Vita di Caravaggio. Un pittore tra luci e ombre

Malgrado Caravaggio non abbia bisogno di presentazioni, ci sono tante curiosità biografiche e tecniche ben poco note. Ecco tutte le informazioni più aggiornate, con la nostra guida alle opere da non perdere

La figura di Michelangelo Merisi – altresì noto come Caravaggio – è ancora oggi a metà tra luce e ombra. Non diversamente dalle sue opere: capolavori di realismo inarrivabile, caratterizzati da un uso della luce cinematografico. Come diceva Roberto Longhi (storico dell’arte tra i maggiori esperti sull’argomento), pare che Caravaggio abbia inventato il cinematografo con la sua pittura. 
Dopo secoli di discredito ed oblio, nel Novecento è stato protagonista di una vera e propria riscoperta: studi su studi, oggi, si affannano a chiarirne sempre più i tanti aspetti biografici e pittorici ancora in ombra. Se, infatti, le moderne tecniche radiografiche hanno permesso di capire le sue tecniche principali, c’è ancora altrettanto materiale incompreso. Luce, sì, ma anche tanta ombra e curiosità da soddisfare. Qui trovate un sunto di tutte le informazioni più aggiornate e interessanti su di lui.

Notizie biografiche di Caravaggio

La formazione di Caravaggio tra Milano e “sentieri” di Lombardia

Michelangelo Merisi (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610) nasce a Milano, da una famiglia alto-borghese, originaria di Caravaggio: paese in provincia di Bergamo in cui passa la sua giovinezza, e da cui prenderà poi il soprannome. Il padre, Fermo Merisi, è un ricco marchese, incaricato dell’amministrazione delle terre degli Sforza-Colonna, casato nobiliare molto potente allora, da cui il pittore riceverà più volte aiuto e protezione.
Intrapresa la via artistica, Caravaggio viene messo a bottega a Milano per quattro anni, presso Simone Peterzano – “alunno di Tiziano”, e dunque quotato maestro – che lo avvia al mestiere della pittura. È in questo contesto che ha modo di assorbire i tratti leonardeschi della rappresentazione del moto dell’animo, del chiaroscuro, e della prospettiva aerea con cui rendere i paesaggi di fondo. Non solo: Milano è anche occasione per entrare in contatto con il fanatismo religioso del Cardinale Borromeo, all’indomani della Peste di San Carlo appena trascorsa. 
Tuttavia – come sostiene il grande studioso Roberto Longhi – la vera formazione di Caravaggio avviene per i “sentieri di Lombardia”. Ossia risalendo le strade appena fuori città, che conducono ai paesi di provincia, quali Bergamo, Brescia e dintorni. Fino ad arrivare alla Val di Blenio. Ecco che il suo patrimonio iconografico si arricchisce osservando le opere dei maggiori pittori attivi in queste zone: Lorenzo LottoMorettoMoroniSavoldoRomanino. Tutti questi – in modo più o meno evidente – riemergeranno nel corso di tutta la sua futura produzione. Ciò che più apprende da loro è la riproduzione del vero: della naturalezza della realtà.

L’arrivo a Roma di Caravaggio e il primo periodo di difficoltà

Un vuoto documentario impedisce di ricostruire gli accadimenti tra il 1592 e il 1596. L’unica fonte suggerisce che, dalla Quaresima di quest’ultimo, Caravaggio si trovi a Roma, fuggito da Milano forse per aver commesso qualche guaio. Giunto nella Capitale, passa il primo periodo in povertà; ammalatosi, trova ricovero allo Spedale della Consolazione. Il Bacchino malato – suo possibile autoritratto – cattura questo momento di indigenza. Le prime opere, fanciulli con piccole nature morte, ricordano l’interesse per la realtà visto nei pittori lombardi. 
La situazione migliora quando viene preso a lavorare nella bottega del Cavalier d’Arpino: uno dei più importanti maestri della città, da cui viene incaricato di realizzare soggetti di scarsa rilevanza. Nature morte, grottesche, e dettagli di fondo. È qui che conosce Mario Minniti – un altro giovane artista – con cui va ad alloggiare qualche tempo dopo, lasciando il Cavaliere. 
Comincia per Caravaggio un nuovo periodo di povertà, che trascorre tra la vita di strada e le osterie. Con le sue opere – ritratti di “bari”, garzoni e “portatrici di buona ventura” – si fa cronista dei bassi fondi della società romana del tempo, raffigurata però con uno stile finora riservato alla grande pittura di storia. 

