Allora non sapevo nulla del mio estetismo,
né che l’arte più pura e perfetta che esista sulla terra
è quella living, cioè della vita, dell’apparizione fisica
in un determinato momento e mai più.
Goffredo Parise, Lontano
Zanbagh Lotfi (Teheran, 1976) è una gazzella [qui trovate la recensione della sua recente mostra da Marcorossi Artecontemporanea, N.d.R.].
Ha composto una serie pittorica che è un gioiello di comprensione, di immersione, di compenetrazione di piani, di tempo ritrovato, di memoria ricreata, di gusto riattivato e di frammenti che si fondono e si ricompongono in vita nuova.
Gli Anni Ottanta iraniani – l’infanzia – i compleanni – le torte – la guerra – il trauma lontano, silenziato, distanziato, ovattato, percepito a ritardo e a distanza come un fantasma opprimente – le figure che appaiono e scompaiono – la mamma – un gigantesco F16 – pezzi di alluminio accartocciato – carta da parati d’antan – volti dolcemente slabbrati – cumuli di neve e giochi invernali sul limitare del bosco – la mamma.
Una levità che riesce ad affondare senza farsi male, un percorso seducente e immersivo nella vita di una bambina-ragazza-donna e di una nazione millenaria, e queste tele che squillano…
Visti tutti insieme, i sei dipinti di Zambi rivelano di essere un’unica opera, una sequenza narrativa: qualcosa, tra l’altro, che difficilmente un pittore o una pittrice italiana, in questo momento, si azzarderebbero a realizzare. E invece a lei viene piuttosto naturale; questo costruire un racconto che fonde autobiografia e Storia collettiva, memoria individuale e comune, che interseca continuamente livelli e dimensioni, dà vita a un lavoro potente, che riesce a brillare all’interno di questo studio, di questo spazio che sembra una grotta sottomarina. I quadri sono come scaglie favolose e sfuggenti che provengono dritte dritte dai ricordi personali più preziosi, frammenti connessi da filamenti luminosi e vitali.
Ricchezza & Profondità. Forza. Salute, finalmente.
Sovrimpressioni.
Riverberi lucenti. Fiammeggianti. Rutilanti. Scoppiettanti. (Come fuochi di artificio quando si alzano in volo e la gente sta a guardare col naso all’insù e poi scoppia e si apre un fiore giallo o rosso o blu e al suo interno un altro ancora e tutti fanno oooooohhhhh.)
Il lavoro di questa serie, più che uno “scavo”, è una continua carezza fatta ai ricordi personali, e le carezze poi riescono magicamente a sovrapporre i piani, a creare zone di intersezione morbida tra contesti identitari una volta contesi.
In un panorama un pochino immiserito come quello dell’arte italiana attuale, questa libertà fiera è quasi sconcertante: e infatti, non a caso, è risultata finora pressoché invisibile. Non si conforma per nulla al sistema di convenzioni vigente, non rientra facilmente nel recinto…
L’idea è stata quella di partire con il pretesto dei miei compleanni – le fotografie della mia infanzia – che coincide con una serie di eventi molto complessi in Iran – quando avevo tre anni c’è stata la rivoluzione – poi subito dopo la guerra, con tutte le conseguenze del vivere sotto la guerra, come spostamenti (1982) bombardamenti – e il periodo della scuola – ricordi di bambina – la nostra casa era in una cittadina, quasi in campagna – io vivevo tutto come una bambina, mi divertivo anche, tutto era come un gioco – anche quando c’era da scappare sulla montagna, quando bisognava nascondersi – poi, quando sono cresciuta, riflettevo su quegli anni e li rievocavo – a vent’anni ho capito – (ho visto le zone oscure) – i prigionieri politici uccisi subito dopo la rivoluzione per esempio, stiamo parlando di dodici-quindicimila esecuzioni – e ogni volta pensavo: quanti anni avevo allora? – questo è diventato un aspetto interessante per la mia ricerca, il tentativo di creare un’immagine che ti rimanda sempre ad altri elementi, o l’idea di mettere oggetti davanti al quadro come una chiave di lettura che crea un ambiente – se tu entri e vedi tante cose che non c’entrano con l’arte, alla fine cercando una storia capisci.
Questo esperimento del colore, dopo aver lavorato molto con il bianco e nero e con il monocolore, mi ha permesso di arrivare qui – (e l’‘eeeeeeeeehhhi… ehi, Madonna!’ di Claire, immediato, mentre Zambi gira il secondo dipinto è ciò che rende meglio di tutto questo momento, cattura ed esprime il senso di questa meraviglia che ci prende) – Non vorrei raccontare quel giorno, ma mettere insieme tutti questi pezzi di colore, e fare in modo che la persona davanti al mio quadro cominciasse a cercare e ricostruire la sua storia a partire da questi frammenti (nessuno spazio per il didascalico dunque) – davanti al quadro, un gruppo di bombe a mano in ceramica: replicano esattamente i salvadanai che venivano regalati ai bambini delle elementari iraniane in cui mettere gli spiccioli destinati ai soldati del fronte – e i due livelli della memoria personale e di quella collettiva si intrecciano e si separano costantemente – partendo dalla tela bianca ho cominciato con un gioco liberissimo di colore, e poi ho cominciato a lavorare sopra questo sfondo – in questa città, mi ricordo, mia madre aveva messo tanti cuscini di gommapiuma sotto il tavolo del soggiorno, e quando c’erano gli attacchi aerei (F16) io mia mamma e mio fratello andavamo sotto al tavolo, una cosa forse stupidissima, però ho questa immagine di lei… – un gioco, un altro gioco – prezioso.
Il dittico finale, invernale: un montaggio di elementi diversi, nonfinito – io e mio fratello giochiamo mentre mia madre sta spalando la neve – i fiocchi sospesi come gemme scintillanti nel buio – l’intreccio di rami e di foglie – strati e strati – lo spettro bianchiccio della torta sul tavolo.
Quattro candeline.
Christian Caliandro
Questo pezzo è stato pubblicato all’interno del “Taccuino di viaggio” MyHomeGallery
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