Quando il festival è social. Il punto su New Generations
Si è tenuta a Milano a fine novembre la prima edizione del New Generations Festival, con oltre quaranta studi di architettura under 36 con base in Italia, Spagna, Olanda, Grecia, Portogallo, Romania, Svezia e Turchia. Che hanno partecipato a workshop, conferenze, mostre, tavole rotonde. Un festival nato, vissuto e cresciuto sui social network, Facebook in primis, con cui ha in comune quei concetti di network e condivisione diventati oggi imprescindibili nel lavoro dei giovani studi. Ne abbiamo parlato con gli ideatori, Giampiero Venturini e Carlo Venegoni.
Com’è nata l’idea del festival?
Tutto è partito da una ricerca iniziata due anni fa: le videointerviste a giovani studi europei. Nel corso del primo anno abbiamo ricevuto i primi patrocini dall’ordine degli architetti di Roma e Milano. La nostra intenzione era di creare un grande workshop di discussione. Da qui l’idea è stata di gettare il cuore oltre l’ostacolo e di coinvolgere il numero più alto possibile di studi per avere un confronto sull’idea del lavorare in network.
Come avete selezionato gli studi?
Due anni fa ne abbiamo selezionati circa un centinaio attraverso amicizie in comune e dopo aver visto il loro lavoro sui social network, soprattutto Facebook. L’idea era guardare a quegli studi che non avevano una grande visibilità nei media tradizionali.
Cosa li accomuna?
Secondo noi è più importante capire cosa li dis-accomuna. Abbiamo provato a riunire gli studi dalle caratteristiche più diverse: il collettivo, lo studio singolo piuttosto che lo studio che lavora solo su un determinato tema. Abbiamo cercato di dare una visione più varia possibile di quello che sta succedendo nel mondo dei giovani studi.
Se doveste scegliere tre tematiche venute fuori al festival? Una molto ricorrente è stata “crisi”…
È difficile dirlo in tre parole. La crisi secondo noi non è proprio un tema. Parliamo sempre di network e collaborazione, parole molto utilizzate per cui ci criticano spesso. Quello di cui ci sentiamo fieri è di aver creato le condizioni per fare network, metterlo in pratica e portare a Milano molte persone. In tutte le attività facciamo confrontare persone completamente diverse tra loro. Il tutto è avvenuto in un unico spazio [La Fabbrica del Vapore, N.d.R.] dove diverse attività si sono susseguite e in cui ognuno ha partecipato liberamente, come un laboratorio.
Pensate a una seconda edizione?
Assolutamente sì. La continuità ci viene assicurata dalle persone che stanno credendo al progetto e alla piattaforma in Europa. Ad esempio in Romania una nostra collega a gennaio comincerà il progetto delle videointerviste a una serie di giovani studi locali promettenti. E poi continueremo in Portogallo, in Belgio, c’è quindi un capitale potenziale. Il progetto è europeo e pensando alla seconda edizione del festival questa potrebbe essere a Milano, come a Roma o Barcellona, o magari Bucarest.
Zaira Magliozzi
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