Atlas Italiae. Intervista a Silvia Camporesi
Silvia Camporesi presenta, nelle eleganti sale della Galleria del Cembalo a Roma, “Atlas Italiae”, una collezione poetica di romantici esempi di archeologia industriale in bilico tra un passato non più in essere e un futuro ancora da scrivere. Citando Marinella Paderni, il “non essere più e il non essere ancora”.
Atlas Italiae è la raccolta delle fotografie di un’Italia in via di sparizione, il frutto di un progetto ideato da Silvia Camporesi (Forlì, 1973) che l’ha vista viaggiare per un anno e mezzo nella nostra terra, alla ricerca di luoghi dimenticati, abbandonati e che muovono verso un lento e inesorabile decadimento. Ce li siamo fatti raccontare da lei.
Che cos’è Atlas Italiae?
È una mappatura poetica – con una declinazione documentale – dei luoghi abbandonati dell’Italia: in particolare, borghi ed edifici di interesse storico. Un lavoro svolto nell’arco di due anni circa.
Che significato assume per te la parola “decadimento”? È qualcosa che ha a che fare con la trasformazione della materia, con la memoria o riguarda entrambe?
Il “decadimento” inteso come un “andare declinando” è alla base di questo progetto. Si tratta di luoghi colti nel pieno della loro fragilità, luoghi che fra un anno potrebbero non esistere più, perché crollati o ristrutturati. Nel declino delle strutture ho tuttavia cercato un presidio di memoria, qualcosa che potesse raccontarmi la storia di quelle mura, il ricordo di chi le aveva abitate.
Attraverso le grandi scoperte archeologiche del Settecento, il culto dell’antico matura, per la prima volta, un particolare gusto estetico che vede nella rovina un elemento di grande fascino e di forza simbolica, evocativa del passato. I luoghi in decadimento protagonisti delle tue fotografie racchiudono bellezza e intensità, che però scaturiscono chiaramente da altro. Da cosa? Quali sono state le premesse del suo lavoro?
Effettivamente, come sottolinea Marinella Paderni nel testo di introduzione al libro, Atlas Italiae è un lavoro dedicato alle rovine e non alle macerie, anche se in molti casi ho trovato solo le seconde. È inequivocabile il fascino che un luogo disabitato porta con sé, soprattutto per noi italiani abituati alle affollatissime città d’arte. I luoghi abbandonati non sono di nessuno, sono quasi sempre deserti e innescano quindi una gamma di emozioni totalmente nuova. La premessa da cui sono partita era proprio la ricerca di questo vuoto, riempito solo da echi di memoria.
Colori a mano le tue foto. Qual è il valore aggiunto di una fotografia colorata rispetto a una fotografia a colori? Questa tecnica ha un risvolto concettuale?
Alla fine del viaggio mi sono trovata a mettere insieme foto molto diverse le une dalle altre in quanto a luci e tonalità e ho deciso di colorarle a mano – con un omaggio alla storia della fotografia – per uniformarle esteticamente, potendo scegliere la quantità di colore da “aggiungere”. Al tempo stesso l’azione ha anche un valore concettuale: colorare fotografie di luoghi abbandonati è un po’ come ridar loro un respiro, rianimarli. Ovviamente una fotografia colorata a mano è frutto di un lavoro molto lungo e difficile, quindi recupera una lentezza che la allontana dalla velocità del digitale.
Mi viene in mente il gruppo Stalker, interessato ai non luoghi, alle zone periferiche, ai margini dimenticati delle città e alle aree urbane in via di trasformazione. I progetti di Stalker hanno come prerogativa la partecipazione del pubblico all’interno dell’intero processo creativo. Pur non coinvolgendo direttamente il pubblico, sembri comunque richiamarlo a un certo tipo di responsabilità. Cosa possiamo fare noi di fronte a questa Italia che sta svanendo?
In questo lavoro non c’è alcun atto di denuncia, anche se inevitabilmente la circolazione delle immagini mette in campo una serie di questioni piuttosto importanti: cosa ne sarà di tutto questo patrimonio in decadenza? Non ho risposte in merito, io da artista ho lanciato un sasso e ritratto la mano. Il mio interesse si è concluso con la pubblicazione del libro. Se questo ha messo in moto una sensibilizzazione delle istituzioni e porterà a conseguenti progetti conservativi, vuol dire che l’arte, a volte, ha anche un valore sociale.
Progetti futuri?
Devo dire che con questo viaggio mi sono ulteriormente innamorata dell’Italia e vorrei continuare nella mia indagine sul territorio attraverso altre tematiche.
Francesca Mattozzi
Roma // fino al 9 aprile 2016
Silvia Camporesi – Atlas Italiae
Catalogo Peliti
mostra organizzata in collaborazione con z2o Sara Zanin Gallery
GALLERIA DEL CEMBALO
Largo della Fontanella di Borghese 19
06 83796619
[email protected]
www.galleriadelcembalo.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/51634/silvia-camporesi-atlas-italiae/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati