Alain Seban, presidente del Centre Pompidou. L’intervista

Ha preso il via in Laguna l'attesissimo ciclo di conversazioni tra gli attori culturali della scena contemporanea italiana e francese messo a punto dalla Fondazione François Pinault per la sede di Palazzo Grassi. L'obiettivo del progetto, nato in collaborazione con l’Alliance Française di Venezia presieduta da Pierre Rosenberg, a capo anche del Musée du Louvre, è tanto ambizioso quanto necessario: rintracciare nel dialogo tra le istituzioni museali del XXI secolo spunti di riflessione utili a interpretare le mutevoli necessità espositive e di audience dettate dalla contemporaneità stessa.

La prima voce invitata a dare corpo al dialogo “istituzionale” fra Italia e Francia, a Palazzo Grassi, è stata quella di Alain Seban, presidente di uno dei poli culturali più attivi a livello mondiale, il Centre Georges Pompidou di Parigi. In conversazione con il padrone di casa Martin Bethenod, e in un affollato Teatrino di Palazzo Grassi, Seban ha deciso di mettere la propria esperienza professionale al servizio di una lucida analisi delle questioni, pienamente attuali, indagate dalla rassegna lagunare.  Globalizzazione, avanzata della rivoluzione digitale, logiche di decentramento economico-sociale, cambiamenti di esigenze da parte di un pubblico sempre meno classificabile: sono solo alcuni dei nodi tematici che gli enti promotori di attività culturali sono chiamati a dipanare in maniera propositiva, trasformandoli in occasioni di crescita.
La fiducia dimostrata da Seban verso la cooperazione, reale e tangibile, tra globale e locale, tra grandi centri culturali istituzionalizzati e identità locali in crescita, sullo sfondo del panorama artistico tout court, risiede nel potenziale costruttivo che il presidente del Pompidou riconosce alla temporaneità. La scelta di aprire sedi dichiaratamente provvisorie e “decentrate” rispetto al Centre parigino, con l’esempio di Metz, del progetto Mobile e dell’imminente apertura, nella primavera 2015, del polo non permanente di Malaga, rispecchia la convinzione di Seban che questa strategia apra le porte a uno scambio tra know how consolidati e novità creative per incentivare la nascita di nuovi rapporti di collaborazione tra micro e macro scenari culturali.
Alain Seban ci ha parlato di questo e di molto altro in un’intervista densa a cavallo di un talk che ha trovato nel dialogo una miniera di possibilità.

I Grandi Musei del XXI secolo. Dialoghi franco-italiani - Alain Seban e Martin Bethenod - 15 dicembre 2014 - Teatrino di Palazzo Grassi, Venezia

I Grandi Musei del XXI secolo. Dialoghi franco-italiani – Alain Seban e Martin Bethenod – 15 dicembre 2014 – Teatrino di Palazzo Grassi, Venezia

Come si rapporta un’istituzione culturale consolidata e complessa come il Centre Pompidou al contesto locale e internazionale? Ci sono aspetti del Centre Pompidou che vorrebbe modificare completamente in questo momento storico?
Credo che il nostro contesto sia dominato da spinte di trasformazione costante. La prima è data dalla globalizzazione, che è fondamentale per un museo come il nostro, dato che la nostra collezione è nata con un’ambizione universale, che bisogna trovare il modo di far durare anche nel XXI secolo, quando l’arte è globale e l’organizzazione interna deve fare i conti con questo contesto.
La seconda forza è l’interesse crescente del pubblico per l’arte. L’affluenza di visitatori alle mostre contemporanee è aumentata, negli ultimi cinque anni, di più del 100%. Dunque c’è un interesse crescente del pubblico per ciò che facciamo e soprattutto rispetto alle proposte relative all’arte contemporanea. Ciò non significa, però, che l’incremento di interesse per l’arte contemporanea corrisponda necessariamente al raggiungimento di un pubblico più ampio. Abbiamo ancora bisogno di investire risorse per ampliare il nostro pubblico, non solo per aumentarlo.
Il terzo fattore è la digitalizzazione. La rivoluzione digitale colpisce tutte le istituzioni culturali e i musei in particolare, nella misura in cui essa creare mondi virtuali che rendono i musei non necessari. Tuttavia la digitalizzazione crea anche la possibilità di raggiungere diversi tipi di pubblico. Se tu hai una connessione digitale con i visitatori, puoi raggiungerli prima che loro entrino fisicamente nel museo e anche dopo la loro visita, creando diverse possibilità di relazione con differenti tipologie di pubblico.

È confortante percepire, da parte del presidente di un’importante istituzione culturale, questo reale interesse verso le esigenze e le peculiarità del pubblico. Spesso, quando si entra in un museo o in un centro culturale, non si coglie questa attenzione…
È vero.  Come istituzioni culturali dobbiamo domandarci che cosa offriamo e se la nostra offerta è ampia, forte e potente abbastanza. Dobbiamo domandarci che cosa si aspetta il pubblico da noi, perché le aspettative del pubblico sono un elemento davvero importante.

