Case di collezionisti. La nuova frontiera è a Bolzano
Uno scrigno scavato con energia e rispetto all’interno della montagna. Siamo in una vallata dell'Alto Adige, dove sta prendendo vita la casa-museo di Antonio dalle Nogare. Uno scrigno, sì, ma con una vocazione pubblica. Non prima però della prossima primavera. Artribune è andato a visitarlo in anteprima.
È un vascello nel ventre della montagna, ma lo scopri solo quando sei all’interno della sua carena. Antonio dalle Nogare ha infatti scelto di condividere con l’esterno la propria passione per l’arte, racchiudendola in un nuovo edificio che è uno scrigno abbracciato dalla natura. Eppure, se l’edificio nascosto tra le pieghe dei monti attorno a Bolzano che ci ha mostrato in anteprima (“lo inaugurerò la prossima primavera”) cela spazi inaspettati, le idee del suo proprietario sono ben chiare: costruire una “casa del collezionista”.
Non è partito da nessun progetto di istituire una fondazione, né un museo privato (come quelli di Reinhold Messner in tutto il Tirolo del sud), ma solo dalla personale volontà di “vivere in mezzo alle opere d’arte”. È questa la finalità che ha espresso fin dall’inizio agli architetti Walter Angonese e Andrea Marastoni: “L’idea di costruire una nuova casa è partita quattro anni fa e tre anni ci sono voluti per la sua realizzazione. Il declivio segnato dal rivo che scende dalla montagna è stato scavato, poi con la roccia rimossa e sgretolata – il porfido tipico di questa parte delle Alpi – abbiamo creato il calcestruzzo con cui è stato costruito l’edificio, con l’intenzione di restituire alla montagna quanto è stato tolto”. In questo processo di rimozione e rimodellazione, gli architetti si sono ispirati anche all’orecchio di Dioniso di Siracusa, ma, non vedendo alcuna apertura ogivale, inizialmente il riferimento risulta sibillino.
Entrando, però, dimensioni e forme diventano subito chiare. Al pianterreno la sala è indubbiamente museale. Il soffitto si apre verso il livello superiore, l’illuminazione naturale viene da un’apertura in alto, la pulizia dei dettagli è estrema, il pavimento è in listoni stretti di legno chiaro, umidità e temperatura sono controllati: “Ho girato molti musei per non fare nessun errore nella realizzazione delle sale. Dalla Tate alle kunsthaus e alle piccole kunsthalle di Svizzera e Austria”. Già basterebbe questo spazio, ma in realtà lo spettacolo deve ancora cominciare. Sbirciamo veloci in una black box per i video e saliamo diretti verso la pancia della casa.
Quella che si dischiude è un’incredibile parete a volta. “È un tronco di cono irregolare” e racchiude un alto spazio su due livelli, le cui dimensioni sono del tutto inaspettate, visto che esternamente la parete restituisce la forma originale alla montagna e si mimetizza sotto un morbido mantello delle stesse felci del sottobosco di questa valletta selvatica incastonata tra gli ordinatissimi vigneti. “Durante la costruzione, la parete era retta da un sistema di puntelli come la carena di una nave. Ma godetevi ora questo spazio, perché ho chiesto a Stephen G. Rhodes di realizzare qui un’installazione, e so già dirvi che stravolgerà tutto in maniera selvaggia, con buio, moquette…”, avverte divertito.
Del resto, Antonio confessa di aver costruito la sua collezione con molta istintività – “Già mio padre era collezionista e per me e mio fratello Josef diventarlo è stato naturale” – e all’insegna della spontaneità sono state anche le serate con gli artisti che ha organizzato negli ultimi due anni a Bolzano, con il discorso di presentazione fatto da un curatore secondo l’usanza mitteleuropea imprescindibile a Bolzano, ma anche con musica e festa fino a notte fonda. “Voglio vivere nell’arte, ma voglio anche condividere questa mia passione”, confessa, e dice di aver visitato e preso ispirazione non solo dagli spazi pubblici, ma anche da altre collezioni private: il bunker Boros e la collezione Hoffmann a Berlino, ma anche l’italiana La Gaia di Busco. Alla Hoffmann, nel cuore di Mitte, puoi andare ogni sabato, a La Gaia invece arrivano anche le scolaresche: “Anch’io mostrerò la mia collezione! Basterà prendere appuntamento telefonico o tramite il sito e le opere esposte verranno mostrate e spiegate da una mediatrice che sta già seguendo la collezione”. Un ufficio e una biblioteca illuminati da una parete di vetro si affacciano infatti su un terrazzamento erboso, dove i picchetti rivelano la futura presenza di un padiglione di Dan Graham.
Per ora in questa stanza ci sono i plastici della casa… e, al loro interno, delle opere. Antonio, appena li vede, s’illumina e si piega su di loro, sistema la posizione delle opere e invita con insistenza a osservare dai diversi punti di vista la simulazione. Avrebbe potuto fare tutto al computer, ma per lui il rapporto con le opere è fisico, intimo: “Vedete questa installazione di Lucy Orta? Vorrei metterla qui, dove sale fino al piano successivo… Invece questo parallelepipedo – in realtà lungo oltre dieci metri – è un’opera degli anni ‘60 di James Turrel che ho già acquisito”. Sta pensando anche di mettere una serie di opere pittoriche: “Non ne ho molte, ma le immagino in senso rigorosamente cronologico, partendo da un Manzoni del ’58 e arrivando fino a oggi”. Alcune opere – come quella di Graham e di Rhodes – saranno invece pensate appositamente per lo spazio espositivo della sua casa, e il rapporto con ogni artista verrà documentato da interviste video già cominciate.
La Classe dell’Arte from Artribune Tv on Vimeo.
Durante queste settimanel la casa inizierà ad essere abitata. All’ultimo piano verrà a vivere Antonio con la sua famiglia, mentre negli spazi sottostanti gli artisti inizieranno a lavorare alle loro opere: “Era questo quello che ho sempre voluto! Anche se nemmeno gli stessi architetti credevano che avrei realmente realizzato la mia idea… fino a quando non mi hanno visto bucare la roccia”.
Mariella Rossi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #2
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