Obiettivo sul presente. SI Fest 2018
Savignano sul Rubicone ‒ fino al 30 settembre 2018. La XXVII edizione del SI Fest Contemporary Photography riunisce dodici mostre, tutte con opere inedite in Italia, di altrettanti fotografi italiani e stranieri. Ognuno dei quali riflette su un aspetto della variegata e problematica realtà contemporanea.
“Ciò che si vede dipende da come si guarda. Poiché l’osservare non è solo un ricevere, uno svelare, ma al tempo stesso un atto creativo”. Parole di Søren Kierkegaard che riassumono lo spirito del SI Fest 2018, On being now, incentrato su alcuni aspetti del vivere contemporaneo, ma anche sui nuovi linguaggi della fotografia, che si fa specchio del gran teatro del mondo, specchio di una società fluida, complessa, ansiosa, conflittuale, eppure, per fortuna, ancora capace di sognare. Grazie a una formula di mostre capillarmente diffuse per la cittadina di Savignano sul Rubicone, essa stessa diviene un teatro a cielo aperto, affacciato sul teatro della contemporaneità.
IL PATRIMONIO DELLA MEMORIA
Si guarda al futuro se si conosce il passato, a cominciare da quello del proprio vissuto, della propria cerchia familiare, dove si sono condivisi momenti di crescita e di acquisizione di consapevolezza. Con I Want Your Love, Richard Renaldi (Chicago, 1968), traccia un’autobiografia per immagini dove concentrare le tappe di una crescita fisica e cognitiva dall’infanzia all’età adulta, lo sforzo di una ricerca di se stessi e gli ostacoli incontrati. Fotografie immediate, profonde, poetiche e crude insieme, dal sapore carveriano di esistenze complesse. Invece Francesco Ley (Livorno, 1990) si racconta attraverso la storia della propria famiglia; Azimuths of Celestial Bodies intreccia la recente storia europea con quella quotidiana dell’individuo, per tramite di un linguaggio a tratti simbolico e metaforico, dove l’invenzione estetica non è artificio ma ricerca di una verità tramandata da ricordi, esperienze, gioie e dolori, che in un certo senso fanno dell’individuo un elemento in armonia con l’universo.
CONFLITTI, OPPRESSIONI, DISAGIO, DISUGUAGLIANZA
La fotografia installativa è probabilmente la grande novità del SI Fest 2018. La introduce Paolo Ciregia (1987), che con 125 commemora il numero delle vittime degli scontri fra civili e polizia a Kiev, nel febbraio scorso; si tratta di una sorta di “antimonumento”, dove la crudezza delle immagini va nella direzione opposta della retorica che caratterizza tutti, o quasi, i monumenti commemorativi, staccati dalla realtà e consegnati quasi all’agiografia. Un’opposta atmosfera irreale, ai limiti di una continua celebrazione monumentale del regime, la si respira nella vita quotidiana di Pyongyang, capitale dell’opprimente Corea del Nord: in Korean Dream Filippo Venturi (Cesena, 1980) ne offre immagini esteticamente impeccabili e dai raffinati colori, che però lasciano intuire la meccanicità di gesti ed espressioni, come in attesa di un’approvazione dell’alto.
La piaga del razzismo trova due differenti maniere di narrazione: Ina Lounguine (Odessa, 1993), nel lavoro The Price Of A Black Life In America, si avvale di manipolazioni fotografiche dal forte sapore simbolico, mentre il duo Casotti e Brutti in INDEX G ‒ discontinuità tra sistemi spaziali umani adiacenti, svolge un’indagine urbanistico-architettonica per indagare il fenomeno della segregazione residenziale.
Poco conosciuta la cittadina palestinese di Rawabi, che ha ispirato l’omonimo lavoro del duo italo-francese Andrea e Magda, un racconto socio-urbanistico, metafora di una convivenza possibile.
Il disagio mentale femminile è al centro di Internat, reportage di Carolyn Drake (Los Angeles, 1971), realizzato in un istituto di Ternopil’, in Ucraina. Drake coinvolge le giovani donne nella ricerca dell’identità, le fa protagoniste di un percorso creativo che lascia emergere sensibilità ingiustamente represse.
REALTÀ MANIPOLATA
Due mostre a loro modo provocatorie riflettono sulla questione dell’apparenza. Un approccio pittorico caratterizza Et Fiat Lux di Špela Volčič (Postojna, 1984), ispirato alla natura morta olandese, creando situazioni estetiche artificiali sature di colore, con fiori di plastica e poliestere. Non una contemplazione della bellezza, ma una metafora della mistificazione dell’immagine. Invece Max Pinckers (Bruxelles, 1988), in Margins of Excess, si concentra sulla manipolazione della realtà dei fatti: sei storie possibili, eppure false, raccontate alternando immagini d’archivio e altre appositamente costruite, per spiegare come la narrazione molto spesso sovrasti i fatti oggettivi, con la sua cornice di emozioni e convinzioni che il fotografo immette nell’immagine.
SGUARDI SUL FUTURO
Una nuova frontiera tra la vita e la morte la pone la criogenesi, il cui obiettivo pare essere l’immortalità. Murray Ballard (Brighton, 1983) racconta la comunità criogenica internazionale attraverso gli strumenti utilizzati per questo particolare tipo di pratica medica. E da quegli ambienti asettici nascono interrogativi etici e filosofici. Invece Lucie Khahoutian (Ereva, 1990), aspira a creare un incontro tra la cultura visuale contemporanea occidentale e quella armena tradizionale. Religione, spiritualità, misticismo sono i punti focali di un linguaggio fotografico che sfiora l’onirico e il surreale, nel tentativo di sottrarre l’Armenia al suo secolare isolamento.
‒ Niccolò Lucarelli
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