Il passatismo progressista di McDermott & McGough
Incontro con il duo di artisti statunitensi, ultimi alfieri della fusione totale fra arte e vita. In occasione della mostra alla galleria milanese M77, un'intervista in cui spiegano il lato contestatario e radicale che sta dietro alla dimensione decorativa delle loro opere.
Ben allestita negli ampi spazi postindustriali della galleria M77, la mostra di McDermott & McGough (David McDermott, Los Angeles, 1952; Peter McGough, Syracuse, 1958) è una miniretrospettiva che dà un’idea approfondita della poetica degli artisti. Il duo statunitense vi presenta tre cicli di opere: il fulcro sono i loro suggestivi cianotipi, fotografie che sembrano recuperate da tempi remoti e che invece sono raffigurazioni realistiche della loro vita. Ma le altre opere in mostra non sono da meno: gli Abstract, parodia maestosa e acutamente ironica del Modernismo, e i lavori in cui sovrappongono forme geometriche colorate a immagini tratte dal cinema hollywoodiano.
Si presentano all’intervista vestiti come nelle loro fotografie (non c’è finzione in quegli scatti, come vedremo). Peter McGough ci dà tutta la sua attenzione, mentre David McDermott si finge distratto e si dedica agli ultimi ritocchi di un disegno. Ma interviene all’improvviso, lanciandosi in “invettive” che fanno da controcanto alle parole del collega. Un duo affiatatissimo e coerente con la propria opera. Che con le parole conferma come la decorazione sia un pretesto per messaggi radicali e contestatari.
Per iniziare una domanda di carattere “pratico”: qual è il processo di realizzazione delle vostre fotografie?
PETER: Le nostre fotografie sono una registrazione delle nostre vite. Iniziammo su suggerimento di un curatore, che ci disse: “dovreste scattare delle foto, è tutto così perfetto, casa vostra, i vostri vestiti, la tappezzeria…”. Seguimmo il consiglio. Comprammo una macchina fotografica del 1910 e cominciammo a fotografare casa nostra e la nostra vita. Le abbiamo stampate in blu perché era un procedimento semplice, e le opere hanno avuto successo. Entrammo nel mondo della fotografia e non più solo in quello della pittura, ma si tratta di arte in tutto e per tutto, non di semplici fotografie. Contengono le nostre teorie sul tempo, la storia e tutto il resto.
Dunque è tutto vero, non costruite dei set?
PETER: No, nessun set, sono le nostre vite.
DAVID: Fummo buttati fuori da quella casa!
PETER: Sì, è vero, l’anziana proprietaria della casa in cui viveva David morì e il figlio lo sbatté fuori… Quindi registrammo tutto prima di essere cacciati. Eravamo lì da quindici anni…
Perché il passato? È un gesto politico o una posizione estetica? Che strategia adottate per evocare il passato senza cadere nella nostalgia?
PETER: Non siamo nostalgici, perché i nostalgici parlano dei loro tempi, noi parliamo di tempi che non abbiamo vissuto. E il nostro è un gesto politico perché, ritraendo il passato, affermiamo che i comfort del mondo contemporaneo stanno distruggendo il mondo. In uno degli ultimi summit sul clima sono stati usati ventiquattro jet privati per raggiungere il luogo dell’incontro. Nessuno vuole smettere di volare in aereo, guidare la macchina, mangiare carne… Le persone se ne fregano: finché hanno una televisione, sono felici. Eppure ci sono tutti i segnali, gli avvertimenti che indicano la pericolosità di questo stile di vita. È un lavoro politico perché parla dei problemi del mondo. La gente guardando le opere dice: “Oh, guardali, sono lì seduti a bere il loro the, che bello…”. Ed è vero, nelle opere si vede questo. Ma il nostro lavoro parla anche di questioni di razza, sessualità, omosessualità, della condizione delle donne. È un lavoro che sembra decorativo e invece è estremamente politico. Dietro c’è la morte.
DAVID: Abbiamo fatto alcuni lavori non decorativi, ma non piacquero! Erano molto politicizzati, non erano le cose che vuoi appendere in casa: non le comprarono. Ebbero le migliori recensioni ma non fecero business.
