Giotto. Vita e opere del primo artista della modernità
La pecorella dipinta su un sasso, il cerchio perfetto tracciato senza compasso… quante sono le leggende e i misteri legati al nome di Giotto?
Nella storia dell’arte occidentale, Giotto è il simbolo di un rinnovamento profondo, che conduce dall’antichità alla modernità. Tantissime furono le novità da lui introdotte: un vero anello di congiunzione tra la tradizione medievale, e i grandi ideali umanistici del Rinascimento.
Per punti
Giotto nelle parole dei suoi contemporanei
Meglio di chiunque altro, i letterati del suo tempo seppero introdurre a dovere la figura di Giotto. Tra i primi a riconoscerne la rivoluzione ci fu Dante Alighieri, nella Divina Commedia. Citando una terzina dell’XI Canto del Purgatorio:
“Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura.”
Ancora in vita, già era citato come qualcuno degno di essere ricordato per sempre. Una decina di anni dopo la sua morte, Boccaccio riconfermò il suo talento tra le righe di una novella del Decameron. Definì le sue opere come “quell’arte ritornata in luce” dopo i secoli bui del Medioevo. Procedendo nel tempo, Cennino Cennini (uno dei primi storici dell’arte di inizio ‘400) scrisse che Giotto aveva “mutato l’arte del dipingere di greco in latino” e che l’aveva “ridotta al moderno.” Un cambiamento radicale, che apriva la strada al futuro e alla modernità.
Notizie biografiche di Giotto
Una giovinezza leggendaria e prodigiosa
Giotto nacque a Colle di Vespignano, nel cuore del Mugello fiorentino, intorno al 1267. Di buona famiglia, la tradizione biografica racconta che fu presto accolto nella bottega di Cimabue: celebre pittore dell’epoca. Riguardo i suoi primi passi, non ci sono notizie certe, se non quanto riportato da Giorgio Vasari. Citando alcuni dei fatti più noti da lui trascritti, Giotto dimostrò fin da subito enorme talento. Pareva in grado di disegnare una circonferenza perfetta (chiamata la O di Giotto) senza compasso, e persino che avesse dipinto su una tavola una mosca così realistica, che il maestro aveva tentato di scacciarla davvero. Fatti leggendari, che contribuiscono ad aumentarne la fama universale.
Le prime opere e la Basilica Superiore di Assisi
Dopo il matrimonio del 1287, Giotto aprì la sua bottega a Firenze, circondandosi di allievi e aiutanti, che lo assistevano nelle commissioni. Fin da subito si palesò il suo talento innovativo: il naturalismo dei suoi soggetti superò gli ori e l’astrattismo bizantini allora dominanti.
Molto dibattuta rimane la paternità degli affreschi della Basilica Superiore di San Francesco d’Assisi, risalenti ai primi anni novanta. C’è chi è a favore, e chi contrario, propendendo più per una generica scuola romana. Maggiori certezze sostengono il Crocefisso di Santa Maria Novella: una vera rivoluzione nell’ambito iconografico di questo soggetto.
Commissioni tra Roma, Firenze e Padova
Fino al 1300, un vuoto di notizie impedisce di chiarire quali furono le commissioni del periodo. È probabile che lavorò a Roma, prima di tornare a Firenze, dove aprì stabilmente bottega nel 1301.
Gli anni tra il 1303 e il 1305 furono in gran parte dedicati al suo più grande capolavoro: gli affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova, commissionati dall’omonimo banchiere.
La Basilica Inferiore di Assisi, e nuovi lavori fiorentini e romani
Terminato l’incarico prestigioso a Padova, Giotto ritornò in Centro Italia, chiamato ancora a decorare la Basilica di San Francesco. Questa volta, però, si dedicò all’edificio inferiore, di cui dipinse con buona certezza parte del transetto. Dal 1311 risiedette più o meno stabilmente a Firenze, spostandosi altrove solo per brevi periodi. Lavorò a Roma, in Vaticano, per un mosaico purtroppo perduto; arrivò fino a Napoli, al servizio di Roberto d’Angiò.
Risalgono a questi anni le opere fiorentine delle cappelle Peruzzi e Bardi nella chiesa di Santa Croce, e la Maestà di Ognissanti oggi agli Uffizi.
Il Campanile e gli ultimi anni
Nell’ultimo periodo della sua vita, Giotto si dedicò soprattutto all’attività di architetto. Nel 1334 cominciò il progetto per il Campanile del Duomo di Santa Maria del Fiore, che non riuscì però mai a vedere concluso. Dopo un breve viaggio a Milano, morì nel 1337.
Lo stile e la tecnica di Giotto
La rivoluzione giottesca
La figura di Giotto segnò un passaggio fondamentale nella storia dell’arte. Egli traghettò il modello dell’artista gotico, ancora legato al Medioevo, in direzione del Rinascimento. Questo vale per lo stile, quanto per la figura del pittore stesso. È con Giotto, infatti, che si cominciò a vedere un modello di artista indipendente dalle corti, con una produzione diffusa a livello sovraregionale. La sua bottega lavorò in varie città, e per numerosi committenti: dal banchiere Enrico Scrovegni a Padova, ai Francescani di Assisi, al Vaticano, e molti altri. In un’epoca in cui ancora la pittura era un’arte meccanica, raggiunse una dignità sociale tale da avvicinarlo allo spirito dei nascenti circoli intellettuali toscani, che sarebbero diventati centrali un secolo dopo.
Le novità introdotte da Giotto
Lo studio della composizione
La prima innovazione giottesca, ben visibile nella Basilica Inferiore di Assisi, fu lo studio attento della geometria compositiva. Le scene appaiono molto ordinate, e costruite con linee che guidano l’occhio direttamente verso i protagonisti principali.
La finta cornice architettonica
I pittori medievali concepivano la parete in quanto semplice superficie bidimensionale, da riempire con scene incorniciate da motivi vegetali o geometrici, com’era per le miniature. Le storie affrescate da Giotto, invece, erano contornate da realistiche cornici architettoniche, che ingannavano la vista. Colonne tortili, architravi e lesene: vere finestre di marmo fittizio, che si aprivano sugli episodi biblici ambientati nella natura.
Le scatole prospettiche e la prospettiva intuitiva
Se già le cornici architettoniche introducevano la terza dimensione, questa continuava all’interno delle scene narrative. Grazie alla prospettiva intuitiva (basata su quello che l’occhio vedeva) i contesti spaziali acquisivano profondità. Gli edifici si innalzavano con volume realistico, e gli oggetti in lontananza erano in scala ridotta rispetto a quelli in primo piano. Le scene giottesche sembravano davvero finestre aperte su un mondo concreto. Un mondo in cui le azioni si svolgevano in uno spazio-tempo determinato, come fosse uno spettacolo di teatro.
L’umanità delle figure
In risposta al bisogno di avvicinare le storie evangeliche al popolo, Giotto inaugurò un nuovo codice iconografico che riproduceva la figura umana in modo naturale. I volti esprimevano ciascuno un proprio sentimento: non c’era profilo uguale all’altro, proprio come ci si sarebbe aspettati in una folla di cittadini. Anche i soggetti sacri, prima sempre resi in modo ieratico e ultraterreno, assunsero fattezze terrene, che aiutavano la gente a sentire la presenza di Dio nel quotidiano.
La naturalezza del paesaggio
Un realismo analogo a quello delle figure umane fu proposto da Giotto anche per i contesti in cui erano inseriti. Al posto dei tipici fondi oro medievali, introdusse paesaggi verosimili, naturali o cittadini. Il pubblico dell’epoca doveva avere l’impressione di vedere rivivere le scene bibliche nei dintorni delle proprie case.
Dettagli che richiamano le mode del suo tempo
La ripresa della contemporaneità riguardava anche i dettagli. Architetture, motivi decorativi e tessuti: tutti elementi ispirati ai costumi trecenteschi, che erano funzionali a coinvolgere lo spettatore. Un esempio sono i marmi policromi intarsiati, molto ricorrenti, che rispecchiavano la moda introdotta dai Maestri Comacini.
L’uso del chiaroscuro
Le classiche campiture di colore furono sostituite da un uso attento e naturalistico del chiaroscuro. La resa delle zone d’ombra permetteva di evidenziare la pesantezza dei tessuti, e di modellare le figure dei personaggi. Così facendo, il colore non era più un semplice mezzo decorativo, ma parte integrante dello studio anatomico e compositivo.
Gli affreschi a giornate
L’ultimo aspetto da ricordare è la nuova pratica di lavoro adottata da Giotto: l’affresco a giornate. Un vero passo avanti per quei tempi, rispetto all’affresco a pontate proprio della bottega di Cimabue. Con questa novità, la qualità e la durata delle opere migliorarono moltissimo.
La tecnica dell’affresco
Come suggerisce il nome, l’affresco consiste del dipingere su una superficie “a fresco”, ossia sull’intonaco appena steso, prima che si asciughi. In questo modo, il processo chimico della carbonatazione lega i colori alla calce, così da preservarli nel tempo.
La tecnica base, analoga a quella adottata ai tempi di Giotto, prevede tre strati di materiale: supporto, intonaco e colore. Si parte dalla superficie parietale, che deve essere sufficientemente liscia per lavorare senza intoppi. Si procede con uno strato di malta chiamata arriccio: calce, mescolata a sabbia o pietrisco grossolano, e acqua. Quando questo è asciutto, si stende l’intonachino, composto da calce, sabbia fine, polvere di marmo, e acqua.
Prima che si secchi, si dipinge l’opera. Possibili ritocchi potranno poi essere fatti a secco, ossia dopo l’asciugatura.
Nel Trecento, i colori erano a tempera: pigmenti di varia natura (pietre, terre, materia organica…), macinati finemente e poi uniti e mescolati a un legante (uovo o colla animale) sulla tavolozza.
L’affresco a pontate
L’affresco a pontate tradizionale prevedeva di stendere una porzione di intonaco di forma rettangolare, corrispondente a ciascun livello del ponteggio su cui saliva l’artista. Era utile con fregi decorativi ripetitivi, non molto complessi. Quando, però, si aveva a che fare con pezzi che includevano particolari elaborati (i volti ad esempio), la difficoltà cresceva. Considerando il tempo limitato a disposizione prima dell’asciugatura (circa tre ore), il pittore doveva fare in fretta. E, con la fretta, si andava a perdere in qualità. Se, poi, l’opera non era ancora completa, sarebbe stato necessario ritoccare nei giorni seguenti con la tempera a secco. Questo pregiudicava la durata nel tempo delle aggiunte, che non beneficiavano del processo di carbonatazione della pittura a fresco.
L’affresco a giornate
Giotto si trovò presto di fronte a un problema: realizzare grandi affreschi pieni di figure umane, panneggi, e dettagli naturali, senza ridurre la qualità e la durevolezza. L’affresco a pontate non andava più bene.
Allora, ebbe un’intuizione rivoluzionaria: suddividere le porzioni di intonaco da stendere in base alla difficoltà del soggetto. Piccole aree per i volti; sezioni più ampie per le campiture. Cominciò a utilizzare anche il disegno preparatorio, tracciato sul supporto con la sinopia (un pigmento rosso). In questo modo, poteva avere un’idea d’insieme della scena preliminare, suddividendo già la parete nei pezzi che avrebbe affrescato di volta in volta. La bellezza e la precisione delle sue opere, in parte ben visibili tutt’oggi, sono dovute anche a questa tecnica.
Gli affreschi di Giotto nella Basilica di Assisi
La costruzione della Basilica di San Francesco d’Assisi
L’eredità lasciata da San Francesco fu tale, da spingere la Chiesa a costruire ad Assisi una basilica in suo onore già due anni dopo la sua morte. Così, nel 1228 cominciarono i lavori, che si conclusero nel 1253 con il risultato grandioso oggi visitato da milioni di pellegrini. L’inizio della decorazione è incerto, a causa della distruzione degli archivi storici; si ipotizza un periodo successivo alla seconda metà del secolo, e dopo il 1288 per la Basilica Superiore. L’intervento di Giotto è allo stesso modo misterioso.
La questione giottesca
L’incertezza legata alla paternità di Giotto degli affreschi della Basilica Superiore di Assisi ha portato a sollevare una vera e propria disputa tra storici dell’arte. C’è chi ritiene verosimile il suo contributo ai cicli delle Storie di Isacco e della Vita di San Francesco; e chi è di diversa opinione, parteggiando per un suo coinvolgimento successivo, solo nella Basilica Inferiore. Secondo la prima posizione, Giotto sarebbe giunto ad Assisi intorno al 1290, in aiuto della bottega di Cimabue, incaricata della decorazione. Secondo gli altri, invece, la data sarebbe da posticipare al 1297. La questione è ancora oggi aperta.
Gli affreschi della Basilica Superiore
Seguendo l’opinione dello storico Luciano Bellosi (a favore della paternità) il giovane Giotto si occupò di dipingere parte delle Storie di Isacco, e fu l’autore del progetto unitario delle 28 scene sulla vita di San Francesco. Riguardo queste ultime, se in parte furono affidate ai suoi aiuti, ci sono certi episodi di un livello artistico tale, da riflettere la sua mano. E poi, alla base di tutto c’è un’idea d’insieme che deve essere stata pensata da una sola persona: probabilmente Giotto.
Quello che è certo è la portata innovativa di questi affreschi, che interrompono la tradizione. Si parla di novità come l’affresco a giornate, o le scene in prospettiva intuitiva, incorniciate da marmi fittizi. Senza tralasciare l’umanità dei personaggi e la naturalezza degli sfondi. Tutti elementi propri dello stile di Giotto, che fanno propendere per il suo esserne stato l’autore.
