Giorgio Fasol: la collezione come forma simbolica
Una conversazione a tutto campo con uno dei più noti collezionisti italiani: il veronese Giorgio Fasol. Per capire cosa spinge, oggi, verso l’acquisizione di opere d’arte e per ripensare il ruolo del collezionista. Ecco la storia di Fasol, da quando, giovanissimo, voleva comprare un Morandi, a quando si è imbarcato nell’avventura del bizzarro acquisto – tutto immateriale – di un’opera di Tino Sehgal. Aspettando ArtVerona.
Cacciatore di sogni, di segni che affondano lo sguardo “dentro il mondo della materia” (Walter Benjamin). Fine conoscitore dell’arte contemporanea. Persona affabile, generosa, gentile e curiosa. Giorgio Fasol (Verona, 1938) è una delle figure più significative e preziose della cultura artistica attuale. Collezionista attento e luminoso, il suo sguardo punta verso le giovani generazioni, verso il nuovo che avanza senza sosta, per costruire un discorso sul presente e sulle presenze. Ma anche per innescare un processo colloquiale con il sistema dell’arte – un pentagono regolare composto da artista, critico, istituzione, gallerista e collezionista – che è, per lui, un ambiente reale, un territorio da attraversare e vivere, in tutte le sue varie declinazioni etiche, per dar luogo ad azioni, condivisioni, discorsi costruttivi.
Figlia di una passione irrefrenabile, la collezione è, per Giorgio Fasol, una forma simbolica, uno spazio teorico (intellettuale) attraverso il quale fabbricare ponti, erigere dialoghi con le giovani generazioni, con un pulsante presente, con un’atmosfera vivace che celebra le correnti, gli orientamenti, le ultime tendenze dell’arte.
A lui abbiamo rivolto una serie di domande per tracciare l’avventura, il gusto, le osservazioni di un collezionista e mecenate su un clima che ha dimenticato e ridotto a ornamento il continente culturologico di oggi.
Vorrei partire dalla tua avventura, l’avventura del collezionista appunto, un viaggio che è anche una vocazione, una ricerca, una caccia suggerirebbe Benjamin, il Benjamin dell’Unordentlich Kind (Bambino disordinato). Avventura che nasce nel 1958. “Il giorno del mio diploma a 19 anni, con 365mila lire, volevo comprare un Morandi”. Ma non è andata esattamente così, vero?
Andai nell’unica galleria di Verona per comprare un Morandi pur non conoscendo nulla dell’artista; avevo visto su una rivista un servizio di una sua mostra, le opere mi interessavano. La gallerista mi disse: “La scelta è senz’altro buona, io non ce l’ho, ma lo posso procurare; sappi che il prezzo di un’opera di Morandi è di circa 1.500.000 lire”. Salutai e mestamente me ne andai.
La collezione, poco alla volta, diventa anche costruzione di qualcosa. Di un mondo che è il mondo del collezionista, ma anche uno spaccato culturale che rappresenta la vitalità e le trasformazioni del presente. Come nasce una collezione d’arte contemporanea?
La passione è la chiave di tutto, una molla che ti scatta dentro e ti porta sempre più lontano. Io colleziono fin da quando sono un bambino; prima le figurine dei calciatori, poi una rivista sportiva, Il Calcio Illustrato, poi i francobolli e poi ancora l’arte: riviste, ritagli di giornali, libri, edizioni limitate, opere. Cerco di affinare sempre di più la mia conoscenza. Oggi colleziono i giovani artisti, compro le opere esposte nelle loro prime mostre.
Cosa ruota attorno al lavoro di un collezionista?
Quando la passione si fa sempre più forte, il collezionare diventa un lavoro totalizzante, assorbe tutto il tempo libero e anche oltre; specialmente quando si tratta di arte contemporanea e in particolare di giovanissimi artisti.
Tu personalmente cosa cerchi in una mostra?
Se è una mostra storica, cerco l’opera migliore, se invece è una mostra di qualche giovane artista cerco la novità. Mi interessano anche tematica e allestimento.
Questo è un percorso che condividi con tua moglie Anna. I vostri gusti coincidono?
Molte volte coincidono ma non sempre; lei è molto più pacata nelle scelte, è molto attenta all’estetica e al linguaggio raffinato; io sono più istintivo ma anche più informato, il mio intuito mi agevola nelle scelte.
Linguaggi e sperimentazioni. Giovani artisti in una collezione contemporanea. È il titolo di una mostra curata da Giorgio Verzotti per gli spazi del Mart di Rovereto (maggio/agosto 2010) con pezzi della tua collezione. Ti andrebbe di raccontare come è andata?
