Villa Panza. E luce fu. Intervista ad Anna Bernardini
A un passo da Milano, ma con lo sguardo rivolto a Los Angeles. Anna Bernardini, direttrice della Villa e della Collezione Panza, fa il punto della situazione su uno degli spazi più magici che l’arte contemporanea vanti in Italia. Dove è la luce il vero capolavoro.
Una mostra lunga un anno, quella di Irwin e Turrell a Villa Panza: una scelta impegnativa. Com’è maturata?
Le ragioni che ci hanno indotto a tenere allestita una mostra per così tanto tempo sono varie: innanzitutto abbiamo voluto considerare l’investimento in termini economici e di risorse umane che il progetto ha richiesto. Si è trattato di un impegno davvero importante, basti pensare che anche il LACMA ha scelto di mantenere la retrospettiva su James Turrell per oltre un anno.
C’è poi il tema dell’identità del luogo: è come se questa mostra venisse fuori dalle viscere della villa, della sua collezione; come se ne fosse un prolungamento, un’estensione, per cui la sensazione è quella di leggerla come parte fisica della collezione stessa. È questa armonia che ci ha convinti della necessità di mantenerla per un anno.
C’è poi il discorso legato alla percezione delle opere, per lo più giocate sulle dinamiche della luce. E dunque sensibili alle variabili che impone la natura…
Non siamo in California, quindi non abbiamo la sua luce; ma d’altra parte è un po’ questo il carattere della Villa, anche al di là di questa mostra specifica: il suo dinamismo, la capacità di cambiare luce, la percezione. A seconda delle ore del giorno, del tempo meteorologico, delle stagioni, o anche del nostro umore: questo ha un effetto molto forte, molto suggestivo su ognuno di noi.
Cos’ha significato per Irwin e Turrell lavorare negli stessi spazi che li hanno visti impegnati, giovanissimi, oltre quarant’anni fa?
Creare un dialogo con lo spazio architettonico non è stato semplice, ma frutto di una lunga fase di studio. Sicuramente, per gli artisti, tornare dopo quarant’anni sul luogo del delitto non è stato facile: anche perché ha significato mettersi in relazione con i lavori, straordinari, che loro hanno fatto a partire dai primi Anni Settanta e con cui avevano già fatto una rivoluzione, soprattutto per quello che riguarda l’arte ambientale.
Alla fine hanno accettato la nuova scommessa perché si è trattato non solo di documentare i lavori del passato, ma anche di fare cose nuove, di guardare – insieme al passato – anche al presente. Credo sia stato questo, oltre naturalmente alla riconoscenza nei confronti della famiglia Panza, a motivarli.
Cosa c’è nell’immediato futuro di Villa Panza?
Il 17 luglio inaugura il secondo atto della collaborazione che un anno fa abbiamo avviato con Arte Sella per la creazione di installazioni con materiale naturale all’interno del parco della villa. Si tratta di un progetto triennale: l’anno scorso abbiamo fatto Stuart Frost, ora tocca al belga Bob Verschueren. Una scelta, quella di lavorare con artisti che trattano con la natura, che ancora una volta risponde al carattere della villa stessa: al rapporto quasi osmotico tra spazi architettonici e ambiente esterno che traspare, ad esempio, anche dalle opere degli stessi Irwin e Turrell.
Cosa dobbiamo aspettarci?
Sta preparando un’installazione con sezioni di tronchi d’albero e rami che vengono inseriti in un pendio che da un lato intensifica la percezione dello scorrere del tempo, dall’altro trasmette il senso di instabilità del nostro ambiente. È un lavoro che, come gli altri, finirà per integrarsi in modo profondamente armonico con il parco.
Villa Panza è vicina a una grande città come Milano, eppure ne sembra lontanissima. La sua condizione di luogo periferico è più un limite o un pregio?
Questo è un luogo speciale, meta di visite speciali. Se fossimo a New York o nel centro di grandi città faremmo forse meno fatica ad attirare pubblico, ma non saremmo Villa Panza: questa naturale condizione di sospensione, che fa in modo che la luce entri in maniera speciale diventando materia di vita e d’arte, c’è solo qui.
Non soffrite la marginalità rispetto ai grandi circuiti del turismo culturale?
È vero che siamo decentrati: siamo fuori dai circuiti internazionali, ma Villa Panza è anche un luogo che non potrebbe nemmeno permettersi di avere troppe visite, a causa della sua fragilità. Ad ogni modo, si può certamente migliorare: del resto siamo a cinquanta chilometri da Milano e a mezz’ora dalla Svizzera, dove l’interesse per l’arte contemporanea è molto forte.
A quale modello ci si può ispirare?
Sono rimasta folgorata quando, per preparare la mostra di Irwin e Turrell, sono andata a Los Angeles. Nei weekend il LACMA era pieno di famiglie, non che andavano e poi scappavano quasi fosse un centro commerciale; ma che stavano lì ore, in certi casi addirittura tutto il giorno: godendo degli spazi all’aperto, mangiando lì, alternando la visita di parti del museo a momenti di relax; entrando, uscendo e rientrando liberamente. C’è questo modo diverso di vivere l’arte e la cultura, là, da cui c’è molto da imparare.
Con la mostra ospitata in primavera a Ca’ Pesaro si è gettato uno sguardo trasversale sulle opere della Collezione Panza, concentrandosi su lavori meno vincolati al genius loci della villa. Eventi del genere possono diventare ricorrenti e trasformarsi in modi per veicolare l’immagine della collezione stessa e, dunque, richiamare visitatori a Varese?
L’operazione che ha fatto Ca’ Pesaro è stata quella di testimoniare il valore della Collezione Panza: è un tema su cui stiamo lavorando e una tipologia progettuale su cui stiamo riflettendo. Siamo convinti che sia sicuramente un fattore positivo, che non deve però distrarci dal lavorare sul futuro: altrimenti si corre il rischio di essere totalmente autoreferenziali.
Francesco Sala
Varese // fino al 2 novembre 2014
Robert Irwin / James Turrell – Aisthesis
VILLA PANZA
Piazza Litta 1
0332 239669
[email protected]
www.fondoambiente.it
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