ITALIA CREATIVA: UN “PRIMO STUDIO”?
Chissà cosa ne pensano di quella dizione – “primo studio” – Federculture, che nel 2015 ha pubblicato il suo 11esimo rapporto, o la Fondazione Symbola, giunta alla quinta edizione di Io sono cultura. In fondo ognuno può liberamente dire ciò che vuole. Un po’ come alla Triennale di Milano, quando alla presentazione di Italia Creativa, a parte una serie di numeri letti in fretta, si sono alternati spunti alquanto interessanti a una serie di filosofie corporativistiche – il complottismo no, almeno quello non è arrivato in sala.
DIRITTO D’AUTORE E PENSIERO UNICO
Il messaggio più forte è chiaro espresso dal consesso è stato, senza ombra di dubbio, “difendiamo il diritto d’autore”. Un po’ banale, anche se sacrosanto. Quello che in realtà non si è sentito altrettanto forte è il come difenderlo. Si è detto, qua e là, che il problema è nell’educazione, nella percezione che gli italiani hanno della cultura. La realtà è che la cultura deve tornare a essere qualcosa di quotidiano, perdere la sua straordinarietà e ricominciare a essere qualcosa di normale, presente e necessario.
Quando si dice che quasi il 40% dei dirigenti di azienda non legge neanche un libro l’anno, è un fatto. Ma se la ricetta per liberare risorse e favore della creatività è l’aggregazione delle case editrici “per abbattere i costi di struttura”, non si è capita la differenza tra un’impresa culturale e una metalmeccanica. Investire nella cultura non vuol dire rinunciare ai profitti, anzi, ma neanche ridurla a catena di montaggio. Chiedere di “finanziare gli autori affinché creino ciò che chiede il mercato” (e massimizzare così il rendimento per gli investitori) è una strada verso un pericoloso pensiero unico.
Si è discusso molto di digitale, anche. Chi lo vede come un ineluttabile pericolo, chi come un covo di improvvidi minatori del futuro. Chi, come Sergio Escobar, il direttore del Piccolo Teatro di Milano, come un ingranaggio di un circolo virtuoso in cui si può andare a teatro disconnettendosi da Internet e andarci informati e consapevoli proprio grazie a Internet.
IL MINISTRO, LA FRANCIA E UNA BEST PRACTICE
I numeri che emergono dal rapporto sono confortanti, ma non per tutti. Il confronto che tutti hanno fatto (Ernst & Young compresa) è con la Francia a cui si guarda, a seconda dei casi, con ammirazione, senso di superiorità o invidia. In ogni caso ne usciamo sconfitti. La maggior parte dei presenti non ha perso occasione di paragonare le cifre del comparto con le omologhe e migliori transalpine.
Ma ha ragione il ministro Franceschini quando, piccato, ha stigmatizzato il parallelo: guardiamo sempre alla Francia ma non sappiamo dare risalto a quello che di buono abbiamo in casa (come invece sanno fare loro). Un po’ di sciovinismo nostrano, in fondo, potrebbe servire a quella quotidianità dei valori di cui si diceva prima.
Christian Greco, infine, è stato il più applaudito, e forse proprio per questo. Il Museo Egizio di Torino che lui dirige da due anni sta tornando orgogliosamente a essere un “centro di ricerca e attrazione”. Quello che manca ancora ai nostri musei è la programmazione, ha detto.
Quello che manca alla nostra Cultura, diciamo noi, è la cultura.
Franco Broccardi
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