Ecstasy & Oracles, la grande mostra di Jan Fabre tra Monreale e la Valle dei Templi di Agrigento
L’artista fiammingo omaggia la Sicilia con una mostra che mette in dialogo le sue opere più note con i mosaici del Duomo di Monreale e le chiese medievali di Agrigento. Una riflessione sui temi della vanitas, della vita e della morte, sul valore del tempo. Con un colpo di scena finale – è il caso di dire da urlo – alla Valle dei Templi…
Vanitas, contemplazione, memento mori, misticismo, fede. Ma se c’è un’espressione che – più di tutte le altre – comprende, racchiude e spiega il nuovo progetto espositivo di Jan Fabre (che di recente, tra l’altro, ha presentato 3 nuovi lavori nella Chiesa di St. Augustine ad Anversa nell’ambito di Anversa Barocca 2018), quella è senza dubbio coniunctio oppositorum. Ecstasy & Oracles è il titolo della grande mostra diffusa che l’artista belga ha portato in Sicilia, tra il Duomo di Monreale e la Valle dei Templi di Agrigento. Un vero e proprio percorso alla scoperta di quel sottile, invisibile eppure viscerale legame tra Cristianesimo e paganesimo, tra vita e morte, dove la vita è sinonimo di eros e la morte è destinata a tramutarsi in rinascita. E Jan Fabre, tra i più controversi artisti del panorama contemporaneo, spesso divide critica e opinione pubblica per il suo lavoro crudo e per molti aspetti estremo, colto e contraddittorio. Una coniunctio oppositorum di alchemica memoria che trova risoluzione attraverso gli spiriti guida della mostra siciliana e del lavoro dello stesso Fabre, lo scarabeo e la tartaruga, ma che si palesa anche nell’inedita collaborazione tra i Comuni di Palermo, Monreale e Agrigento, le Arcidiocesi di Monreale e Agrigento, la Regione Siciliana e MondoMostre, che ha organizzato l’esposizione che rientra, inoltre, nel programma degli Eventi Collaterali di Manifesta 12 e nel calendario di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018.
A MONREALE, TRA I MOSAICI NORMANNI E CONTEMPORANEI DI FABRE
La mostra, curata da Joanna De Vos e Melania Rossi, presenta oltre 50 lavori realizzati da Jan Fabre (Anversa, 1958) tra il 1982 e il 2016: serie di disegni a matita e penna bic, sculture in cera e in bronzo, film che documentano performance e mosaici realizzati con le cangianti corazze di scarabei gioiello, medium che incarna inoltre l’essenza stessa della visione di Fabre. Tra Monreale e Agrigento sono dunque disseminate alcune delle opere più famose dell’artista, ma a fare la differenza e a rendere la mostra a tratti “inedita” – diciamo anche sorprendente – è il dialogo instaurato tra i lavori dell’artista fiammingo e le sedi che li ospitano: a Monreale, la cappella di San Benedetto del Duomo ospita L’uomo che porta la croce, scultura commissionata dalla Cattedrale di Nostra Signora di Anversa nel 2015. Nel chiostro e nell’ex dormitorio dei Benedettini, invece, sono gli scarabei a essere soggetto e anche oggetto dell’esposizione: nella prima sede, tre scarabei in bronzo sorreggono rispettivamente una croce latina, un albero di alloro e un bastone vescovile; ma è nell’ex dormitorio che la coniunctio oppositorum trova risoluzione proprio attraverso il piccolo insetto, fin dall’antichità considerato un animale sacro e simbolo di resurrezione: una teoria di mosaici – appartenenti alla serie Vanitas vanitatum omnia vanitas del 2016 – realizzati con le cangianti e resistenti corazze degli scarabei raffigurano scheletri, cani, orologi, tutti simboli di quel vocabolario fiammingo che, parola per parola, per secoli ha traslitterato nelle nature morte i concetti di vanitas e memento mori. Proprio lì, a pochi metri da quei mosaici di scuola bizantina a fondo aureo che raccontano le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento.
IL PAGANESIMO DI FABRE
“Amo la Sicilia e i siciliani, due anni fa ho visitato Palermo, Siracusa, Noto, Modica, Catania e poi c’è una bellissima relazione tra i fiamminghi e la Sicilia, molti pittori fiamminghi sono venuti sull’isola”, ci spiega Jan Fabre. “Per quanto riguarda la mostra, ho dato carta bianca ai curatori, e penso che abbiano fatto un ottimo lavoro. Hanno messo le cose giuste nel luogo giusto, una bellissima conciliazione tra contenuto e contenitore”. La nostra impressione è quindi confermata dallo stesso Fabre: la magia della mostra nasce dal rapporto che si è instaurato tra le opere e i luoghi, e questi ultimi, soprattutto ad Agrigento, sorprendono. Agrigento non è soltanto la Valle dei Templi, ma è uno scrigno di tesori medievali nascosti nella parte alta della città: il complesso monumentale di Santo Spirito – dove, sotto un arco acuto in stile chiaramontano – fa il suo ingresso in mostra lo spirito guida agrigentino, la tartaruga, animale oracolare e simbolo del tempo, della saggezza, dell’immortalità. Leitmotiv, anche questo, che continua nella Chiesa di Santa Maria dei Greci, nella sorprendente Biblioteca Lucchesiana e al Museo Archeologico “Pietro Griffo”, per giungere fino alla Valle dei Templi, con il video Searching Oracle Stones. Ma tra i templi della Valle, in cui sono disseminate sculture celebri dell’artista come L’uomo che dirige le stelle (2015) e L’uomo che dà il fuoco (2002), a un tratto si odono urla di piacere e di dolore. A fianco del Tempio della Concordia si trova il lavoro più riuscito della mostra – forse perché pensato appositamente per il luogo? – una performance presentata su 5 grandi schermi in cui la performer/sacerdotessa Stella Höttler si agita tra tartarughe di terra in una sorta di estasi mistica, rievocando il mito della profetessa Cassandra e la pratica oracolare della Pizia. I gemiti estatici e orgasmici della baccante odierna riecheggiano con violenza in tutta la Valle, e lasciano interdetti, stupiti, irritati, riportano alla luce e senza vergogna istinti primordiali in fondo mai sopiti, in quella terra in cui il mito è nato ed è vivo più che mai. E Fabre, da sciamano contemporaneo, ha voluto ricordarcelo.
– Desirée Maida
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