La nuova Galleria Nazionale di Roma. L’opinione di Luca Arnaudo
Non smette di far parlare di sé la “nuova” Galleria Nazionale di Roma. Stavolta tocca a Luca Arnaudo mettere in luce pregi e difetti di un allestimento, e di una mostra, che calcano un po’ troppo la mano su una facilità di accostamenti e rimandi. Facendo rimpiangere un certo Warburg…
PROBLEMI E OPINIONI
Si è fatto un gran parlare, negli ultimi tempi, del nuovo corso intrapreso dalla Galleria Nazionale di Roma, museo già noto ai più come GNAM, e che, cadute le ultime due lettere, aspira ora a entrare nel piccolo circolo delle grandi Gallerie Nazionali. In breve, a seguito della nomina della neo-direttrice, Cristiana Collu, è stata realizzata una radicale ristrutturazione sia degli ambienti che dei percorsi espositivi, con esiti senz’altro luminosi sulle pareti – si è passati dalle tappezzerie all’intonaco bianco – ma con più di un’ombra su scelta e governo delle opere presenti in “permanenza temporanea” (una delle novità, infatti, è anche la scadenza all’aprile 2018 dell’attuale collezione in mostra).
Tra le questioni più discusse ricorre la frattura rispetto al passato delle nuove decisioni curatoriali, raccolte sotto il titolo shakespeariano Time Is Out of Joint con circa 500 opere moderne e contemporanee esposte senza più alcun criterio di tipo cronologico o di appartenenza a scuole artistiche: al riguardo, due componenti del comitato scientifico della Galleria Nazionale hanno rassegnato le dimissioni, mentre uno dei due restanti ha scritto una lettera aperta al ministro dei beni culturali dove lamenta, tra l’altro, i rischi di comprensibilità di opere tanto risolutamente decontestualizzate – e prive di apparati didattici a vista – per un pubblico di non esperti.
Conforme a qualche insegnamento almeno della sociologia museale (San Pietro Bourdieu, proteggimi), ho provato dunque a condurre una personale ricerca sulle percezioni della nuova Galleria Nazionale, sfruttando biecamente il pubblico non esperto con cui ho finora consumato le mie visite, ovvero, oltre a me stesso: un giurista (età 35-40 anni); un architetto (40-45); una traduttrice (35-40); due alunni di scuola dell’infanzia (entrambi 0-5). I risultati sono stati i seguenti: il giurista si è dichiarato “smarrito”; l’architetto si è detta “sconcertata” per un muro già fiorito di umidità, a poche settimane soltanto dalla fine della ristrutturazione; la traduttrice ha pensato a “un patchwork”; gli alunni di scuola dell’infanzia hanno apprezzato varie opere in mostra, in particolare quella di una “macchina rotta”, a loro dire causa incidente con un’eburnea statua messa lì vicina. Quanto a me, tento qui di seguito qualche ulteriore riflessione, partendo proprio dalla questione degli accostamenti.
COMBINAZIONI E FACILITÀ
Di fatto, mi ha personalmente colpito l’uso disinvolto di una combinatorietà a effetto delle opere esposte, con esiti che vanno dalla sorpresa (più o meno infantile) a consonanze molto, molto evidenti. Passi insomma, una volta, l’avvicinamento di moderno e contemporaneo in base al soggetto (ninfee, in una pittura di Claude Monet e un lightbox di Luca Rento), ma, quando in un’altra sala si ritrova una mucca in posa fotografica del solito Rento accanto a un ampio pascolo di Giovanni Segantini, il gioco pare già ripetuto una volta di troppo. Che dire, poi, di un passaggio dove una poderosa tela a tema boschivo di Giuseppe Polizzi si trova di fronte a una serie di minuscole fotografie – sempre silvestri – di Ana Mendieta? La questione, qui, non è nemmeno il nesso soggettuale fin troppo manifesto, ma piuttosto una ricerca di scenograficità (messinscena?) che, così conclamata, stride con un allestimento di tipo museale – e torna allora in mente il magistero di un sommo allestitore quale fu Carlo Scarpa, delle cui soluzioni espositive, secondo un recente commento, era propriamente “la resistenza al modello teatrale che fa[ceva] la forza e la bellezza delle loro proporzioni” (cfr. P. Falguières, in P. Duboÿ, Carlo Scarpa. L’Art d’exposer, Zurigo, 2015, p. 18).
Soprattutto, al di là delle varie ed eventuali riflessioni che si potrebbero accumulare intorno all’idea di cura e alla sua auspicabile trasparenza rispetto alle opere, fino alla legittimità etica (sì, etica) di un allestimento che si faccia installazione, resta la disarmante facilità dell’impianto espositivo della nuova Galleria Nazionale. Insomma, non si tratta tanto del non aver rispettato la vecchia didattica, ma di averla sostituita solo con un nuovo sussidiario visivo (la sala della guerra, dei migranti): e tutto ciò, per di più, senza continuità, perché in altre sale pare invece valere un puro effetto scatola di cioccolatini (“non sai mai quello che ti capita”, Forrest Gump dixit). Osare per osare, sarebbe allora stato notevole vedere seguita la via indicata da Abi Warburg con la sua suggestione di linee di forza che attraversano le espressioni artistiche, scompaginando i tempi storici per rinvenire sistematicamente, attraverso la curatela, inedite letture fisiognomico-cosmologiche: ché, come il verso completo dell’Amleto recita, il tempo sarà anche scardinato, ma a qualche dannato tocca pur rimetterlo a posto. In una recente intervista, tra l’altro, proprio la direttrice della Galleria Nazionale ha rivendicato una connessione tra cosmesi e cosmo in vista di una superiore armonia: peccato non averla approfondita, nell’intervista come nel museo.
DIVERTIRE E INTRATTENERE
Almeno per quanto riguarda chi scrive, va poi messo in chiaro che non si ha nulla contro il divertimento, un’esperienza spirituale totalmente distinta però dall’intrattenimento: se, infatti, col primo ci si può meravigliare e imparare (per esempio, trovandosi in un’istituzione pubblica denominata Galleria Nazionale, qualcosa circa le linee di forza e debolezza dell’arte che hanno contribuito a rendere un patrimonio propriamente nazionale), il secondo non è che sorpresa e conseguente distrazione, nel momento, da ciò che aspira a una durata. Vorrà dire che a chi visita la Galleria Nazionale, da qui all’aprile 2018, toccherà personalmente impegnarsi a trovare qualche cardine, oppure semplicemente passare un po’ del proprio tempo.
Luca Arnaudo
Roma // fino al 15 aprile 2018
Time Is Out of Joint
a cura di Cristiana Collu
in collaborazione con Saretto Cincinelli
GNAM
Viale delle Belle Arti 131
06 32298221
[email protected]
http://lagallerianazionale.com
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/56677/time-is-out-of-joint/
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