Sopra e sotto la terra: Mark Dion e Amy Yoes a Siena
Mark Dion e Amy Yoes sono stati invitati in Toscana dal Siena Art Institute per condurre una ricerca sul patrimonio scientifico e culturale cittadino. Insieme a loro, ci sono dodici giovani provenienti dalle accademie di tutto il mondo. Abbiamo intervistato i due artisti per farci raccontare come è andata.
Above/Below Ground: indagare e relazionare gli elementi che si trovano sopra e sotto ogni livello. Uno stimolo che vale tanto per le condizioni materiali, essendo la nostra altezza fase provvisoria di una continua stratificazione terrena, quanto per le condizioni culturali, poiché tutto ciò che si trova in superficie, e che in ragione di ciò viene considerato normale o convenzionale, riserva nella sua costituzione complessità e contraddizioni.
Il progetto del Siena Art Institute, in partnership con la Fondazione Musei Senesi e il Castello di Ama e in collaborazione con i musei del SIMUS – Sistema Museale Universitario Senese e con il Museo di Storia Naturale dell’Accademia dei Fisiocritici, ha previsto un periodo di residenza di alcuni mesi per gli artisti Mark Dion (1961, New Bedford, Massachusetts; vive tra New York e Beach Lake) e Amy Yoes (1959, cresciuta a Houston, Texas; vive a New York), con l’obiettivo di un loro specifico intervento sul territorio. Insieme a dodici giovani provenienti da accademie internazionali – Gran Bretagna, Stati Uniti e Italia – i due artisti statunitensi hanno operato una ricerca estetica sul patrimonio scientifico e culturale cittadino.
Tale impostazione si accorda appieno alla specificità di Dion e Yoes, poiché se il primo in genere interviene con installazioni di natura catalogatrice e tassonomica, unendo a repertori etnografici, biologici e archeologici oggetti dell’uso quotidiano, la seconda tende a modificazioni, quasi delle decostruzioni, dei contesti spaziali. Punto di contatto tra loro, per questa occasione, nonché leitmotiv dell’intero progetto, il ricorso al disegno come strumento iniziale.
Quanto realizzato finora ha condotto a un evento espositivo con i primi risultati (fino al 14 febbraio, proprio al Museo dell’Accademia dei Fisiocritici) e a una giornata di dibattito sul tema della “expedition”, intesa come pulsione umana all’esplorazione dell’ignoto; si tratta di una fase iniziale che potrà trovare nel prossimo periodo ulteriori sviluppi.
Abbiamo parlato di Above/Below Ground, in una doppia intervista, con i due protagonisti.
“The job of the artist is to go against the grain of dominant culture, to challenge perception and convention”: in riferimento alla tua ricerca mi pare di capire che proprio da quell’ordine che ha apparenza naturale e pacifica – si tratti di una tassonomia scientifica o di una collezione museale – noi possiamo risalire a intenzioni politiche. L’artista troverebbe qui un suo spazio di azione. Puoi farmi qualche esempio?
Mark Dion: Non sono sicuro che ci sia un ordine che ha apparenza naturale e pacifica. Ordinare il mondo naturale è un processo violento e invadente in cui le piante vengono prese e gli animali uccisi. C’è una violenza intensa e sofisticata nella ricerca della conoscenza, e una buona parte del mio lavoro su queste questioni evidenzia quella violenza.
L’arte non è il regno di precise intenzioni politiche. E quindi mentre credo che l’arte raggiunga la sua massima espressione quando critica – quando ha qualcosa da dire – credo anche che esistano diversi modi di essere critici. Una delle questioni in cui sono più impegnato è capire come la scienza sia una sfera di esperienza non immune dall’ideologia. Quando l’ideologia invade il processo scientifico di indagine – quando la scienza viene motivata dalla politica -allora diventa materiale ricco e tragico per le indagini artistiche.
Nelle tue opere c’è un riferimento costante alla scultura, all’architettura e al design, quasi un tentativo di liberazione dalle convenzioni formali attraverso una ricombinazione degli elementi fondamentali (linee, superfici). In che modo questo processo può essere messo in relazione a una città antica come Siena?
