Kentridge è salvo, Roma no. La guerra delle bancarelle e il suo esito assurdo
A Roma si è combattuta nelle ultime settimane una battaglia tutta particolare: c'era da liberare la nuova grandiosa opera d'arte pubblica di William Kentridge dalle bancarelle. Si è optato per farlo in maniera dannosa, egoista, mistificatoria e strabica. A rimetterci, la città.
CONCORRENZA SLEALE
Abbiamo scritto e riscritto, non più di qualche settimana fa, quanto l’inaugurazione del grande fregio di William Kentridge potesse rappresentare, per una Roma in enorme difficoltà, una opportunità di parziale riscatto, specie turistico.
Nei giorni successivi poi, a causa di una querelle dovuta al montaggio di alcune bancarelle di fronte ai 500 metri dell’opera, l’opportunità si è spostata e allargata e questo clamoroso lavoro di arte pubblica ha avuto la chance di far emergere – nonché proporre sul palcoscenico internazionale – uno dei problemi principali (e mai affrontati, specie nel mondo della cultura) della capitale del Paese: un’allucinante e inedita invasione di squallido commercio ambulante. Migliaia e migliaia di bancarelle dappertutto, orribili, talvolta abusive, che rendono impossibile una normale fruizione della città, che fanno concorrenza sleale al commercio, anche quello storico, che fanno passare la voglia di investire in città a chi magari potrebbe e che, soprattutto, umiliano il patrimonio storico, artistico e paesaggistico.
L’OSCENITÀ COME REGOLA
La narrazione che si è costruita su Triumphs and Laments poteva essere un trionfo di trasparenza e prospettiva, e invece si è optato solo per il lamento. Oh, il povero fregio sfregiato dagli ambulanti; oh, l’artista che dice che lo vuole scancellare; oh, la petizione su Change.org e via così. Si è parlato solo della faccenda in sé, evitando accuratamente di guardare il problema nel suo complesso.
Si è omesso, questo è veramente ipocrita, di dire che in quel punto le bancarelle ci sono sempre state ed erano previste e chi ha promosso la realizzazione dell’opera lo sapeva alla perfezione, ma soprattutto non si è sottolineato un fatto semplice e lineare: le banchine del Tevere sono luoghi magici e straordinari a prescindere dal fatto che vi sia intervenuto il grandissimo artista sudafricano e che, dunque, sono decenni che meriterebbero mobilitazioni e petizioni da parte dei benpensanti di turno, perché le bancarelle ambulanti sono oscene e potrebbero, pur magari restando in parte o in toto, essere restylizzate, perché è addirittura la stessa Soprintendenza a obbligare gli esercenti a servirsi di materiali scadenti (solo plastica bianca, è il diktat), perché infine gli stessi esercenti non sono figure all’altezza di un contesto così che, oltretutto, viene pagato cifre irrisorie in cambio di incassi da capogiro.
PERCHÉ SI ALZA LA VOCE SOLO ADESSO?
In ogni caso non si capisce il motivo per cui Ponte Rotto, Ponte Sisto, Ponte Cestio e l’Isola Tiberina debbano essere opere meritevoli di meno tutela e indignazione del pur strabiliante fregio di Kentridge. Eppure queste opere sono sommerse dal più putrido bancarellume d’Europa da anni e anni: perché lo scultore Andrea Fogli, che è insorto sui social con insistenti petizioni per proteggere Kentridge, non ha fatto lo stesso per proteggere una autentica scultura urbana del Quattrocento come Ponte Sisto? Perché nessuno in tutto questo tempo si è preoccupato delle bancarelle che oscuravano il commovente Ponte Fabricio che connette l’Isola Tiberina al Ghetto Ebraico e che è stato costruito oltre venti secoli fa?
UNA DECISIONE INSPIEGABILE
Sapete invece com’è andata a finire? È andata a finire che – tra buonismi, insistenze, tragedie e servizi televisivi – si sono mossi tutti. Tutti quelli che non si muovono o fingono di non vedere una città dove le bancarelle sfregiano basiliche, aree archeologiche, strade storiche, musei, facciate di palazzi in ogni rione e in ogni quartiere. Il Ministero ai più alti livelli e il Commissario Straordinario hanno deciso alla fine di liberare l’area del fregio e di ammassare le concessioni delle bancarelle (che non possono certo essere annullate) proprio ai lati, addosso ai ponti, dove ovviamente, per rispetto, era vietato.
Dario Franceschini e Franco Tronca dovrebbero spiegarci per quale motivo e per quale ragionamento logico un’opera d’arte pubblica come Ponte Sisto, voluta da Papa Sisto IV Della Rovere e realizzata nel 1479, sia meno meritevole di rispetto di un’opera come Triumphs and Laments, voluta da un’associazione privata e realizzata nel 2016.
Massimiliano Tonelli
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