In memoria di Enrico Crispolti. Il ricordo di Luca Beatrice
Il curatore Luca Beatrice ricorda il suo professore, Enrico Crispolti, scomparso a Roma l’8 dicembre.
Quando si è ragazzi, gli adulti ti sembrano tutti irrimediabilmente vecchi. Poi, con il passare del tempo, ti rendi conto che quando li hai incontrati avevano più o meno gli anni tuoi in questo momento, con la differenza che accettavano serenamente la loro età, mentre tu ti aggrappi a maglioni sdruciti e jeans tagliati per sembrare più giovane e invece ti manca davvero poco ai sessanta. E infatti, nella seconda parte degli anni ’80, quando conobbi Enrico Crispolti, lui aveva più o meno i miei stessi anni di oggi, eppure si portava dietro l’aria del “professorone”, direttore della scuola di specializzazione in Storia dell’Arte all’Università di Siena. Dove capitai davvero per caso, avendo letto un rigo da qualche parte e presentandomi all’esame di ammissione in divisa, perché stavo facendo il militare (mi rendo conto che gran parte degli storici dell’arte ignorino l’esistenza di un mondo con l’esercito) e a un servitore della Patria non si può certo negare di continuare a studiare. Unico maschio peraltro in un gruppo di 32 donne. Al professor Crispolti non sembrò vero di aver trovato qualcuno con cui parlare di calcio, tifoso laziale neanche troppo moderato. Prima di iniziare la lezione si rivolgeva così agli studenti per verificarne la presenza: “ci siete tutte e tutto?”. Tutto, ovviamente, ero io. Finiti gli esami gli chiesi la tesi, proponendogli l’analisi dell’opera di Antonio Calderara. Mi liquidò con una semplice battuta, “già che ci sei portagli i fiori al cimitero”. Continuando più o meno così, “guardati intorno, dedicati al tuo presente, frequenta gli artisti, parla e vivi con loro”. In sintesi, mi invitava a quella che chiamava la “critica militante”, in un mondo non ancora globalizzato, dove il locale rappresentava la prospettiva prevalente.
GLI ANNI NOVANTA ROMANI
E così fu. In quelle aule senesi -con docenti davvero straordinari quali Lorenzo Bellosi, Giuseppe Cantelli, Bernardina Sani e “visiting professor” di eccezione come Mauro Staccioli, Francesco Somaini, Gianni Pettena, Leonetta Bentivoglio- ho condiviso l’esperienza insieme ad altri ragazzi che in seguito hanno saputo dire qualcosa alla cultura del nostro Paese: Chiara Bertola, Luca Massimo Barbero, Michele Dantini, Andrea Bellini, Raffaele Gavarro e Cristiana Perrella, di cui mi innamorai subito fino a seguirla a Roma, sposarla, farci una figlia, Giulia, avviata anche meglio di noi sulle stesse orme. Negli anni romani, i ’90, Enrico Crispolti e la sua famiglia, la moglie Manuela Crescentini, i figli Valerio e Livia, fu un punto di riferimento culturale e una grande amicizia. Nello studio di via Ripetta c’era qualsiasi cosa -cataloghi, comunicati, inviti, ritagli di giornale- che potesse servire a uno studioso di storia dell’arte, un archivio completamente cartaceo di cui solo il professore conosceva l’ordine preciso, mentre il suo tavolo di lavoro era invaso da centinaia di fogli e libri ancora da sistemare. Ricordo una battuta di spirito, ma non l’autore, che se Schwitters aveva inventato il Merzbau, Crispolti lo aveva superato nel Merzbaubau. Attorno alla sua scrivania una nuvola grigia perenne causata dal fumo del sigaro Toscano, ed essendo anche io devoto a questi meravigliosi sigari le nostre fumate in compagnia mi sembravano suggellare ancor di più la nostra amicizia, culminata peraltro in due estati in Sardegna, in vacanza insieme.
LA LEZIONE DI CRISPOLTI
Poi nella vita ci si perde, inevitabilmente: ciascuno di noi ha bisogno di muoversi sulle proprie gambe, scegliere da solo, sbagliare da solo, liberarsi dai propri maestri. Crispolti non amava i funamboli, i critici condizionati dal mercato, prediligeva quegli artisti minori alcuni dei quali stimava più dei maestri conclamati e a me molti di loro non piacevano troppo. Dopo alcuni viaggi a New York con Cristiana ci rendemmo conto che dall’altra parte del mondo c’era ben altra energia e che guardarci attorno non ci sarebbe più bastato. Giusto così. Però da Enrico Crispolti ho imparato davvero tanto. Soprattutto il metodo d’indagine, che se lo individui lo puoi applicare a qualsiasi ambito, e il gusto per l’insegnamento, vera e propria passione civile che ancora mi alimenta perché, come lui, ritengo irrinunciabile il confronto con i giovani e la trasmissione del sapere alle nuove generazioni. Se sono ancora qui, insomma, in gran parte lo devo al mio caro professore, amico di un altro tempo della vita. Lo ricordo con assoluta gratitudine e in suo onore mi fumo un Antico Toscano, come ai vecchi tempi, immaginando di averlo ancora una volta seduto al fianco. Grazie di tutto, Enrico.
– Luca Beatrice
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