Luce e pittura. Mark Tobey a Venezia
Collezione Peggy Guggenheim, Venezia – fino al 10 settembre 2017. Un bagno di luce nell'estate veneziana. Nella sede Guggenheim approda la più importante retrospettiva degli ultimi vent'anni su Mark Tobey.
Le sale di una delle più prestigiose collezioni internazionali ospitano sessantasei dipinti di Mark Tobey (Centerville, 1890 – Basilea, 1976), figura solitaria nel panorama della storia dell’arte canonicamente intesa, ma di grandissimo spessore per la produzione artistica americana sia moderna che contemporanea. Le opere esposte descrivono un artista che si è sempre chiamato fuori dagli schemi, rifiutando ogni connotazione che lo identifichi all’interno di un determinato movimento. Dagli Anni Venti agli Anni Settanta, l’esposizione raccoglie ogni sfaccettatura delle fascinazioni dell’artista originario del Wisconsin, restituendo un percorso analitico e di maturazione figlio del suo vagabondare tra i grandi poli dell’arte mondiale come New York, Parigi e Basilea.
Le forme sintetiche che tracciano i volumi dei primi paesaggi rappresentano l’approdo di Tobey, già affermato illustratore e ritrattista, a una pittura evocativa e di chiara matrice metafisica.
La ricerca personale che renderà il pittore statunitense un pioniere dell’Espressionismo astratto americano affonda le proprie radici, ancor prima che in un’astrazione solo apparente, nella composizione figurativa di visioni relative alla sintetizzazione dell’architettura urbana. Dipinti come Middle West [American Landscape], del 1929, e Algerian Landscape, del 1931, sono l’esemplificazione della volontà di spingere la speculazione sull’immagine oltre la percezione umana.
LA FORZA DELLA SPIRITUALITÀ
Tobey rifiuta la grande scala dei grandi maestri contemporanei, la monumentalità dei migliori Color Field di Mark Rothko e Barnett Newman non è contemplata. Rimanere su dimensioni ridotte significa elaborare maggiormente un’intimità e una forza interiore che instaurano con il pubblico un profondo dialogo emozionale. Microcosmi sognati e restituiti attraverso le sintesi panoramiche di scenari urbani e naturali, innervate da un’impressionante carica elettrica. La luce, quella luce filante che dà il titolo a questa importante manifestazione orchestrata dalla Addison Gallery of American Art, con il sostegno dell’Institutional Patron Lavazza.
Come vasi sanguigni, linee fluttuanti di colore bianco irrorano le tele con un ritmo così organico e immersivo da sublimare l’esperienza di visita oltre la tangibilità delle cose.
Il segno diventa immagine, calligrafia ed epifania di una spiritualità intrinseca nella produzione artistica di Tobey; si manifesta, attraverso la sua arte, un allontanamento dall’immediatezza e dalla spontaneità in favore di una meditazione tendente al trascendentale. Ecco la concretizzazione della “scrittura bianca”, un alfabeto di luce brillante, dotato di un dinamismo senza eguali. Una commistione tra l’occidente e gli studi seguiti grazie a quelle fascinazioni che hanno accompagnato Tobey nei numerosi viaggi in oriente.
LABIRINTI DI LUCE
Le dimensioni dei quadri sono destinate ad aumentare nell’ultimo periodo di produzione; una variazione che amplifica ancor di più l’essenza delle pitture. Sono i campi selvaggi degli Anni ’50, solcati da una poesia metafisica che abbraccia lo spazio interiore. La spiritualità della luce per inseguire il divino, l’inafferrabile.
Molti sono gli elementi concreti descritti dai labirinti di luce, volontà dell’artista di mantenere un contatto diretto con la realtà ponendo davanti agli occhi la contemporaneità filtrata dall’astrazione.
Resta la reiterazione del ricordo di una mostra capolavoro che apre un focus, dovuto e necessario, su un artista d’avanguardia mai allineato nei fitti reticoli che impone la Storia.
– Davide Merlo
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