Reportage. Tunisia: la luce oltre la siepe
Qui è nata la Primavera Araba. Qui si incontrano e si scontrano culture e pregiudizi, religioni e questioni sociali. Siamo andati a Tunisi per toccare con mano la situazione politica e culturale di uno dei Paesi che si affaccia sul Mediterraneo, esattamente come l’Italia.
Nonostante le note di cronaca rimandino un’immagine della Tunisia come di un Paese spezzato, osservandolo da dentro appare diverso, meno drammatico. La voglia di guardare oltre si legge sulla faccia degli abitanti. I giovani, in particolare, hanno lo sguardo consapevole. Frequentano l’università, studiano, e in molti non vi è alcun desiderio di lasciare un Paese straordinario che a breve sarà diverso, certo, grazie al loro impegno, all’impegno dei tunisini.
TUNISI MON AMOUR
E poi c’è la capitale, così speciale, così bella. Per un occidentale, o comunque per uno straniero, Tunisi si mostra immediatamente con quelle note di accoglienza che le permettono di essere amata sin dal primo istante. Tra le cose della città che più colpiscono, i colori. Il blu intensissimo del cielo e del mare, il bianco delle case, il verde della vegetazione, ma anche il rosa-arancio dei fiori, con una predominanza della bouganville, pianta amata dai poeti di tutti i tempi.
A Tunisi, a differenza di diverse città della costa nordafricana, anche nei mesi estivi il caldo è temperato da una brezza marina che riesce a infilarsi perfino nelle strette ruelles della Medina. Nel centro città, a ogni passo si inciampa in un pezzo di storia. Fenici, romani, turchi, arabi e francesi furono tra i conquistatori della Tunisia. La capitale ingloba ancora oggi tutte queste realtà, tutti questi mondi, con le loro culture non sempre in dialogo.
Per raccontarla ci siamo fatte accompagnare dalla storica dell’arte francese Elsa Dispiney, che a Tunisi ha scelto di vivere, e dalla docente di filosofia Rachida Triki, che ha curato il Pavilion della Tunisia (Pays à l’honneur, insieme al Ruanda), alla Biennale di Dakar 2018.
LO SVILUPPO DELLA CITTÀ
“Il mio incontro con Tunisi iniziò negli Anni Ottanta e, dal 2011, è diventata la mia città”, spiega Dispiney. “Nel tempo l’ho vista cambiare più volte, la prima trent’anni fa, quando – come molte capitali del mondo – ha assorbito l’esodo rurale e ha cominciato a mostrare il volto di una città tentacolare, e poi dopo la Rivoluzione del 2011”. La città, intesa in senso storico, è la Medina, continua Dispiney, “attorno alla quale è sorta, sotto il protettorato francese (1881-1956), la Ville Nouvelle, un’area residenziale caratterizzata da edifici Art Nouveau, sin dall’inizio del XX secolo luogo d’elezione dell’alta borghesia tunisina e dei residenti francesi”.
L’edificazione della Ville Nouvelle di fatto coincise con la nascita dell’Art Nouveau in Europa. Lo Stile Floreale a Tunisi si sviluppò con una fattura di pregio, nella quale si fondevano gli stilemi dell’arabesque e le decorazioni proprie dello stile europeo. “Nel tempo”, racconta Dispiney, “una parte di questi quartieri residenziali sono stati abbandonati e molte aree e palazzi sono in uno stato di parziale o totale abbandono. Per non perdere, almeno dal punto di vista della memoria, la storia dell’archeologia dei diversi quartieri di Tunisi, alcuni fotografi hanno creato un archivio online, lostintunis.com, per documentare la storia e la vita di numerosi luoghi che rischiavano di andare persi a causa del loro avanzato stato di degrado. All’inizio degli Anni Zero abbiamo assistito a una riappropriazione della Medina. I giovani tunisini hanno scelto di tornarci a vivere, ma anche numerosi stranieri, che qui hanno comprato casa. Questo ha contribuito a una rivalorizzazione di quest’area della città”.
STORIA RECENTE DELL’ARTE
“Tunisi nella storia è stata un modello d’ispirazione per gli artisti”, fa notare Rachida Triki. “Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, un gruppo di pittori tunisini fondò l’École de Tunis: con la loro pittura neo-realista, sono stati autentici pionieri dell’arte moderna. La scelta fu di dare un’immagine autentica della città a partire dalle scene di vita quotidiana, del paesaggio urbano nella sua dimensione sociale, in risposta alla rappresentazione esotica di Tunisi, che avevano dato sin dai tempi del protettorato francese gli orientalisti, i pittori di passaggio e i vedutisti”, ricorda Triki.