Il merito della mostra va in primis all’allora direttrice del Mart, Gabriella Belli. Promuoverla è stato un vero e proprio atto di coraggio: ha scelto il curatore Giorgio Verzotti e ha dato all’evento grande visibilità. Erano novanta artisti dai venticinque ai trentacinque anni, venti dei quali sono stati assegnati alla collezione permanente del museo secondo la formula del prestito a lungo termine. L’inaugurazione è stata un successo, con la presenza di direttori di musei, di critici, di collezionisti e di pubblico: ancora adesso viene ricordata come una grande festa di amici amanti dell’arte.
Ludovico Pratesi ha scritto: “Perché una collezione sia davvero significativa occorre che le scelte del collezionista siano coerenti tra loro, legate dal filo rosso di un progetto preciso, ispirato dalla qualità di ogni singolo pezzo”. Concordi con questa affermazione o pensi che sia altrettanto importante seguire l’istinto, assecondare la propria preferenza, quella che tu stesso definisci essere “una scintilla d’amore”?
Io credo che una collezione sia importante soprattutto per la qualità delle opere e, a seconda delle intenzioni e attitudini del collezionista, per le motivazioni delle scelte. Da parte mia non mi pongo problemi di scelta, io acquisto solo quando scatta la scintilla, l’acquisto lo definisco un atto d’amore.
In un collezionista prevale sempre la passione o c’è anche l’investimento finanziario?
In me prevale la massima del più grande collezionista italiano, il conte Giuseppe Panza di Biumo: “Se tu ami l’arte è l’arte che ama te, se tu sfrutti l’arte è l’arte che sfrutta te”. Sono convinto che la passione sia il motore principale che ti fa impiegare tutto il tuo tempo, tutti i tuoi risparmi, facendoti percorrere chilometri e chilometri ogni anno. Se l’arte fosse solo un investimento finanziario consiglierei di investire in altri settori. Quando manca la passione, l’investimento nell’arte può diventare una croce.
L’entusiasmo di cercare giovani talenti dell’arte è, da tempo, al centro del tuo discorso selettivo. Da quale riflessione nasce questa caratteristica di lavorare sul presente e sulle presenze dell’arte?
Io ho sempre cercato le novità, il precedere i tempi e questa mia attitudine mi ha portato a collezionare i giovanissimi artisti. La mia può essere considerata una sfida, solo il tempo sarà giudice delle mie scelte.
Con gli anni sei riuscito a coinvolgere nella tua passione una serie di amici. Da questa sensibilizzazione plurale è nata un’avventura, l‘Agi Verona Collection. Ti andrebbe di raccontarci di cosa si tratta?
Alla fine degli Anni Ottanta sono stato invitato dalla Fiera di Bologna a partecipare a una mostra con altri quattro collezionisti. Dato che la direttrice, Silvia Evangelisti, aveva scelto delle opere della mia collezione e anche di quelle di mia moglie Anna – anche lei ha una sua piccola collezione, composta principalmente da opere su carte e disegni – abbiamo deciso di fondare un’associazione con le iniziali dei nostri nomi (Anna e Giorgio) e la denominazione AGI Verona Collection. L’associazione ha come oggetto sociale la promozione dell’arte contemporanea anche tramite il prestito delle opere per mostre museali internazionali. Nel 2000 altri due amici con poco tempo a disposizione da dedicare alla gestione della loro collezione hanno deciso di entrare a far parte di questa iniziativa. Ora insieme ci occupiamo anche di piccole sponsorizzazioni.
Esistono delle regole da seguire per evitare errori, per evitare di puntare sugli artisti sbagliati?
La regola principale è tenersi il più possibile aggiornati frequentando le gallerie, leggendo riviste, visitando mostre e fiere logicamente scegliendo le più importanti questo aiuta a non commettere errori grossolani, anche se errare humanum est.
Sei stato il primo collezionista italiano ad acquistare Tino Sehgal. Ti andrebbe di ricordare questa tua acquisizione?
Andai alla prima mostra che Tino Sehgal fece in Italia da Massimo Minini nel 2003, ne fui subito entusiasta, tanto che ordinai all’istante un’opera. Passarono circa tre mesi prima di ricevere conferma ufficiale. Tino accettò di entrare nella mia collezione solo dopo essersi informato sul tipo di collezione e sulla qualità della stessa.
