Claude Monet: l’Avanguardia prima dell’Avanguardia

Complesso del Vittoriano, Roma ‒ fino al 2 febbraio 2018. Sessanta capolavori dal Musée Marmottan, appartenuti all’artista stesso e per la maggior parte mai esposti in Italia, raccontano il lato più intimo e sperimentale del fondatore dell’Impressionismo, che rivoluzionò l’arte europea.

La sua visione della natura ha il sapore di una poesia di William Auden, i suoi esperimenti con il colore hanno la forza di una sinfonia di Jean Sibelius. Claude-Oscar Monet (Parigi, 1840 ‒Giverny, 1926) fu molto di più di un pittore ottocentesco, e la mostra curata da Marianne Mathieu ne spiega l’evoluzione della poetica pittorica dall’“invenzione” dell’Impressionismo alle avvisaglie dell’Astrattismo, passando per l’intuizione dell’Espressionismo. Un genio pittorico che ha sempre lavorato d’anticipo, la cui pennellata contiene in nuce Cézanne, van Gogh, Picasso e Jackson Pollock.

DALLE CARICATURE ALL’ESPLORAZIONE DELLA LUCE

In apertura di mostra, una selezione di dieci caricature, tipologia di opere che segnò i suoi esordi giovanili a Le Havre (dove compì gli studi superiori), sul finire degli Anni Cinquanta del secolo. Un genere che all’epoca riscuoteva molto successo, anche in conseguenza della diffusione della stampa satirica. Modello di riferimento Nadar, che in quel campo fu un pioniere. Tuttavia, l’approccio di Monet non era dettato tanto da motivazioni di osservazione o critica sociale (come avveniva invece nel clima del “romanzo naturalista”), quanto da questioni di opportunità tecnica, per affinare la propria abilità nel disegno. Fu grazie all’incoraggiamento del pittore normanno Eugène Boudin che abbracciò la pittura e scoprì l’importanza dell’“en plein air”. Non meno importante della nota Impression, soleil levant, anche Treno nella neve. Locomotiva (1875) può essere considerato un manifesto dell’Impressionismo, la prima grande stagione pittorica di Monet. I colori non sono definiti, allo scopo di riprodurre, attraverso un artificio pittorico, la realtà visiva di un paesaggio immerso nella bruma di una giornata invernale; l’attenzione del pittore si concentra sulla luce che, in un certo senso, è la vera protagonista del quadro. All’indeterminatezza del colore si affianca quella della forma, con contorni appena distinguibili. Il soggetto, per lui, ha sempre avuto una posizione secondaria, mentre la sua attenzione si concentrava invece su ciò che si frapponeva tra lui e il soggetto stesso, ovvero la luce, l’ombra, la pioggia, la neve, la nebbia. A differenza di Manet, Renoir o Degas, per citare i più mondani, Monet non fu mai particolarmente interessato alla Belle Époque nei suoi aspetti più sfolgoranti, sensuali e a volte anche sordidi. Molto affezionato alla sua quiete domestica e familiare, concepiva la pittura non alla stregua di un mezzo di osservazione della società, bensì come uno strumento per afferrare e fissare sulla tela ciò che la natura ha d’inafferrabile, ovvero quei fenomeni fisici e atmosferici di variazione della luce e dei colori che conferiscono ai soggetti una relativa “indeterminatezza” ottica, a seconda di come la luce vi interagisce.

Claude Monet, Ninfee, 1916 1919 Parigi, Musée Marmottan Monet © Musée Marmottan Monet, paris c Bridgeman Giraudon presse

Claude Monet, Ninfee, 1916 1919 Parigi, Musée Marmottan Monet © Musée Marmottan Monet, paris c Bridgeman Giraudon presse

L’INTIMITÀ FAMILIARE

Gelosamente custoditi come patrimonio della memoria personale, i ritratti dei figli Jean e Michel lasciano percepire l’affetto paterno nell’intensità espressiva che li caratterizza, concentrata in particolare negli sguardi, caldi, profondi, vivi. Per Monet, che prediligeva i paesaggi per le maggiori possibilità di sperimentazione tecnica che gli offrivano, questi ritratti sono fra le poche eccezioni alla regola, ma affascinano per la dolcezza che esprimono, anche in considerazione dell’incompiutezza formale e della non accuratezza dei profili: ritratti “in divenire”, così come sono in divenire il corpo e la psicologia di un bambino.

Claude Monet, Il ponte giapponese, 1918 19 Parigi, Musée Marmottan Monet © Musée Marmottan Monet, paris c Bridgeman Giraudon presse

Claude Monet, Il ponte giapponese, 1918 19 Parigi, Musée Marmottan Monet © Musée Marmottan Monet, paris c Bridgeman Giraudon presse

ALLA RICERCA DELLA MODERNITÀ

Pur avendolo fondato, con l’Impressionismo Monet ha condiviso soltanto una parte della sua carriera; da instancabile sperimentatore, ha sempre saputo guardare avanti, al punto che lo si può ritenere, in retrospettiva, il “padre putativo” di buona parte dell’arte del Novecento e persino degli Anni Zero. Attorno al 1889, Monet conosce la seconda fase della sua carriera pittorica, la tavolozza si scurisce, i volumi acquistano rilevanza e un’accentuata tridimensionalità, e la prospettiva subisce distorsioni che modificano profondamente l’impostazione compositiva. Un approccio che sarà ulteriormente sviluppato da Cézanne prima, e da Braque e Picasso poi, nell’elaborazione del Cubismo, ma traccerà anche la strada per l’Astrattismo. L’ampliamento di prospettiva di Monet ha quindi segnato lo sviluppo artistico successivo, e un dipinto come il Ponte di Charing Cross (1889-1901) già contiene le premesse per i successivi cento anni di storia dell’arte: una pennellata densa e materica, pochi colori spinti su sentieri audaci e innovativi, che segnano una cesura con la pittura come la si era conosciuta sin lì. La pittura d’impressione assume un ruolo sempre più preponderante rispetto alla compiutezza formale, alla quale, a ben guardare, Monet non è mai stato particolarmente interessato. Coronamento di questi studi sul colore, opere come Giardino giapponese o la serie delle Ninfee, autentiche esplosioni cromatiche con le quali, probabilmente, Monet fu il primo pittore a “liberare il segno”, anticipando l’espressionismo e l’astrattismo americano, da Jackson Pollock a Mark Rothko e Cy Twombly. Protagonista assoluto il colore, che suggerisce la presenza di paesaggi, fiori, piante, acqua, sfrangiando però il quadro compositivo tradizionale e aprendo la strada all’arte concettuale della percezione allargata.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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