Scultura, vuoto, emotività. Rachel Whiteread a Londra
Tate Britain, Londra ‒ fino al 21 gennaio 2018. Il museo britannico ospita un’importante retrospettiva dedicata all’artista inglese, che ha trasformato la scultura contemporanea in un’intima esplorazione di volumi e superfici. Tra monumentale e quotidiano.
“Volevo preservare il quotidiano, volevo dare autorità alle cose più dimenticate”, spiega Rachel Whiteread (Londra, 1963) nel video che presenta la mostra più importante in assoluto dedicatale fino a ora. Una retrospettiva che abbraccia l’attività della prima artista donna a vincere il Turner Prize grazie all’opera House (1993), un monumentale calco di una casa vittoriana destinata alla demolizione nella zona est di Londra, realizzato riempendo gli interni con cemento bianco e abbattendo le pareti esterne, per rivelare i volumi interni di stanze non più abitabili.
Le imponenti Duveen Galleries introducono il visitatore al lavoro dell’artista con cento colorate sculture in resina disposte simmetricamente (Untitled ‒ One Hundred Spaces, 1995), materializzazione del volume d’aria presente sotto la seduta della sedia e le sue quattro gambe. Ogni calco è unico come l’oggetto originale che lo ha generato, di cui riporta ogni minimo dettaglio e ogni singola imperfezione. Per l’occasione l’artista ha deciso di presentare, negli stessi spazi che fungono da introduzione alla mostra, delle opere scelte dalla collezione permanente alle quali è particolarmente legata. Sono opere di Sarah Lucas, Robert Morris, Barbara Hepworth, Barry Flanagan e altri autori che, come Whiteread, hanno spinto la scultura oltre i propri limiti.
LA MOSTRA
La sala espositiva si presenta come un unico open space dove il visitatore riesce a visualizzare l’intero percorso dell’artista dal 1988 a oggi. Le prime opere già dimostrano una straordinaria consapevolezza di una peculiare pratica scultorea che mira a rendere giustizia agli spazi trascurati. I calchi ricreano le aree interne o sottostanti di mobili di uso comune, come un armadio (Closet, 1988) e un divano letto (Shallow Breath, 1988), ma anche di umili oggetti quotidiani come un lavandino (Untitled – Square Sink, 1990) o una borsa dell’acqua calda (Torso, 1988). Seppur ricreate in materiali industriali come cemento o gesso, queste sculture in negativo, dai colori neutri, rivendicano la nobiltà e la bellezza della realtà quotidiana e ne evocano la carica emotiva. L’esplorazione della dimensione intima di questi oggetti e il loro bagaglio sentimentale è una costante che attraversa tutta la produzione di Whiteread. In Contents (2005) l’artista presenta i calchi in gesso di scatoloni di cartone, gli stessi che ha dovuto dolorosamente aprire e sistemare nella casa ormai vuota della madre deceduta, e che hanno occupato, ammassati in pile altissime, la Turbine Hall della Tate Modern nell’installazione Embankment (2005).
Questi oggetti silenti non sono più funzionali, e come tali sembrano escludere l’uomo da ogni tipo di contatto. Tuttavia, nella loro nuova natura diventano monumenti a istanti dimenticati, memoria delle vite umane che li hanno attraversati. Come i libri, fonte del sapere umano, che Whiteread ricrea all’inverso in un’esplorazione al contrario dei corridoi di una biblioteca (Untitled ‒ Book Corridors, 1997-98) e nel monumento commemorativo per le vittime dell’Olocausto a Vienna (2000).
PUBBLICO E PRIVATO
Anche su grande scala l’artista riesce a mantenere la vocazione lirica della propria scultura. Quando si trasferisce in una nuova casa, una ex sinagoga nell’est londinese, si impegna a materializzare il volume d’aria sotto le scale (Untitled – Stairs, 2001). Il risultato è un’imponente (quasi quattro metri in altezza) doppia scultura, invertita, degli spazi che hanno assorbito i passi delle persone che li hanno abitati. Whiteread privilegia gli interni, la dimensione privata degli edifici, rispetto a quella pubblica. Tra le due, tuttavia, l’artista individua dei punti di passaggio a cui dedica un’attenzione crescente negli ultimi dieci anni. Sono porte e finestre, ovvero gli elementi architettonici che permettono la comunicazione tra la sfera privata e la dimensione pubblica. Whiteread ne ricrea le superfici concave in resina colorata, dotandole di una trasparenza che rivela la labilità del confine segnato da questi elementi divisori. Al contrario, l’opacità e l’impenetrabilità del gesso rende ancora più spettrale la monumentale Room 101 (2003), calco dell’interno della stanza dove George Orwell lavorò alla BBC, che avrebbe ispirato la sala della tortura del suo romanzo distopico 1984.
LA FORZA DELL’EMOTIVITÀ
La mostra illustra tutta la produzione dell’artista dagli inizi a oggi con accuratezza, riuscendo a far emergere naturalmente, dalle sculture, i principali temi di ricerca. Documenta le sperimentazioni con materiali e scale diverse, in un arco trentennale, di una scultura dedita alla rappresentazione degli spazi vuoti. Luoghi morti che l’occhio trascura, e che si rivelano invece densi di potere emozionale. Particolarmente interessanti per comprendere il processo creativo dell’artista si dimostrano i disegni esposti insieme ai taccuini e ad alcuni oggetti del suo studio di varia provenienza, eterogenee fonti d’ispirazione.
Quella della Tate è una retrospettiva ampia quanto rigorosa, che riesce a trasmettere in maniera autentica la forte carica emotiva dell’opera di Whiteread e a rendere visibile la commovente, intima bellezza di luoghi e oggetti familiari, e delle loro minute imperfezioni.
‒ Roberta Minnucci
Londra // fino al 21 gennaio 2018
Rachel Whiteread
TATE BRITAIN
Millbank
www.tate.org.uk
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