Gli affreschi della Basilica Inferiore
Qualche anno dopo, tra il 1306 e il 1311, Giotto fece ritorno ad Assisi, per occuparsi di parte degli affreschi della Basilica Inferiore. Questi riguardano (secondo le opinioni prevalenti) le Storie dell’infanzia di Cristo, le Allegorie francescane, e parte della Cappella della Maddalena. Tutti realizzati con un evidente contributo di aiuti esterni.
Rispetto alle opere precedenti, si nota una pittura più densa, e morbida, con una grande preziosità cromatica, già sperimentata nella Cappella degli Scrovegni conclusa poco prima.
Gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni
La storia della Cappella degli Scrovegni
Nel 1300, il ricco banchiere padovano Enrico Scrovegni acquistò nella sua città natale il terreno vicino al suo palazzo. Il proposito esplicito era di costruirvi una cappella in omaggio a Santa Maria della Carità. Nella sua mente, però, ardeva la speranza di purificare il cattivo nome della sua famiglia, così da assicurarsi un posto in Paradiso, e un ruolo di prestigio in città. Gli Scrovegni erano una nota stirpe di banchieri: professione, a quei tempi, paragonabile al peccato di usura.
La commissione degli affreschi
Qualche anno dopo, nel 1303, Enrico Scrovegni incaricò i due più celebri artisti viventi per decorare la Cappella: Giotto per gli affreschi, e Giovanni Pisano per tre sculture da collocare sull’altare. I lavori impegnarono il pittore per circa due anni, ma la consacrazione della chiesa avvenne già nel 1304, a opera inconclusa.
Gli affreschi di Giotto
Il grande restauro del 2001 ha restituito gran parte della bellezza originaria degli affreschi. Questi si estendono lungo tutte le pareti dell’unica navata della Cappella, suddivisi in tre registri sovrapposti. Una cornice di finto marmo a effetto trompe l’œil separa le scene tra loro.
Le caratteristiche
Le scene sono rappresentate come scatole prospettiche, a prospettiva intuitiva. Il chiaroscuro contribuisce alla resa realistica dei soggetti; la luce atmosferica che entra dalle finestre si integra con la costruzione degli affreschi.
In evoluzione rispetto alla Basilica Superiore di Assisi, l’umanità dei personaggi è incredibile: i gesti sono quotidiani, le espressioni spontanee, e tutte diverse tra loro. Il colore, lontano dall’essere solo decorativo, cattura l’attenzione, con sfumature cangianti e indefinite.
Il progetto iconografico
La narrazione principale delle pareti è suddivisa in tre registri. Partendo dal basso, uno zoccolo di finto marmo è interrotto da 7 nicchie per lato: da una parte le allegorie dei vizi, e dall’altra le virtù. Tutti sono raffigurati a monocromo: uno stile che piacerà molto ai pittori fiamminghi.
In alto, l’andamento di lettura elicoidale comincia a destra, con le sei Storie di Gioacchino e Anna, per proseguire con gli episodi relativi alla figlia Maria.
Il registro intermedio, da leggere dall’arco trionfale al centro, racconta le Storie di Cristo: dall’Annunciazione, fino agli ultimi fatti legati alla sua esistenza terrena. Il più celebre è il Compianto sul Cristo morto: un capolavoro in cui le espressioni dei personaggi e i chiaroscuri restituiscono una scena commovente di grande umanità.
Il Giudizio Universale
La controfacciata della Cappella è occupata dal Giudizio Universale: il momento in cui Cristo Giudice discrimina tra coloro che saranno salvati, e i restanti destinati all’Inferno. La scena aveva la funzione di suscitare il timore dei fedeli, e ammonirli affinché mantenessero una condotta virtuosa. L’intento è amplificato dall’uso (tipico medievale) della gerarchizzazione delle figure. Cristo è rappresentato con dimensioni molto più grandi degli altri personaggi, sottolineandone l’imponenza.
Le pene infernali, dipinte in modo crudo ed esplicito, rispondono all’idea programmatica degli affreschi di fare da Biblia Pauperum: istruire il popolo illetterato, cosicché seguisse la retta via. Un ultimo dettaglio importante è il ritratto di Enrico Scrovegni, posizionato in basso, con il modellino della Cappella in mano, offerta in dono a Cristo. Facendosi rappresentare nel mezzo degli uomini salvati, sperava di conquistarsi davvero un posto in Paradiso.
Emma Sedini
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