Amy Yoes: Siena è uno spazio ricco e denso. L’arte che si è sviluppata qui rappresenta il risultato di una storia accumulata e di un ambiente specifico. Ciò che è interessante è che il rapporto con il passato resti vivo nella cultura attuale, come evidenziato dalle iconografie e dalle tradizioni delle contrade. Esiste un continuum, ma è sempre in evoluzione per soddisfare le esigenze del presente.
Per quanto riguarda il tuo rapporto con la città, Mark?
MD: L’idea per il progetto è nata direttamente dalla struttura di Siena. Above/ Below Ground tratta di due mondi separati dalla superficie della terra. Alcune caratteristiche si rispecchiano, altre si confondono. Se pensiamo ad esempio al Santa Maria della Scala, quando entriamo in quel complesso ospedaliero medievale non è chiaro dove ci si trovi rispetto al livello della terra. Usando la topologia della città come metafora per il nostro progetto, possiamo distinguere le aree in cui io e Amy ci sovrapponiamo e quelle in cui prendiamo direzioni diverse.
Above/Below Ground è un progetto collettivo con gli studenti. Quale forma credi che assumerà alla fine?
MD: La forma che la mostra assumerà e i suoi componenti si accumuleranno e cambieranno in relazione ai luoghi in cui verranno esposti. Col tempo, io e Amy aggiungeremo dei disegni alla collezione ed è possibile che alcuni dei nostri studenti vorranno essere coinvolti nelle attività future legate al progetto. Realizzeremo un artist book che fungerà da lavoro di accompagnamento alla mostra.
Perché avete scelto il disegno come strumento d’indagine e in che modo vi siete avvalsi di esso?
AY: Il disegno sembra sempre portare a luoghi inaspettati. È il mezzo delle idee, del pianificare. Diversi artisti producono le loro opere migliori quando si cimentano nel disegno; l’immediatezza del processo ci mette in contatto con le nostre idee più essenziali. Negli ultimi due mesi abbiamo realizzato disegni di vari esemplari geologici/naturali presso il Museo dell’Antartide e l’Accademia dei Fisiocritici. Il ruolo dell’astrazione nell’illustrazione scientifica è servito come punto di partenza da tenere presente nel realizzare i nostri disegni dall’osservazione diretta.
MD: Ogni progetto inizia con il disegno. È lì che le idee trovano una forma tangibile, è con il disegno che comunico le mie idee alle istituzioni che ospitano i progetti e alle squadre tecniche che li costruiscono. A volte è interessante rompere con le proprie abitudini, provare modi nuovi per fare le cose; gli esperimenti collaborativi che faccio con Amy hanno quella funzione per me. Facciamo buon uso della libertà che deriva dal ridurre l’idea che ci sia un solo autore.
Durante il simposio avete discusso un tema preciso, “expedition”. Cosa avete trovato o scoperto durante questa esperienza italiana?
AY: Abbiamo utilizzato il concetto della “expedition” come punto di partenza della nostra conversazione. Non c’erano obiettivi specifici o conclusioni che speravamo di raggiungere. Lo stesso approccio aperto vale per la nostra esperienza di lavoro qui a Siena. È stato un processo organico che ci ha portati a seguire i percorsi che la nostra curiosità ci dettava e a intraprendere conversazioni con i ricercatori che abbiamo incontrato sulla nostra strada. Durante le visite preliminari che ho svolto in città nell’arco degli ultimi diciotto mesi, volevo capire cosa ci fosse qua e chi potesse essere interessato a collaborare con degli artisti. Ho cominciato col cercare degli esperti che mi potessero raccontare delle fondamenta materiali della città, cioè la sua geologia e i suoi materiali di costruzione. Le caratteristiche della città che vediamo oggi, in che modo sono state dettate dalla specificità dell’ambiente? Parlare con il personale dell’Università di Siena, nelle facoltà di Scienze naturali e di Preistoria, del Museo dell’Antartide e del Museo dei Fisiocritici e del Cutvap è stato cruciale per il nostro progetto. I lavori che sono stati realizzati per la mostra riflettono molti aspetti di questo scambio proficuo.
Matteo Innocenti
http://www.sienaart.org/mark-dion–amy-yoes.html
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