Il Cardinal Del Monte e la Cappella Contarelli

Grazie forse a un commerciante di strada, Caravaggio entra nelle grazie del potentissimo Cardinal del Monte, che lo accoglie nel suo palazzo. È l’occasione per venire a contatto con gli intellettuali e la cultura dell’epoca, tra cui Galileo Galilei. Ispirato dagli oggetti che osserva nelle ricche collezioni del Cardinale, comincia ad arricchire le opere di strumenti musicali e partiture realmente riconoscibili.
Di questo periodo è l’unico suo affresco documentato: la decorazione del soffitto della distilleria del suo mecenate, dipinto con un’efficace prospettiva da sotto insù.
Ed è sempre il Del Monte a fare da tramite per assicurare a Caravaggio la sua prima commissione pubblica. Nel 1599, ottiene l’incarico di dipingere le prime due tele – a cui si aggiunge la pala d’altare richiesta nel 1602 – per la Cappella Contarelli, nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi. Si tratta del ciclo di san Matteo (la Vocazione, il Martirio, e poi successivamente San Matteo e l’Angelo) ancora oggi ammirabile in loco, che gli assicura il successo tra gli aristocratici della città, ponendo le basi per ulteriori richieste prestigiose.

Il periodo dei successi

Il magistrale uso della luce radente che fa da protagonista delle scene è tra i motivi del crescente apprezzamentodi cui inizia a godere Caravaggio. La sua tecnica e il suo realismo rivoluzionario prevalgono sulle critiche per certi aspetti “scandalosi”, tra cui la scelta di ritrarre prostitute e garzoni di osteria nei panni di santi e figure evangeliche. 
La stima di cui gode a inizio Seicento trascina con sé nuovi importanti lavori, quali le due tele per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, o la Madonna dei Pellegrini per Sant’Agostino. 
Accanto ai successi, la vita sregolata dell’artista gli causa vari scontri con la giustizia, costringendolo ad allontanarsi per un per qualche tempo da Roma, e a rifugiarsi a Genova, presso i Doria (legati alla famiglia Sforza-Colonna).

Il ritorno a Roma, l’omicidio e la fuga

Di ritorno nella Capitale, Caravaggio naviga in pessime acque: tutto il denaro guadagnato in precedenza è terminato, disperso tra giochi d’azzardo e osterie. Si ritrova costretto ad accettare ogni tipo di commissione, anche per pochi soldi, pur di racimolare qualcosa. 
Poi, nel 1606, un evento sconvolge per sempre la sua vita; l’angoscia e l’inquietudine percepibile nelle sue opere successive esprime il tormento interiore che lo accompagnerà fino alla fine. Una sera, appena fuori da un locale, Caravaggio uccide Ranuccio Tomassoni, nel corso di una rissa scoppiata forse per i debiti accumulati nei suoi confronti. Per questo delitto (Tomassoni era importante capo delle guardie del Papa) viene condannato a morte. Fugge dunque dalla città, e trova rifugio a Napoli, presso gli Sforza-Colonna, che ancora una volta gli offrono protezione.

Malta, Napoli, e il viaggio di non ritorno

Sperando di ottenere l’invulnerabilità, chiede di entrare a far parte dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. I suoi meriti artistici gli valgono l’ammissione, senza necessità di ulteriori prove di valore. Sembra dunque essersi aperta una luce per Caravaggio… ma è uno spiraglio di breve durata. Per motivi oscuri viene arrestato dai Cavalieri stessi; riuscito miracolosamente a fuggire, ritorna a Napoli dai suoi protettori. 
I dipinti di questo secondo periodo napoletano sono caratterizzati da maggiore essenzialità rispetto al passato, e da colori molto più cupi, che suggeriscono il peso emotivo della condanna a morte che continua a pendere sulla testa dell’artista.
Qualche tempo dopo, la fitta rete di potenti personaggi di cui si era guadagnato il favore negli anni sembra riuscire ad assicurargli la salvezza. Le loro richieste di grazia hanno effetto: nel 1610, Papa Paolo V lo condona dalla pena: Caravaggio può fare ritorno a Roma.
La storia, però, non ha un lieto fine. Durante il viaggio di ritorno – misteriosamente allungato con una tappa in Toscana, a Porto Ercole – il pittore muore, colpito da un’altrettanto inspiegabile influenza. È la fine di un mito, vissuto neppure quarant’anni, ma che ha segnato per sempre la storia dell’arte moderna.

