La prima grande mostra dedicata a un architetto dalla Fondation Cartier pour l’art contemporain di Parigi, e la prima sostanziosa monografica su Junya Ishigami (Kanagawa, 1974) ‒ Freeing Architecture ‒ ha molti ingredienti della formula del grande evento. E anche i numeri “dichiarati dal costruttore” sono importanti: 20 progetti sono presentati al pubblico attraverso 30 maquette alle scale più varie, costruite ad hoc per l’esposizione, in più di un anno di lavoro nell’atelier dell’architetto giapponese. Prove di forza a parte, la realizzazione non delude le aspettative, anzi. Freeing Architecture è effettivamente in grado di comunicare la “libertà” come valore fondamentale della pratica progettuale di Junya Ishigami.
LA LIBERTÀ IN ARCHITETTURA
Libertà, innanzitutto, nella selezione e nel trattamento dei materiali con cui costruisce i suoi progetti e il loro racconto. I 30 modelli in mostra sono fatti di carta, di acqua, di pellicola d’alluminio, di legno, di vegetazione, di cemento e tanto altro. E i progetti che rappresentano dimostrano che le materie prime di Ishigami sono in ugual misura i materiali da costruzione propriamente detti e tutto ciò di cui si compone il paesaggio. I primi sono portati ai loro estremi limiti strutturali, come nella Chapel of the Valley di Shandong, in Cina, racchiusa tra due fogli di cemento piegati, di spessore variabile tra 22 e 180 centimetri, che s’innalza fino a 45 metri di altezza ma misura solo 130 centimetri nel suo punto più stretto. I materiali del paesaggio non si limitano a compenetrarsi con quelli dell’architettura: Ishigami li trasforma in veri e propri tasselli di costruzione dei suoi progetti, con grande sensibilità e raffinatezza, ma anche, concettualmente, con una velata “arroganza” di fondo. A Dali, sempre in Cina, la copertura lunga 300 metri sotto la quale sorgeranno otto case di vacanza di lusso è supportata anche dagli antichissimi megaliti presenti sul sito che, per l’occasione, saranno a volte spostati o addirittura rimossi (!). Un’ode all’impermanenza che non può non apparire audace persino in una visione “orientale” dei temi della conservazione e della storia.
Poco importa, in questa sede. Se Ishigami non è certo un inedito o una scoperta (nemmeno ci si aspettava questo da un’istituzione come la Fondation Cartier), anche i suoi ammiratori e conoscitori più navigati concorderanno che Freeing Architecture è un eccellente distillato della sua poetica. Lo pensa anche Oliver Wainwright, che sul Guardian ha dichiarato che “è facile lasciare questa mostra (…) sentendosi liberati dal fardello della storia dell’architettura, dalla confusione delle città, e persino dalle leggi della fisica. È un dardo tranquillizzante di pura poesia”.
IMPARANDO A SCOMPARIRE
Innegabilmente, l’edificio della Fondation Cartier è protagonista nella definizione di questa atmosfera. Dopo quasi cinque lustri dalla sua inaugurazione, il progetto di Jean Nouvel dimostra di invecchiare davvero bene, a differenza di altri suoi exploit troppo audaci, come l’Institut du Monde Arabe parigino, i cui fantasmagorici 240 diaframmi di facciata fotosensibili hanno dovuto essere integralmente sostituiti già nel 2017. E non stupisce che in un primo momento Freeing Architecture dovesse svolgersi unicamente nelle sale del piano terra (nella versione finale prosegue nell’interrato). È proprio al livello della strada che si apprezza appieno la “sparizione” delle architetture di Ishigami ‒ oltre ai modelli, in mostra ci sono video e disegni, ma nessuna fotografia di progetti costruiti ‒ dei supporti espositivi ‒ i tavoli hanno gambe sottilissime, le finestre sono usate come pareti trasparenti ‒ e della stessa Fondation, i cui schermi vetrati lasciano spaziare lo sguardo senza soluzione di continuità dall’interno della mostra al giardino dell’artista tedesco Lothar Baumgarten e fino alla passeggiata di boulevard Raspail. Il curioso sodalizio Ishigami-Nouvel è così consolidato, all’insegna della comune capacità di scomparire. Mentre Parigi si arricchisce rapidamente di nuove fondazioni più o meno riuscite ‒ il vistoso “tendone” della Fondation Louis Vuitton al Bois de Boulogne e i curiosi solai mobili della Fondation Lafayette nel Marais ‒, è davvero “liberatorio” constatare l’attualità di un’architettura vecchia di vent’anni, e la sua partecipazione attiva all’interpretazione di uno dei migliori progettisti della scena mondiale contemporanea.
‒ Alessandro Benetti
Parigi // fino al 9 settembre 2018
Junya Ishigami ‒ Freeing Architecture
FONDATION CARTIER POUR L’ART CONTEMPORAIN
Boulevard Raspail 261
www.fondationcartier.com
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