Una seconda fase di rottura avviene una ventina d’anni dopo. Spiega ancora Triki: “A partire dagli Anni Sessanta abbiamo assistito a un cambio di rotta stilistica e concettuale: l’affermato artista Néjib Belkhodja virò verso l’arte astratta. La sua attitudine fu quella di dare una immagine culturale della Medina, distante dalla sua rappresentazione iconografica”. In quel periodo la calligrafia si afferma in maniera importante. “Come la definiva lui stesso”, continua Triki, “la calligrafia è una sinfonia, con moduli che danno la percezione di ciò che veramente è la Medina di Tunisi. Va detto che le sue interpretazioni non corrispondevano sempre all’idea che gli abitanti avevano della loro città”.
Infine, quella che a nord del Mediterraneo abbiamo definito “Primavera Araba”. “A seguito della rivoluzione del 2011”, riflette Elsa Dispeney, “gli artisti contemporanei hanno preso strade differenti. Si sono impossessati della strada, guardano a un’analisi critica della realtà sociale, a un legame con la vita delle persone. Con il progetto ‘Dream City’ hanno coinvolto il pubblico, gli artigiani e hanno organizzato mostre e interventi al di fuori dei contesti museali. Per gli artisti contemporanei la città non è più un luogo da rappresentare, ma un luogo dove agire, per lavorare alla trasformazione della realtà”.
TUNISI CITTÀ APERTA
Tunisi è una città che scivola verso il mare. È tagliata in orizzontale dall’avenue Habib Bourguiba, che nella sua accezione moderna ricalca il modello delle avenue francesi, ma ricorda un lungo decumano romano, che incrocia tante strade, piccole e grandi: tutte aspirano a essere il suo cardo. Sull’Avenue Bourguiba si trova il Café de Paris, con la sua clientela internazionale, e non lontano ha sede l’Hotel Africa, il luogo dove nacque nel 1949 l’École de Tunis.
“Tunisi è una ville ouverte”, insiste Elsa Dispiney. “Gli stranieri che ci vivono si sentono degli abitanti, mai degli ospiti: si famigliarizza subito con la città. Qui tante persone diverse convivono in modo pacifico. Nelle strade si può vedere la donna velata, i giovani studenti che si danno la mano o l’uomo d’affari. Un’altra cosa che caratterizza la gente che vive a Tunisi è il forte senso di appartenenza alla Medina. Anche chi si è da tempo spostato nella banlieue nord, rivendica un passato nella Medina”, conclude.
LA COLLINA DEL CONTEMPORANEO
Sulla collina di Sidi Bou Said, dove il bianco, il blu e il verde raggiungono il massimo della loro potenza evocativa, hanno sede le gallerie d’arte contemporanea tunisine più affermate a livello internazionale. A partire da Le Violon Blu, il cui nome è ispirato all’omonimo lavoro di Arman e dalla cui terrazza si gode uno spettacolo mozzafiato sulla storica Carthage e sul mare Mediterraneo. La galleria rappresenta, oltre ad Arman, alcuni tra i più importanti maestri moderni del Maghreb: Abderrazak Sahli, Rafik El Kamel e Farid Belkahia. Poco distante c’è Selma Feriani: sin dalla sua apertura, si è installata in place Sidi Hassine, nel cuore stesso di Sidi Bou Said. La scelta della gallerista è stata quella di rappresentare gli artisti contemporanei dell’area: Nidal Chamekh, Nissène Kossentini, Massinissa Selmani, Ismail Bahri e Yassid Oulab.
Non lontano dall’anfiteatro, uno dei più grandi dell’Impero Romano, nel quartiere di La Marsa, ha sede la galleria Elmarsa. Siamo nello storico palazzo El Abdalliya Essoughra e gli interni sono quelli di un’elegante dimora signorile; fra artisti rappresentati, i maestri moderni della calligrafia, il tunisino Nja Mahdaoui e l’algerino Rachid Koraichi. Le loro opere, spesso autentiche installazioni, esposte nelle ampie sale sembrano sospese in un tempo eterno.
Per concludere questo breve tour contemporaneo, impossibile non fare tappa al Café Saf Saf, perla d’arte, archeologia e cultura tunisina.
– Riccarda Mandrini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #44
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