La fortuna critica di Caravaggio

Poco dopo la sua morte, la figura di Caravaggio entra nell’ombra – al pari dei fondi scuri delle sue tele – e lì rimane per anni. Sminuito (per non dire screditato) come un pittore semplificatoremediocre, incapace di mettere in pratica le buone regole che il Manierismo richiedeva. In più, si fissa nella memoria comune come un pazzo scellerato, violento e assassino… da dimenticare. La causa di questa cattiva nomea sono i suoi primi biografi: tutti artisti suoi rivali o letterati che parteggiano per altri stili; dunque, tutte voci di parte che ne accentuano i tratti negativi, dimenticando il resto.
Tale visione distorta prosegue fino a inizio Novecento, quando arriva lo storico dell’arte (allora giovane studioso) Roberto Longhi. A lui si deve la prima riscoperta di Caravaggio, che consentirà di ristabilire la fama che si merita.
Dopo Longhi, varia altri studiosi si sono avvicendati nell’approfondimento della storia e delle opere del pittore – Rossella Vodret e Giovanni Agosti sono due dei nomi più rilevanti – molto, però, c’è ancora da scoprire. Di tanto in tanto, qualche nuovo dettaglio si aggiunge, qualche nuovo dipinto gli viene attribuito. È dunque una ricerca aperta, che non cessa di incuriosire studiosi e appassionati.

Stile e poetica di Caravaggio

Rivoluzionario per la sua epoca, Caravaggio stravolge gran parte delle regole e delle pratiche proprie della tradizione artistica, lasciando un segno profondo. Ecco i punti principali che riassumono il suo stile e il suo modo di dipingere.

Nature more e gente di strada come modelli dal vero

Soprattutto nel primo periodo, non potendosi permettere modelli costosi, Caravaggio ritrae soggetti facilmente disponibili. Oggetti e nature morte sono posti al pari livello delle figure umane, sovvertendo le gerarchie tradizionali dei generi. La “pittura di storia” viene utilizzata per immortalare la quotidianità più umile e cruda, che spesso vede protagonista gente presa direttamente dalla strada. Tanti i garzoni, i poveracci, ritratti nelle vesti di santi e personaggi biblici. Frequenti anche le prostitute, tra cui Fillide e Lena, identificate nei volti delle Vergini e di altre eroine sacre. 
Tutti questi modelli sono rigorosamente ritratti dal vero, in poche ed estremamente rapide sedute.

L’abolizione del disegno e le incisioni sulla tela

Il processo produttivo non comprende alcun tipo di disegno preparatorio. L’artista approccia la tela d’impulso; si avvale piuttosto di incisioni – fatte forse con il manico del pennello – che servono a definire gli ingombri delle figure. Non capita di rado che, se la costruzione scenica non lo soddisfa, ricopra tutto di scuro, e rielabori completamente i soggetti. Le tre versioni del Martirio di san Matteo ne sono testimonianza tangibile.  

La luce cinematografica e le ombre

Contravvenendo alla classica luce diffusa, Caravaggio utilizza raggi netti, che squarciano le tenebre e illuminano solo i protagonisti. Il resto rimane in ombra, avvolto da una tenebra data dalla preparazione scura di cui è ricoperto il fondo della tela. L’artista, infatti, per velocizzare il processo produttivo, lascia ampi spazi senza pittura, sfruttando proprio questa preparazione di base già colorata di per sé. 

Realismo crudo e climax degli eventi

Caravaggio non idealizza nulla: rappresenta la realtà per quello che è, anche nei suoi aspetti più crudi e violenti. Quando si tratta di ritrarre un accadimento, ne sceglie sempre il fotogramma principale, che immortala l’attimo clou della scena. In luogo della consueta Giuditta con la testa di Oloferne già tagliata, la dipinge nel pieno della decapitazione.

