatto.
GLI EVENTI COLLATERALI
Nelle affollate giornate dell’inaugurazione l’evento più gettonato in assoluto è stata Protocol no 90/6, l’installazione video dei Masbedo, ispirata alla vicenda del regista Vincenzo De Seta, messo sotto sorveglianza in quanto sospettato di simpatie comuniste, personificato per l’occasione da un pupo vestito da operaio di Mimmo Cuticchio, all’interno di una sala dell’Archivio di Stato che contiene migliaia di faldoni di documenti mai catalogati. Un mare di carta dal quale emerge lo schermo video con le movenze del pupo, che ci fa riflettere sul controllo dello Stato sul singolo cittadino. Altrettanto significativa, ma in modo meno spettacolare e più concettuale, è l’opera The Decollation/La Decollazione di Simon Starling (1967) all’interno della chiesa di San Giovanni dell’Origlione, riaperta dopo diversi decenni dalla galleria Franco Noero. Si tratta di un furgone Ape che trasporta i materiali necessari per realizzare i colori della Decapitazione del Battista (1608) di Caravaggio, conservato a La Valletta, nell’isola di Malta, che l’artista ha guidato dal nord Italia a Palermo sulle tracce del maestro.
Decisamente scenografica l’installazione di Per Barclay (1955) realizzata da Francesco Pantaleone nella Cavallerizza di Palazzo Mazzarino: una vasca riempita di olio da motore dove si rispecchiano le colonne dell’antico ambiente. Se l’opera di Barclay esalta l’architettura, l’intervento di Massimo Bartolini, Caudu e Fridu promosso dalla Fondazione Volume! in due saloni di Palazzo Oneto, ne evidenzia il lato oscuro. In un salone dalla volta affrescata Bartolini ha costruito una sorta di gigantesca gabbia di luminarie da piazza, mentre in un’altra sala un neon rosso con una frase in siciliano, tratta dalle scritte sulle pareti delle celle di Palazzo Steri, l’antico carcere di Palermo, esprime le sensazioni di un carcerato, amplificate dai bagliori rossastri della luce.
Al Museo Archeologico Antonino Salinas la mostra dell’artista russo Evgeny Antufiev (1986), When art became part of landscape, promossa dalla collezione Maramotti, si trasforma in una caccia al tesoro per individuare le decine di sculture dal sapore arcaico e primitivo posizionate in mezzo ai reperti classici in un esercizio di mimetismo davvero sorprendente, mentre all’Orto Botanico (con la produzione della Fondazione Merz e la collaborazione della art book fair I never read) Radiceterna propone una piccola ma raffinata biblioteca dedicata ai rapporti tra l’arte e l’ambiente, con annessa mostra di Allora e Calzadilla, alla quale seguiranno nei prossimi mesi Kathinka Bock, Bjorn Braun e Ignazio Mortellaro.
Infine, grazie alla galleria Continua si può scoprire un angolo segreto della città: la chiesa neoclassica di Santa Venera, costruita sulle antiche mura cittadine, che ospita Mantel 1 e Mantel 2, le opere di Berlinde de Bruyckere. Ispirate agli antichi retabli catalani e dedicate ai teleri di Francisco de Zurbarán, le sculture di Berlinde sono meno provocatorie dei suoi lavori più iconici, ma possiedono quella grazia tutta mediterranea che sembra avvolgere Palermo durante Manifesta. Una città aperta, che per un attimo si lascia alle spalle i suoi immensi problemi sociali e politici per vivere e condividere il sogno dell’arte grazie a una kermesse da non perdere.
‒ Ludovico Pratesi
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