Versus. Il dibattito fra realismo e relativismo
Nasce una nuova rubrica su Artribune: una serie di confronti tra artisti, critici e operatori sui temi più scottanti del contemporaneo. Il primo match è tra Christian Caliandro e Ivan Quaroni, alfieri rispettivamente del realismo e del relativismo.
Versus è un gioco, una sfida che mescola agone filosofico, dibattito argomentativo e tipico gusto italiano per le estremizzazioni (in chiave ironica, s’intende). Ma l’obiettivo non è vincere. Lo scontro è un pretesto per conoscersi meglio e arrivare all’intesa, attraverso la discussione, la riflessione critica, il rispetto per la molteplicità dei punti di vista. Quali sono le regole? Prima di tutto una dicotomia che accenda gli animi, sulla quale da tempo si discute senza che sia possibile giungere a una sintesi: qualcosa come “Beatles o Rolling Stones?”, insomma. Poi due ospiti autorevoli, pronti al confronto, e un moderatore per accendere la miccia.
In questo primo appuntamento Christian Caliandro difende la bandiera del realismo, Ivan Quaroni, invece, si schiera sul versante del relativismo e del pensiero postmoderno.
Entriamo subito nel vivo di un’irrisolta questione filosofica: l’epoca che stiamo vivendo è uno strascico della postmodernità oppure è in atto una fase di cambiamento fondata su nuovi, solidi riferimenti valoriali? In tale contesto, quale ruolo e quali funzioni si possono assegnare alla critica e all’operare artistico?
Christian Caliandro: “Strascico della postmodernità” quest’epoca lo è inevitabilmente: la nostalgia (intesa come pressoché unica chiave culturale per percepire il passato, e anche il presente), la deresponsabilizzazione, la spettacolarizzazione, l’infantilizzazione sono solo alcuni tratti che, comparsi con la nascita del postmoderno (tra Anni Settanta e Ottanta, anche se altre interpretazioni la retrodaterebbero agli Anni Sessanta), non sono certo destinati a scomparire, ma che anzi strutturano sempre di più l’immaginario. In questo scenario, si intravedono approcci (anche artistici) orientati a ricostruire un rapporto con la realtà basato sulla responsabilità e su una “scarsità di mezzi”, per così dire, che riflette un passaggio fondamentale da un sistema di valori a un altro, da una forma di vita a un’altra: il compito della critica è riconoscere questi approcci, e collegarli.
Ivan Quaroni: La postmodernità è caratterizzata dalla lotta per il dominio dell’informazione. È un’epoca pervasa da una sorta d’ideologia della comunicazione, in cui l’informazione entra nel circuito della circolazione monetaria, diventa un bene di consumo. In un mondo dove le merci circolano liberamente e si accorciano le distanze geografiche, l’informazione sostituisce il sapere (la vecchia Bildung) ed entra nell’agone della competizione economica. Non sono io a dirlo, ma Jean-François Lyotard nel 1979. Mi sembra una descrizione che anticipa profeticamente la condizione odierna. Il relativismo è la logica conseguenza di questa situazione. In fin dei conti, la libera circolazione delle informazioni depotenzia i vecchi detentori del sapere. Il monopolio delle università, ad esempio, viene meno. Si aprono nuovi giacimenti informativi. Ognuno è libero di scegliere e di costruire il proprio punto di vista.
Vorrei che Christian chiarisse come un approccio puramente soggettivo (si parlava di nostalgia) possa ostacolare il processo di rinnovamento da lui evocato. A Ivan invece chiedo quali rischi vede in una morale ancorata a fini sociali o pratici: la responsabilità civile è una limitazione alla libertà del pensiero interpretativo?
C.C.: La nostalgia – negli individui come nelle società – è l’evasione in una versione ideale del passato (i “bei tempi andati” che non sono mai esistiti). Essa tende a rimuovere gli elementi più disturbanti e irriducibili – cioè quelli più interessanti – uniformando sempre di più il passato al presente. Allo stesso modo agisce sul futuro, che diviene “un presente in attesa di accadere”. In questo senso, la nostalgia ostacola ogni tipo di cambiamento.
