Reportage esclusivo da Norcia. Dentro la Zona Rossa, dove il terremoto ha sbriciolato la storia
Siamo entrati nel centro della città polverizzata dal sisma, fin sotto quel che rimane della Basilica di San Benedetto, di Santa Maria Argentea, di San Francesco. Ecco immagini e video
L’avvicinarsi a pochi chilometri dai luoghi epicentro di un terremoto grave come quello che il 30 ottobre ha colpito Umbria e Marche corrisponde al sentirsi crescere dentro la paura. Una paura irrazionale, ancestrale, quasi animalesca, che nasce dalla pancia, una paura che solo chi ha vissuto da vicino uno di questi terribili eventi naturali può comprendere. La strada che percorre la Valnerina fino a Norcia è costellata, spesso sovrastata da antichi borghi medievali, e trovarli ancora sorprendentemente intatti pone una domanda quasi metafisica: quale forza può essere così acriticamente selettiva? Perché le scosse che poco più a Est polverizzano intere cittadine, lasciano intonsi questi palazzi, queste mura altrettanto cariche di secoli? Poi le prime avvisaglie: la fondovalle è interrotta, si devia per una impervia stradina di montagna, e l’inquietudine si focalizza sul traffico di ambulanze, mezzi pesanti, minibus carichi di persone, jeep della Protezione Civile, pochissime automobili private, che marciano solo in senso contrario. Tutti lasciano la scena del disastro, quasi a presagire nuovi eventi traumatici, nuove scosse imprevedibili. Rese plastiche dalla vista dei primi crolli, case ripiegate su sé stesse, lampioni attorcigliati ai sostegni, piazze che sembrano un Cretto di Burri.
UNA LINEA DI GUERRA
L’arrivo al Centro Operativo Comunale spazza ogni pensiero: divise che si confondono, capi che urlano ordini, cittadini che chiedono qualcosa, ora timidi, ora esasperati. Un vigile del fuoco ci scorta verso la fatidica Zona Rossa: sotto palazzi pericolanti, archi dissestati, pareti minacciosamente inclinate. L’ingresso alla Zona Rossa assomiglia a una linea di guerra: fuori il brulicare di tanti che vorrebbero entrare, chi attende un accompagnatore che non arriverà mai, chi semplicemente osserva quel che può ai limiti di una città spenta. Dentro un vuoto surreale, un silenzio insostenibile, un’atmosfera quieta ma al tempo stesso tesa: dove tutto è bloccato, come ibernato, a quelle 7,40 del 30 ottobre: le luci dei bar ancora accese, le insegne che beffardamente pubblicizzano “lenticchie di Castelluccio” sopra a un mucchio di pietre deformi, un cartello che invita a non entrare con cani che ormai non ci sono più per strada. Si passa da Porta Romana: “questa imbragatura l’ho messa io dopo la scossa del 26 ottobre”, dice sconsolato il caposquadra dei Vigili, “allora c’era solo qualche pietra allentata, ora ha gravi danni strutturali, senza questi puntelli sarebbe probabilmente già crollata”.
ORGOGLIOSI BRANDELLI DI STUCCHI
Inoltrandosi per Corso Sertorio, si scorge in fondo la facciata della chiesa di San Francesco a far da quinta: qui i mucchi di macerie crescono, e la facciata si sostiene ad un muro laterale delimitando uno spazio ora riempito soltanto dalla luce filtrata dal rosone. Tutto da scoprire il destino della Biblioteca e dell’Archivio Storico Notarile dei quali un cartello ancora denuncia la presenza. Lì a fianco, le mappe ci dicono trovarsi l’altra chiesa di Santa Rita, ma non la vediamo: solo dopo ci renderemo conto che ciò che ne resta sono soltanto quei voluminosi mucchi di macerie, che non lasciano nemmeno intuire il perimetro dell’edificio. Da lontano, neanche tanto, l’infittirsi dei mezzi dei Vigili del Fuoco – gli unici guardiani autorizzati all’accesso dentro la linea di guerra – annuncia che siamo nel vero centro della città e del disastro: e a confermarcelo è la facciata della Basilica di San Benedetto, quel solitario muro che ormai la assimila a un campanile a vela e che sembra voler pudicamente celare la nudità polverosa che si apre alle sue spalle. Una cavea che raccoglie pezzi di solaio misti e tronchi di ex colonne doriche, canne d’organo infilzate a consumati banchi per fedeli ormai lontani. E sui pochi muri rimasti in piedi, orgogliosi brandelli di stucchi e lacerti di affreschi senza valore, e un’abside dimezzata che difende la sua sopravvivenza. E guarda da pochi metri l’altezzosa concattedrale di Santa Maria Argentea, che dall’altra parte della piazza sembra voler consolare San Benedetto condividendone le sorti, mentre il palazzo comunale si pavoneggia quasi integro dopo le scosse. Rientriamo al Centro Operativo mentre un pompiere ci segnala una piccola scossa di assestamento che avviene in quel momento ma non riesce a sconvolgerci ulteriormente, e troviamo il sindaco di Norcia il cui iperattivismo non nasconde le molte ore senza sonno. “Il nostro pensiero va alla casa natale di San Benedetto, sopra cui sorgeva la Basilica”, ci dice nell’intervista che trovate qui sopra. È lì che affondano le radici della città: ed è da lì che Norcia vuole ripartire…
Massimo Mattioli
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