Minimalismo dall’India. Prabhavathi Meppayil all’Accademia Americana a Roma
Si può partire da un’antica tradizione orafa e approdare a una forma di minimalismo contemporaneo? L’artista indiana Prabhavathi Meppayil lo fa con una forma d’arte astratta ed eclettica. Succede all’American Academy della Capitale, fino al 12 maggio 2014. Lorenzo Taiuti l’ha intervistata per Artribune.
Se, nel generale eclettismo dell’arte, oggi i termini di catalogazione iniziano a perdere i loro contorni abituali, allora questa questione si applica in particolare al lavoro dell’artista indiana Prabhavathi Meppayil (Bangalore, 1965). Presente alla Biennale di Venezia di Massimiliano Gioni, ora porta all’Accademia Americana una serie di opere solo bianche e con segni e operazioni che richiamano, al limite della percezione, i segni degli strumenti che tracciano linee sottili su rame e oro. Mentre il suo studio è accanto ai laboratori degli orafi nel quartiere degli artigiani, lei stessa nel suo lavoro trasporta su superfici di gesso le strategie operative di un’antichissima arte.
Nella mostra Nine Seventeen, Meppayil mischia fili d’oro o rame ai segni leggeri tracciati sul gesso, mentre altre volte sprofonda nel bianco sottilissimi segni di bulino o scalpello. Operazione discreta, che si ripete su quadri affiancati, comunicando una sorta di malinconia pensosa, una trasformazione della fatica minuta dell’artigiano in una forma-pensiero che si riferisce al Minimalismo concettuale e ricorda anche la Pittura Segnica italiana (Gastone Novelli, ad esempio) e francese.
L’arte contemporanea indiana è in una fase di emersione e visibilità in cui però non molti sono i nomi noti in Italia, a causa della carenza di mostre che permettano di avere un quadro complessivo delle tendenze e degli autori. Abbiamo allora rivolto a Prabhavathi Meppayil alcune domande sul suo lavoro e sulla situazione della scena locale.
Consideri il tuo lavoro vicino ad altri lavori di artisti in India?
Mi sembra che il mio lavoro risponda a certe problematiche formali e concettuali tipiche dell’arte minimalista in generale.
Come vedi l’“art scene” in India?
La scena dell’arte in India riflette la situazione socio-politica, economica e culturale: è complessa e differenziata.
Quali nomi di colleghi citeresti?
Ci sono molti bravi artisti, la lista è lunga. Ma per nominarne alcuni: Sheela Gowda, Nasreen Mohamed, Vivan Sundaram, Atul Dodiya, Valsan Kolleri, Pushpamala, Shilpa Gupta, Abhishek Hazra…
Hai partecipato a molte mostre in Europa e negli Stati Uniti e l’anno scorso eri alla Biennale di Venezia. Quali sono le differenze che hai notato fra i sistemi dell’arte in Usa, in Europa e in India?
Suppongo che il sistema sia lo stesso ovunque. È l’artista a fare la differenza.
Il tuo lavoro è profondamente radicato in un antico artigianato indiano. Nello stesso tempo tu vivi in una città, Bangalore, nota per la sua industria digitale. Come percepisci le possibilità dei media digitali? Sei mai stata curiosa di sperimentare le loro possibilità creative?
Anche se i media digitali sono interessanti strumenti per l’arte, con le loro infinite possibilità, io mi sento disorientata sul come impegnarmi in questo campo.
Lorenzo Taiuti
Roma // fino al 12 maggio 2014
Prabhavathi Meppayil – Nine seventeen
AMERICAN ACADEMY
Via Angelo Masina 5
06 58461
[email protected]
www.aarome.org
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