I.Q.: La nostalgia di cui parla Christian la ritroviamo anche in molta musica indie (XX, The National, The Drums e molti altri) e in alcune serie tv (Stranger Things e l’episodio di Black Mirror intitolato San Junipero). Non credo sia un sentimento involutivo o che inibisca le funzioni critiche. Ad esempio, Sandinista dei Clash è un lavoro insieme innovativo e nostalgico, ma anche politico. Non penso ci sia alcuna limitazione nella critica politica e sociale dell’arte. Semplicemente non mi appassiona.
Tra gli artisti che seguite con interesse, quali vi sembra abbiano sviluppato percorsi di ricerca in sintonia con le vostre idee? Nel considerare l’incidenza del vostro lavoro in relazione al panorama italiano, prevale il senso di isolamento o di integrazione?
I.Q.: Gli artisti che mi hanno accompagnato nel mio percorso di ricerca sono quelli di Italian Newbrow, che hanno condiviso con me una visione aperta e non-confessionale della pittura, capace di mescolare la cultura alta e quella popolare.
Non so quale sia l’incidenza del mio lavoro nel panorama italiano, non spetta a me dirlo. Cerco di fare quel che mi piace senza preoccuparmi troppo del panorama. È un po’ come fare una passeggiata in montagna: di tanto in tanto ti fermi ad ammirare il paesaggio, ma per il resto del tempo cerchi più che altro di seguire il tuo sentiero.
C.C.: Sento molto vicini – tra gli altri artisti – in particolare Alessandro Bulgini, Gian Maria Tosatti, Marta Roberti, Nero e Roxy in the Box per il loro modo di stare nella realtà e di costruire le opere più come “stati” che come oggetti, a partire dagli elementi più umili. Non credo che esista qualcosa come un “panorama italiano”, almeno per quanto riguarda l’arte: ciò che vedo è piuttosto frastagliato e frammentario, ma ci sono critici della mia generazione che stimo e il cui lavoro mi interessa.
Noto in entrambi un certo disincanto nell’analisi della compagine culturale e artistica italiana. Si tratta di un atteggiamento diffuso, che nasce da un’effettiva debolezza e porta in genere a prediligere percorsi individuali. Se ha senso cercare un antidoto alla frammentazione, quanto conta il superamento delle contrapposizioni ideologiche, dei recinti generazionali e delle logiche di interesse?
I.Q.: Italian Newbrow è stato ed è un tentativo di fare fronte alla frammentazione cui tu accenni, un modo per non perdere il senso della lettura del presente. Tuttavia, mi rimane il dubbio che ossessionò Henri Focillon fino alla fine. Parafrasando lo studioso francese (anzi, quanto ci riferisce il suo allievo George Kubler): il passato (come nel relativismo postmoderno) non serve che a conoscere l’attualità, ma essa continua a sfuggirci. Il problema, infatti, non è solo stabilire cosa sia l’attualità, ma stabilire se sia possibile comprenderla o se dobbiamo semplicemente constatarla per poi passare alla costruzione di qualcosa di nuovo. A questo dilemma non so ancora rispondere.
C.C.: Nessun disincanto. “Contrapposizioni ideologiche” onestamente non ne vedo: semmai, uno dei problemi principali è che – non solo in Italia – l’ideologia è unica. Le contrapposizioni generazionali esistono invece eccome, sebbene la maggior parte dei miei coetanei faccia di tutto (in modo piuttosto autodistruttivo) per non riconoscerle e affrontarle. Il mio consiglio, se è questo che mi stai chiedendo, è di abbandonare recisamente individualismo, opportunismo, conformismo – perché non porteranno a nulla di buono.
Vincenzo Merola
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