PETER: Negli Stati Uniti c’era un pittore che dipingeva case con la neve, fiori… Tutto così corretto, cristiano. E lo definivano “il pittore della luce“. La gente lo adorava e faceva soldi a palate. Ma nei suoi lavori non c’era niente. Ora credo che sia morto…
DAVID: Sì, e ci ha lasciato tutti i suoi soldi!
PETER: Ti piacerebbe…
Il Modernismo è uno dei vostri soggetti e obiettivi critici: penso ai lavori del ciclo Abstract. Il progetto del Modernismo è ormai fuori dal tempo?
DAVID: Si! È proprio l’argomento di questi dipinti: la fine del XX secolo e del Modernismo. Vogliamo essere gli ultimi in assoluto a dipingere quadri astratti. È il proposito della mostra.
PETER: Il Modernismo era una reazione ai tempi.
DAVID: Di sicuro ha distrutto il mondo della gente povera. Tutto quello che hanno i poveri sono le strade in cui camminare, e vedere dei bei palazzi ti fa credere di avere una vita. Se glieli togli è orribile. Qualcuno disse che l’architettura è fatta per i poveri. Ma dato che non possono entrare nei palazzi, se costruisci palazzi brutti esteriormente sei un egoista.
PETER: Noi veniamo dalla middle class…
DAVID: Non veniamo dalla middle class, ma dalla working class! Middle class è solo una definizione ipocrita che veniva data. Peter aveva sette fratelli, se non era svelto ad accaparrarsi il cibo non mangiava…
In alcune delle vostre opere ci sono riferimenti al cinema. È ancora un mezzo di espressione o è ormai solo un mezzo di dominio?
PETER: Il cinema dice alla gente come deve comportarsi. Non ricordo chi disse che Guerre stellari ha distrutto il cinema: dopo, nessuno vorrà più tornare a fare un film artistico. Tutti ora vogliono un blockbuster: ecco tutti gli Indiana Jones, i supereroi, i mostri… I nostri lavori non sono sul cinema, ma usano elementi tratti dal cinema per parlare della condizione delle persone. Le immagini tratte dai film sono quelle di personaggi femminili a un punto di svolta nella loro vita. Cerco i momenti in cui c’è un crollo nei loro sguardi, quando sembrano dire: “Non ce la faccio più, devo essere bellissima, giovane, senza un pelo, non posso sudare, essere volgare, ridere…”. Come giovane gay, negli Anni Settanta ho capito che dovevo avere altri modelli. Non voglio dire alle donne cosa devono fare, non ne ho idea; ma uso i modelli del cinema per parlare della condizione umana. Modelli che sono ridicoli. Pensiamo alle poliziotte nei film: tacchi alti, tutina sexy, capelli perfettamente a posto, tette in evidenza… Hai mai visto una poliziotta così nella vita vera? Al mondo tutto è manipolato: la tv, il mondo dell’arte, la politica… Tutto è una bugia. Le news della Abc parlano di cose insignificanti. Dicono: “A New York nevica”, ma non fanno un cenno al controllo del clima. Siamo come in Metropolis, tutti zombie, oppure come in Matrix. Le nostre foto dicono: “Non sei obbligato a essere conforme, a essere chiuso in una trappola. Inizia la tua storia”.
DAVID: Ma i nostri dipinti sono anche dei blockbuster: sono progettati per vendere. Li vogliono decorativi e noi li facciamo decorativi. Ma allo stesso tempo con essi insultiamo l’intero mondo dell’arte. I soldi che facciamo li investiamo nei nostri esperimenti.
Nelle vostre opere sembrate riferirvi alla storica utopia della mescolanza tra arte e vita. È ancora possibile?
PETER: Noi l’avevamo realizzata. Ma l’abbiamo persa alla fine degli Anni Ottanta. L’utopia che avevamo costruito, i carri coi cavalli, le macchine degli Anni Trenta, la casa dell’Ottocento…
DAVID: E ridevano! Quelli che ci hanno cacciato pensavano che fosse divertente. Ci hanno detto: “Voi ricostruirete tutto ciò? E noi ve lo porteremo via di nuovo”. Vendettero tutto.
Stefano Castelli
Milano // fino al 15 maggio 2015
McDermott & McGough – Cyan light and abstract
a cura di Michele Bonuomo
M77 GALLERY
Via Mecenate 77
02 84571243
[email protected]
www.m77gallery.com
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/42391/mcdermott-mcgough-luce-azzurra-e-astratta/
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