Caravaggio nelle chiese di Roma

Se molte delle opere di Caravaggio sono oggi disperse per i musei di tutto il mondo, le chiese romane conservano ancora qualche tesoro dal valore artistico inestimabile. Si tratta dei dipinti realizzati per la Cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, di quelli per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, e della pala d’altare commissionata da Ermete Cavalletti per la cappella di famiglia nella Chiesa di Sant’Agostino. 
Allontanare queste opere dal loro contesto originale significherebbe perdere almeno metà del loro significato. Ciascuna è infatti stata pensata appositamente per il contesto in cui è inserita. I soggetti dialogano con gli affreschi e le architetture che li circondano; la luce dipinta sembra davvero provenire dalle finestre delle rispettive chiese. 
Per chi è di passaggio a Roma, nei pressi di Piazza Navona e Piazza del Popolo, queste tre tappe sono d’obbligo.

1 / 7

1 – La vocazione di san Matteo in San Luigi dei Francesi

2 / 7

2 – Il martirio di san Matteo in San Luigi dei Francesi

3 / 7

3 – San Matteo e l’Angelo in San Luigi dei Francesi

4 / 7

4 – la Madonna dei Pellegrini in Sant’Agostino

5 / 7

5 – La Conversione di san Paolo in Santa Maria del Popolo

6 / 7

6 – La Crocifissione di san Pietro in Santa Maria del Popolo

7 / 7

La prima delle tre opere realizzate per la Cappella Contarelli rappresenta l’episodio della vocazione: è il momento in cui Cristo fa visita a Matteo – allora esattore delle tasse – e lo chiama a seguirlo insieme agli altri apostoli. Caravaggio, come è solito fare, sceglie di rappresentare la climax dell’evento. Cristo irrompe nell’osteria al cui tavolo Matteo è intento a contare le monete. Tende la mano verso di lui, con un gesto che ricorda moltissimo la Creazione di Adamo di Michelangelo. Tuttavia, la vera protagonista è la luce: è lei – con il suo fascio proveniente dall’alto dell’angolo di destra – a chiamare il nuovo apostolo, illuminandolo di grazia divina.
Accanto a Gesù c’è Pietro, la cui funzione simbolica di rappresentante della Chiesa romana suggerisce come anch’essa sia fondamentale per fare da mediatrice e convertire i peccatori.
L’opera, realizzata nel 1599, presenta notevoli affinità con i Bari. I personaggi d’osteria sono molto simili, e testimoniano come Caravaggio tenda a rappresentare gli eventi sacri collocandoli nel proprio tempo.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Vocazione di San Matteo, 1599-1610. Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma
Michelangelo Merisi da Caravaggio, La vocazione di San Matteo, 1599-1600

Il ciclo dedicato a san Matteo continua con la scena del martirio. Secondo la narrazione sacra, il fatto avvenne in Etiopia: il santo fu assassinato in una chiesa, al termine della messa. L’interpretazione di Caravaggio è ancora una volta vicina alla sua contemporaneità. Come commenta Roberto Longhi, pare che la scena sia trasformata in un “fattaccio di strada” – uno dei tanti omicidi che avvenivano di continuo nella Roma dell’epoca – avvicinando dunque il santo all’umana natura dei credenti.
La costruzione della scena è complessa e segue una struttura concentrica, che ruota attorno al fatto principale. Le radiografie dell’opera hanno rivelato che – prima di arrivare alla versione definitiva – Caravaggio ne dipinge altre due, ricoprendo ogni volta il risultato non soddisfacente. In quest’ultima, le figure sono più grandi e imponenti, la folla è agitata, e c’è persino un suo autoritratto in lontananza, tra le persone a sinistra.

Caravaggio Martirio di Sant'Orsola, Gallerie d'Italia Napoli
Caravaggio Martirio di Sant’Orsola, Gallerie d’Italia Napoli

Terza e ultima opera in ordine cronologico della serie è il San Matteo e l’Angelo. Si tratta della seconda versione della pala d’altare, la cui storia è ancora oggi molto oscura. Non è infatti chiaro quando e come mai Caravaggio ne realizzi due esemplari… probabilmente il primo non è gradito ai committenti. Ad aggiungere ulteriori incertezze è il fatto che, purtroppo, quest’ultimo (che era conservato a Berlino) è andato distrutto con i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale. Dalle immagini dell’epoca, emerge un dipinto in cui il Santo era raffigurato come un analfabeta dall’aria bonaria, che necessitava di essere “istruito” dall’Angelo su cosa scrivere nel Vangelo.
La versione attuale sarebbe dunque un progresso in termini sia di serietà e decoro nell’effigiare Matteo, sia per quel che riguarda lo stile. Gli effetti luministici e la posa dei protagonisti – con lo sgabello che pare fuoriuscire dalla tela – testimoniano l’ingresso in una nuova fase pittorica più matura di Caravaggio.

Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1602, San Luigi dei Francesi, Roma
Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1602, San Luigi dei Francesi, Roma

Poco distante dalla Chiesa dei Francesi, sorge la Chiesa di Sant’Agostino, ove troviamo la Madonna dei Pellegrini. Commissionata da Ermete Cavalletti – nella cui cappella fa oggi da pala d’altare – l’opera è completata intorno al 1604.
Pur trattando di una tematica molto diffusa all’epoca, la affronta in modo inaspettato e originale. La Madonna di Loreto – normalmente rappresentata seduta sul tetto della sua Santa Casa volante – è resa da Caravaggio in un modo estremamente terreno e vicino alla realtà umana. Maria, con in braccio il Bambino (un po’ troppo grosso per l’età che dimostra), è in piedi sull’uscio di una casa decadente. Secondo le testimonianze, è la prostituta Lena ad aver fatto come modella per la sua figura elegante e dai bei lineamenti.
Ciò che più colpisce, però, è il realismo – quasi volgare – dei due pellegrini inginocchiati in primo piano. L’uomo rivolge i piedi nudi e sporchi verso il pubblico (probabile elemento di critica dei contemporanei) e la donna mette in mostra una cuffietta altrettanto consunta. Se da un lato i due fedeli risultano scandalosi, dall’altro rappresentano il vero spirito del pellegrinaggio a Loreto, vissuto intensamente, come doveva essere per i credenti di allora.

Caravaggio, La Madonna dei Pellegrini, 1604 06. Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio, Roma
Caravaggio, La Madonna dei Pellegrini, 1604 06. Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, Roma

Affacciata sull’omonima Piazza romana, la Basilica di Santa Maria del Popolo è la terza tappa caravaggesca da non mancare in città. Nella cappella di famiglia di Tiberio Cerasi, ci sono due capolavori imperdibili, di cui il primo è la Conversione di san Paolo. Anche qui, siamo davanti alla seconda versione dell’opera: un’enorme tela, in cui spicca un cavallo bianco che sovrasta il santo caduto a terra. Il raggio di luce – proveniente molto probabilmente da una lanterna – rimbalza sul suo manto candido, rendendolo quasi il vero protagonista della scena. Non a caso, Roberto Longhi definì l’opera non tanto una conversione di san Paolo, quanto piuttosto la “conversione del cavallo”.

Caravaggio, Conversione di san Paolo, 1600, Basilica di Santa Maria del Popolo, Roma. photo via Wikipedia
Caravaggio, Conversione di san Paolo, 1600, Basilica di Santa Maria del Popolo, Roma. photo via Wikipedia

La seconda opera commissionata a Caravaggio per accostarsi ai lati dell’Assunta – pala d’altare della Cappella Cerasi, richiesta invece ad Annibale Carracci – è la Crocifissione di san Pietro. Si tratta sempre di una seconda versione definitiva (la prima è dispersa, e ne abbiamo solo una copia) in cui colpiscono i pochi soggetti rappresentati. La resa a grandezza naturale contribuisce a coinvolgere l’osservatore nella scena. Quattro personaggi – Pietro e i suoi tre aguzzini  – e un’unica tenebra di fondo. Il santo pare disorientato e sofferente per la posizione innaturale in cui lo stanno mettendo (secondo le Scritture viene crocifisso a testa in giù). I carnefici, invece, sembrano falegnami, non troppo pratici del terribile incarico che hanno ricevuto. Il risultato che ne si ha è quello di una normale condanna a morte popolare. Una di quelle frequenti nella Roma dell’epoca. Ancora una volta, Caravaggio dimostra di essere in grado di ridurre le distanze tra divino e umano, trasferendo gli eventi nella nostra quotidianità.

Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, 1600 01. Santa Maria del Popolo, Roma
Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, 1600 01. Santa Maria del Popolo, Roma
1 / 7

1 – La vocazione di san Matteo in San Luigi dei Francesi

2 / 7

2 – Il martirio di san Matteo in San Luigi dei Francesi

3 / 7

3 – San Matteo e l’Angelo in San Luigi dei Francesi

4 / 7

4 – la Madonna dei Pellegrini in Sant’Agostino

5 / 7

5 – La Conversione di san Paolo in Santa Maria del Popolo

6 / 7

6 – La Crocifissione di san Pietro in Santa Maria del Popolo

7 / 7