Marchette quotidiane. L’editoriale di Renato Barilli
Si può parlare di truffa quando un quotidiano spaccia per “grande evento” una mostra solo perché gli organizzatori della medesima scelgono di drogare la comunicazione? Una pratica malsana che imperversa, non solo in Italia. E che fa infuriare anche uno dei nostri editorialisti.
C’è un sopruso che si compie quasi con ritmo quotidiano, in quanto appunto affidato ai nostri principali quotidiani, i quali ben raramente evitano di uscire giornalmente senza offrire dalle due alle quattro pagine a lode e propaganda di qualche mostra di grande impegno, organizzata da enti pubblici, molto più raramente privati. Quelle pagine altro non sono che messaggi pubblicitari, che però come tali non vengono dichiarati, a prudente avviso dei lettori (ve lo abbiamo raccontato più volte anche nel nostro Strillone, N.d.R.), i quali dunque possono essere ingannati, esclamare tra sé e sé che quella certa mostra deve essere davvero importante e da non perdere, perbacco, in considerazione del tanto spazio che le viene dedicato dall’organo del cuore, e oltretutto con articoli che sono a firma, più o meno, delle migliori penne di cui quel giornale si vale per l’arte, da considerarsi quindi come apprezzati e qualificati titolari del settore.
È una coercizione, una forma di pubblicità occulta che dovrebbe incontrare la condanna del Codacons o di ogni altro organo di garanzia della bontà dei prodotti. Si aggiunga l’effetto perverso così introdotto, dato che appunto si tratta di prestazioni a pagamento, di veri e propri servizi pubblicitari che vanno a gravare le voci corrispettive nei budget di previsione ogni qual volta una istituzione si cimenta nell’organizzare una mostra di impegno.
Quando un povero disgraziato critico-curatore, come ad esempio lo scrivente, propone un progetto, sforzandosi di mantenerlo entro costi contenuti, magari cominciando col sacrificare il proprio compenso, si sente però subito obiettare un ostacolo pesante come un macigno, che ci vogliono le centinaia di migliaia di euro per coprire appunto queste spese in pagine di pubblicità occulta, un sine qua non per avere il via libera. Si aggiunga che, siccome per lo più si tratta di mostre gestite da enti pubblici, Comuni, Regioni, Fondazioni bancarie, si tratta di soldi di tutti, che vengono dirottati verso fini impropri. Per giunta, i conti fatti dicono che il più delle volte queste ingenti spese pubblicitarie, che appesantiscono i giusti e inalienabili costi per mettere in piedi le mostre stesse, non vengono coperte dal rientro di biglietti venduti, tranne pochi casi. Il più delle volte questi ingenti e solo parzialmente produttivi investimenti sono in funzione della vanagloria di sindaci o presidenti o altri dirigenti delle istituzioni dedite a queste non chiare manovre. Almeno, l’intento pubblicitario dovrebbe essere reso manifesto, dichiarato alla luce del sole.
Renato Barilli
critico d’arte militante
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30
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