L’anima della Belle Époque nella pittura di Giovanni Boldini
Il Complesso del Vittoriano di Roma ospita la grande antologica di Giovanni Boldini, pittore ferrarese amatissimo a Parigi e fra i maggiori interpreti dei fasti della Belle Époque. La sua tavolozza è tenue e pensosa, come un romanzo di Émile Zola o Marcel Proust. Una mostra di ampio respiro, con prestiti internazionali da collezioni private e prestigiosi musei quali l’Orsay di Parigi e l’Alte Nationalgalerie di Berlino. Oltre a un corposo blocco di lettere inedite, che hanno permesso di far luce su tanti aspetti della biografia dell’artista.
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La Belle Époque non sarebbe stata la stessa senza Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 – Parigi, 1931) senza quel raffiné dell’immagine che ne ha immortalato le luci, i colori e la sensualità, rendendo immortale il fascino delle tante dame che hanno posato per lui. Poeta del colore e dell’erotismo intellettuale, appena ammantato di mondana malinconia. Dagli esordi con i Macchiaioli a Firenze, ai soggiorni parigini e ai contatti con il mercante Goupil che lo “lanciano” sul mercato francese; dall’indagine estetica cittadina, avvicinandosi a Degas, ai ritratti dell’aristocrazia, la mostra romana ripercorre la carriera dell’artista nella sua interezza, permettendo di cogliere gli aspetti innovatori della sua pittura, rapida e frusciante come un giro di valzer in una sala del Luxembourg, che nel dinamismo della pennellata, nei piani sfalsati e nei punti di fuga, anticipa il Futurismo di Giacomo Balla e l’Astrattismo di Kandinsky. A contestualizzare l’opera di Boldini, una selezione di trenta dipinti di colleghi contemporanei, da Signorini a Banti, da Tissot a Corcos.
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Giovanni Boldini, Ritratto di Josefina Alvear de Errazuriz, 1892. Collezione Valter e Paola Mainetti
LA PARIGI DELL’ALTA SOCIETÀ
Dopo gli anni a fianco dei Macchiaioli, l’istinto porta Boldini a Parigi, città dove l’estetica aveva preso il sopravvento sulla realtà quotidiana, un modo per dimenticare la crisi economica e la guerra franco-prussiana; l’aristocrazia e l’alta borghesia europee si gettarono nei piaceri del lusso e del divertimento, seguite, anzi probabilmente precedute, dagli artisti. Pur essendo pittore d’atelier, anche Boldini fu molto attento alla vita mondana della città, che esplorò nei suoi aspetti più eleganti, fra parchi, boulevard, teatri e café chantant; quel dinamismo espresso dalla pennellata ferma sulla tela l’energia di una città splendida e sordida insieme, abbagliata dall’ebbrezza della modernità (siamo in pieno Positivismo), e il pittore ferrarese ne coglie la gioia di vivere, il tepore dei suoi salotti, la moda raffinata, l’affettazione di certe pose. Una pittura che va oltre il naturalismo per conseguire respiro letterario, alla stregua del romanzo borghese impegnato; nobildonne, popolane, aristocratici sono i protagonisti di una società a suo modo teatrale e sofisticata, caratteri che si ritrovano nell’eleganza degli abiti, negli sguardi appena pensosi o civettuoli.
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Giovanni Boldini, Il vestito da ballo, 1904 ca. Collezioni d’Arte Fondazione Cariparma, donazione Renato Bruson
SUBLIME PITTORE DEL CORPO
Con la sua visione della società ispirata dalla ritrattistica di Reynolds e Gainsborough – e leggere influenze impressioniste –, interpretò al meglio la grazia, la sensualità, l’eleganza della Belle Époque attraverso le sue dame aristocratiche, avvolte in fruscianti abiti di seta, con guanti lunghi fino al gomito e lo sguardo altero e fiero che infiamma un incarnato appena velato di cipria. La grandezza artistica di Boldini sta infatti nell’aver saputo osservare la bellezza e nell’avervi aggiunto quello che mancava, al punto che i suoi ritratti superano la realtà. Di quelle donne si percepiscono il profumo e la morbidezza della pelle. La bellezza da lui dipinta è assoluta e senza tempo, e spesso si accompagna a un’inquietudine emotiva; il ritratto da erotico si fa anche psicologico, stante la confidenza che lo legava a molte delle sue modelle. La sua frequentazione dell’Impressionismo si limita a Degas, a lui affine per la sensibilità nei confronti dell’universo femminile e per la sperimentazione prospettica assai ardita, che rompe il punto di vista tradizionale per accompagnare l’osservatore in un’indagine molto più intima di luoghi e soggetti.
– Niccolò Lucarelli
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