Christopher Makos -  Andy Warhol al Centre Pompidou nel 1986 © Christopher Makos

Christopher Makos – Andy Warhol al Centre Pompidou nel 1986 © Christopher Makos

A proposito di risorse economiche, quale politica guida le scelte degli sponsor che sostengono l’attività del Centre Pompidou?
Ci sono due aspetti. Il primo riguarda le relazioni con le corporate sponsorship e il secondo, maggiormente legato all’arte contemporanea, riguarda il rapporto con il mercato dell’arte, i collezionisti privati, i singoli donatori, e ovviamente le gallerie e le case d’asta. A proposito dei corporate sponsor, la Francia ha un’eccellente legislazione in merito. Noi abbiamo una copertura del 3% e ritengo sia adeguata. È vero che le compagnie private hanno sviluppato dipartimenti specializzati in sponsorizzazioni, creando anche delle fondazioni che portano avanti questo programma. Dunque è diventato sempre più difficile coinvolgere questi soggetti e ci sono sempre più richieste legate alla rilevanza di ciò che fanno con noi rispetto alla loro attività. La sponsorizzazione non viene fatta soltanto per piacere, perché piace l’arte, ma riguarda sempre più la comunicazione, il marketing…  Il punto non è che gli sponsor non interferiscano troppo con la tua politica di istituzione, cosa che onestamente non ho mai visto accadere. Il problema è che, per esempio, non abbiamo una corporate sponsorship per Duchamp perché non è considerato abbastanza famoso, a differenza di Jeff Koons, che sta attraendo il doppio degli spettatori.
Venendo alla relazione con il mercato dell’arte e con i collezionisti privati, ci sono aspetti differenti. È impossibile per un’istituzione ignorare il mercato. Quando organizzi una mostra d’arte contemporanea, devi lavorare con le gallerie perché spesso possiedono importanti opere che tu vuoi mettere in mostra. Devi trovare un’etica, stabilire alcune regole, ma anche individuare un equilibrio. Ad esempio, se l’artista è seguito da diverse gallerie, devi garantire loro la stessa visibilità, a prescindere dal loro apporto effettivo alla mostra. E un’ultima raccomandazione generale: evitare di mettere in mostra collezioni private a meno che, dietro questa scelta, non ci sia una sostanziale donazione, perché si rischia di dare troppa visibilità alla collezione e di sconfinare nel territorio del mercato.

È molto interessante il suo progetto di creare nuovi centri lontani dal Centre parigino, come il Centre Pompidou-Metz e la sede provvisoria di Malaga. Che tipo di scelte e intenzioni hanno guidato questa iniziativa?
È vero, questo progetto combina il locale e il globale. In effetti a Parigi, nel corso dello scorso anno, abbiamo avuto un enorme successo di pubblico, ma il Centre Pompidou vuole inserirsi profondamente nella realtà nazionale francese, dunque per prima cosa è stato ideato il progetto di un Pompidou viaggiante, il Mobile Pompidou, che in due anni ha toccato sei città ottenendo un grande risultato. E il 18% dei visitatori del Mobile Pompidou non era mai stato in un museo, a differenza del 2% parigino. Questo fattore per me è stato molto importante, perché secondo le stime il 50% della popolazione francese non ha mai visitato un museo. È stato un progetto difficile da finanziare perché smontare e rimontare le strutture era molto costoso, ma parlando con le istituzioni culturali di queste realtà francesi mi sono reso conto che esistono molti spazi vuoti, non utilizzati, che dunque possono essere usati temporaneamente per ospitare il Centre Pompidou.

Shigeru Ban, Centre Pompidou-Metz, 2010 - photo Didier Boy de la Tour

Shigeru Ban, Centre Pompidou-Metz, 2010 – photo Didier Boy de la Tour

Quindi l’idea di un Centre Pompidou temporaneo, che esista per tre o quattro anni, può essere un buon modo per coinvolgere la popolazione e le istituzioni locali. E può funzionare anche fuori dalla Francia, ovviamente senza colonizzare il pianeta con una miriade di Centre Pompidou, ma il fatto che siano temporanei può aiutare Paesi come India, Cina, Brasile, Messico, che vogliono creare i propri brand culturali contemporanei, ma che per farlo hanno bisogno di inserirsi nel competitivo mercato globale dell’arte contemporanea. Noi possiamo mettere a loro disposizione la nostra esperienza e intanto avere l’opportunità di conoscere nuovi scenari artistici locali che possano incrementare la nostra collezione. Il nostro prossimo pop up Pompidou a Malaga è abbastanza vicino, ma al tempo stesso presenta un contesto particolarmente vivo e stimolante, ad esempio con una forte comunità di russi e di turismo russo.

A proposito del processo di globalizzazione, c’è un’istituzione culturale in particolare che la appassiona più di altre, nello scenario contemporaneo?
Fortunatamente ce n’è più d’una. Tra le altre, mi piace molto la visione di Michael Govan al LACMA e credo che Los Angeles sia un luogo davvero interessante.

Ritiene che dialoghi come quello a Palazzo Grassi, tra grandi istituzioni culturali internazionali, possano suggerire alcuni strumenti o spunti utili all’operato delle istituzioni stesse?
I cambiamenti di oggi sono così veloci e potenti che i musei devono elaborare delle strategie per anticiparli e per elaborare nuove prospettive. I direttori dei musei hanno ben altro di cui discutere oltre alle mostre temporanee che devono organizzare. Credo sarebbe molto interessante creare dei forum che non coinvolgano solo i musei ma anche altri soggetti come filosofi, politici, imprenditori… Per cercare di ragionare su quale sia il ruolo dei musei all’interno della società, sulle ragioni che determinano aspettative così alte da parte delle persone nei confronti dei musei e su come possiamo venire incontro a queste aspettative. C’è bisogno di riflettere su cosa sia il museo oggi, in uno scenario in costante cambiamento come quello del XXI secolo.

Arianna Testino

www.palazzograssi.it
www.centrepompidou.fr

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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