Quando l’artista venne a Verona per presentarci il lavoro, istruì me e Anna per due ore su come avremmo dovuto metterlo in opera. Il tutto avvenne in presenza di un notaio, come espressamente richiesto dall’artista stesso.
E come si è svolta l’acquisizione?
Durante lo svolgimento della presentazione il notaio di tanto in tanto si azzardava a chiedere: “Quando potrò scrivere l’atto di acquisto?”. Non appena informato che non avrebbe scritto nulla (a Tino Sehgal, per ufficializzare la mia acquisizione, bastava infatti la semplice presenza del notaio) scoppiò in un’esternazione clamorosa: “Tutto questo è una presa in giro!”. Io lo ringraziai vivamente, perché quel suo gesto infatti mi tolse ogni dubbio: era davvero un’opera d’arte!
Fui costretto ad accettare le sue condizioni d’acquisto che previdero innanzitutto l’assenza di scritture tra le parti, tutto venne definito verbalmente: l’obbligo di preventivo assenso da parte dell’artista per eventuale vendita o esposizione dell’opera, l’ obbligo del pagamento di un euro all’ora alle persone addette alla comunicazione della notizia più eclatante del giorno, azione che costituisce l’opera stessa il cui titolo è: This is the news.
Il piano fiscale della nostra Penisola è davvero esclusivo. Quali sono le difficoltà che incontra un collezionista in Italia?
Il collezionista italiano è enormemente penalizzato rispetto ai colleghi esteri: l’aliquota IVA da noi è il 21%, in Francia e in Germania è del 7%; senza contare tutti gli altri benefici fiscali di cui noi a differenza di altri paesi, non godiamo.
Curiosità, passione e informazione. Sono questi gli ingredienti fondamentali per costruire una collezione vincente?
La più importante è decisamente la passione, ma la curiosità e l’informazione sono basilari per costruire una collezione.
Le fiere d’arte contemporanea sono luoghi di incontri veloci. Non pensi che ci sia il bisogno di ritornare al dialogo con l’artista?
Le fiere dovrebbero essere luoghi privilegiati di incontro tra galleristi, critici e collezionisti di altre nazioni, oggi sono spesso teatro di incontri troppo fugaci. Si sente la necessità di colloqui più approfonditi, specialmente con gli artisti e i critici. Io penso che il mondo dell’arte sia in una fase di radicale cambiamento, tutti dovranno ripensare a un nuovo equilibrio del sistema e a un nuovo rapporto fra le parti.
E le gallerie, che ruolo giocano in questo sistema culturale ed economico?
Io credo che le gallerie abbiano un ruolo fondamentale soprattutto nella selezione degli artisti; non saprei come fare senza di loro. In Italia ci sono oltre 50.000 persone che si dichiarano artisti e penso che solo 250 di loro abbiano la qualità per emergere. Se è vero che di questi 250 solo 5, forse, rimarranno nella storia dell’arte, a chi altri affidare se non alla galleria stessa in collaborazione con il critico la responsabilità e il compito di indirizzarci verso una scelta più oculata?
Vorrei toccare un nervo scoperto dell’arte, quello della pittura. E cioè di un linguaggio antico che non è sempre ben visto o apprezzato. Come riconoscere, secondo te, un pittore vero?
Riconoscere un vero pittore è un’impresa più che ardua, specie in questi ultimi decenni in cui a predominare sono soprattutto le installazioni, la videoarte, la fotografia, il digitale e i concettualismi di nuova generazione; l’elemento pittorico dell’opera d’arte oggi non deve sottrarsi al confronto con il linguaggio contemporaneo. Lo confesso, mi sto cimentando in una nuova impresa, una collezione di pittura, logicamente di giovani artisti. Il presuntuoso titolo di questa nuova collezione è Mi illumino d’immenso: e direi che esprime abbastanza chiaramente ciò che cerco nella pittura…
Viviamo in un Paese che istituzionalmente dimentica il ruolo della cultura. Al di là del ruolo del collezionista è importante evidenziare, del tuo percorso, il ruolo del mecenate. Ti riconosci in questa mia affermazione?
In Italia, purtroppo, abbiamo una carenza di istituzioni che si interessano di arte contemporanea e questo limita la conoscenza e la divulgazione della stessa. Il maggior sostenitore dell’arte contemporanea in Italia è il collezionista privato, che interviene sia tramite acquisizioni di opere d’arte che tramite il versamento di quote a sostegno delle associazioni degli Amici del Museo oppure finanziando la realizzazione di mostre e progetti di ricerca. Io mi considero un piccolissimo mecenate, date le mie scarse risorse finanziarie.
Antonello Tolve
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati